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91 tesi per un marketing diverso

11 Dicembre 2008

91 tesi per un marketing diverso

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Non un manuale di business, ma un generatore di dubbi sul marketing e sulla comunicazione aziendale ai tempi della conversazione globale e delle forme fluide di dialogo online. In occasione del lancio del suo nuovo sito, Apogeonline pubblica in anteprima la versione integrale del nuovo ebook di Gianluca Diegoli.

1. Il marketing è morto in quanto sono esaurite le due condizioni che lo nutrivano: primo, che le persone non potessero parlare facilmente e direttamente tra loro; secondo, che il canale di trasmissione fosse concentrato, semplice e direttamente controllabile.

2. Non è la vostra promozione ma la loro conversazione a differenziare il vostro prodotto, e provocare un acquisto.

3. Le persone si relazionano prima di tutto con altre persone, non con aziende anonime. Incentivate le persone in azienda a partecipare liberamente alla conversazione, come singoli, senza divise e loghi. La conversazione aziendale passa solo attraverso le persone.

4. La conversazione prenderà una forma che non dipenderà dalla vostra volontà, dalle vostre linee-guida e dalla vostra pianificazione – a meno che non vogliate farla emigrare altrove. Dove, comunque, di nuovo prenderà una forma non prevedibile.

5. La conversazione può avere tutte le forme e tutti i toni, non solamente colta, non solamente scritta. Può causare stress interno, fatica, perdita di tempo, capacità di accettazione della maleducazione, della stupidità e della malafede, come nella vita reale: se mettete in conto tutto questo fin dall’inizio, potreste poi avere piacevoli sorprese. E se sarete in grado di conoscere davvero la vostra comunità, saprete anche come le persone comunicano e adeguare la vostra voce e il vostro tono.

6. Nell’iniziare una conversazione, gli obiettivi aziendali devono essere in ordine di importanza per la comunità: ricevere un feedback per migliorare il prodotto e incentivare lo scambio diretto di informazioni tra gli utenti. Passaparola e posizionamento sui motori di ricerca verranno di conseguenza al raggiungimento di quegli obiettivi, ma non “sono” gli obiettivi.

7. La pubblicità costerà progressivamente sempre di più di quanto renderà, in quanto normalmente produce solo esposizione, non conversazione.

8. Al saturarsi dello spazio “ricettivo” delle  persone, il valore attribuibile all’esposizione tende a zero. Invece di aggiungere ulteriore rumore, è più conveniente insegnare alle persone a filtrarlo, o fornire loro strumenti per farlo – aumenterà la vostra reputazione nella conversazione.

9. Non ha importanza il numero di ripetizioni del messaggio, soprattutto se non volete ascoltare la nostra risposta. Dopo il primo, diventa solo fastidio e rumore di fondo. Immaginate la vostra reazione se qualcuno vi chiedesse più volte la stessa cosa, e poi si disinteressasse della risposta. Uguale.

10. Se la pubblicità viene ancora comprata è solo perché per il direttore marketing è più facile spendere-e-confondere, che cercare di cambiare la cultura aziendale al proprio interno.

11. Ogni nuova forma di pubblicità, la cui apparente superiore efficacia si basa sulla mancanza di antidoti conosciuti e barriere già consolidate dalle persone, raggiunge velocemente il proprio “punto di saturazione”. Quindi, se non sei il primo a usarla, e di solito non lo sei, non funzionerà.

12. Solo la conversazione aziendale non ha un punto di saturazione. Supportate spazi di conversazione, anziché spazi per monologhi.

13. In molti settori, la pubblicità sta al mercato come l’EPO sta ai ciclisti. Anche se gli effetti competitivi si annullano reciprocamente – e quindi la loro efficacia è nulla – nessuno rinuncia per primo. Ma attenzione: la conversazione è l’antidoping dei mercati.

14. La vecchia “regola” per cui in fasi di recessione di mercato la pubblicità andrebbe aumentata – e non ridotta – non funziona. Se però sostituite – in quella regola – “pubblicità” con “conversazione” la comunità potrebbe contribuire a trovare nuove soluzioni alla crisi.

15. Rinunciare a ospitare e incentivare la conversazione sul proprio sito significa spingerla a chiedere asilo in territori in cui non avete accesso o influenza.

16. La conversazione produce risultati anche se (o proprio perché) ci sono voci che dissentono o criticano – e anche se (o proprio perché) gli argomenti di discussione non sono decisi da voi.

17. Ogni critica ricevuta è un privilegio: vi ha pensato – e più di quanto voi abbiate pensato a lui. E sarà l’ultima volta, se non aprite un dialogo.

18. Se ancora pensate che “tanto i nostri clienti non parlano tra di loro” può significare che avete perso il contatto con loro, oppure che i vostri prodotti sono insignificanti o terribilmente noiosi – in entrambi i casi, avete un problema.

19. Ogni cosa è commentabile, che lo vogliate o no. Per esempio, pensate se il vostro payoff fosse commentabile: cosa ci scriverebbero sotto le persone? Tenetevi forte: lo è.

20. Chiamare consumatore un cliente è come chiamare un amico ragioniere, non sarebbe un buon inizio.

21. Non riuscirete più a separare la conversazione online dalla conversazione offline. Ne esiste una sola.

22. Se organizzate un evento, il numero di partecipanti non è più fondamentale: considerate invece la qualità della conversazione creata dall’evento.

23. Il valore totale della vostra reputazione dipende più dalla qualità delle relazioni che stabilite nelle vostre conversazioni aziendali che dalla loro quantità.

24. Sì, certo, i blog non contano quanto credono i blogger, ma la conversazione nel suo insieme conta molto di più di quanto possa apparire a prima vista. Cominciate ad aprire un dialogo con le persone appassionate, preparate e interessate, non con quelle che le agenzie di PR considerano influenti.

25. Se inviate campioni di prodotto ai blogger solo per avere un link o creare buzz immediato, e non per iniziare una conversazione a lungo termine o attivare una comunità, state solo invitando a cena per avere un rapporto occasionale. Probabilmente non ne vale la pena.

26. Invece di pensare di “creare” nuove comunità, prendete in considerazione l’idea di incoraggiare quelle che già esistono. Il fatto che siano o meno all’interno del perimetro del vostro web aziendale non ha nessuna rilevanza.

27. Esiste solo una missione sostenibile: migliorare la vita delle persone della comunità di cui fate parte.

28. Investite su ciò che unisce e collega i vostri clienti, non su ciò che li divide: lasciate scegliere a loro a quale segmento appartenere.

29. Non esistono più clienti “top”: ognuno di loro potrebbe avere un blog e domani essere al numero 1 di Google con un racconto di come l’avete considerato insignificante. Se aveste aperto una conversazione in precedenza, avreste avuto una possibilità in più di conoscere in modo diverso il vostro interlocutore, e renderlo partecipe anziché antagonista.

30. La media delle idee dei vostri clienti che possono nascere dalla conversazione è ovviamente mediocre, ma contiene sicuramente più di una idea che il vostro dipartimento ricerca e sviluppo non avrebbe mai pensato.

31. Nella vostra comunità troverete persone disposte a usare il proprio tempo libero anche per il vostro brand. Ma non per i soldi, né per qualche concorso a premi. Qual è il vostro progetto per migliorare la loro vita, in modo che possano in cambio darvi una mano?

32. La media dei vostri clienti pensa a voi un centesimo di quanto voi crediate. Fatevene una ragione, l’atto di acquisto non è la loro sola attività, né la più emozionante.

33. Al tempo stesso, però, è possibile trovare qualcuno veramente appassionato del vostro prodotto: parlategli, vivete con lui, “assumetelo”. Probabilmente sa cose – sul prodotto, sui clienti, su di voi – che i vostri conduttori di focus group nemmeno immaginano.

34. Potrete essere a conoscenza al massimo del’1% della discussioni che vi riguardano: della maggior parte, quella privata, non saprete mai nulla. Però, se osservate i luoghi in cui le persone conversano – nei forum, in Twitter e in Friendfeed, per esempio – potete capire qual è il sentimento nei vostri confronti senza troppi eufemismi da sondaggio di customer satisfaction.

35. Utilizzate il budget in modo diverso: l’esplorazione, l’ascolto continuativo della rete e la velocità nell’incoraggiare o nell’unirsi a conversazioni o iniziative spontanee è il vostro piano marketing.

36. La perfetta community progettata da un consulente esperto non avrà un vero ritorno, se l’apertura e la trasparenza non sono davvero diffuse e supportate. Create prima le basi per una giusta cultura condivisa, poi le persone troveranno gli strumenti giusti per esprimersi.

37. È giusto bloccare l’accesso al web e ai social network in azienda, se non avete intenzione di partecipare alla conversazione nei prossimi dieci anni – oppure se preferite spendere più avanti cento volte il costo del tempo utilizzato in rete dai vostri dipendenti in formatori e consulenti, che  gli insegneranno ciò che avrebbero potuto imparare da soli.

38. La cultura della condivisione non ha nessuna possibile correlazione con il rischio che il vostro concorrente copi le vostre conoscenze. Ha ben altri metodi per farlo.

39. Se credete che i vostri clienti vadano educati, è meglio che iniziate il prima possibile a parlare veramente con loro.

40. Smettere di chiamare “pezzi” i prodotti venduti ai clienti è un buon primo passo di una strategia di marketing diverso. Smettere di pronunciare le parole “parco clienti” è un buon secondo passo.

41. Il danno provocato dal venditore incapace sarà più alto del risparmio che avete ottenuto con il suo contratto a basso costo – chi avrà avuto contatti deludenti, non lo terrà per sé. Se vendete al telefono, ogni trucco vi si ritorcerà contro come passaparola negativo. E no, i report di vendita non tengono conto di questo.

42. Se dichiarate (per esempio) che lo sconto è solo per me e solo per oggi, o comunque approfittate dell’ingenuità delle persone, tenete conto che la conversazione è persistente e la rete tiene tutto in memoria: prima o poi qualcuno viaggerà nel passato per controllare.

43. Se pensate che vendere su internet non fa per voi, perché l’esperienza fisica della vendita per il cliente è ineguagliabile, avete ragione. Altri lo faranno volentieri al vostro posto.

44. Avete veramente bisogno di un sito completamente disconnesso dai network in cui le persone si incontrano? Probabilmente per ogni funzione del vostro sito esiste già una corrispondente “zona di conversazione” in rete. Perché non usare quella?

45. Potete omettere i prezzi dei vostri prodotti sul sito: le persone andranno altrove a informarsi – mentre i vostri concorrenti se li faranno raccontare dal vostro venditore di zona.

46. Se chiedete ai vostri clienti sacrifici, rinunce o lavoro, condividetene lo scopo e i risparmi. Queste sono le vere “operazioni fedeltà”.

47. Se provate per una volta a lasciare decidere il prezzo del servizio al vostro cliente, imparerete qualcosa – in ogni caso.

48. Se partite dal presupposto che i vostri clienti cerchino sempre di frodarvi, il danno che deriverà da questa presunzione di colpevolezza sarà superiore al danno reale.

49. Se credete realmente che i vostri clienti sono i negozi o i distributori che rivendono i vostri prodotti, siete nella stessa situazione di un veicolo condotto da un cieco. Fatevi guidare da chi usa davvero i vostri prodotti, ora che potete farlo.

50. Sappiamo che ciò che chiamate “carta fedeltà” è soprattutto un espediente per raccogliere dati su ciò che acquistiamo: se invece condividete con ognuno di noi ciò che vi interessa sapere, a che scopo, e ciò che sapete già, possiamo collaborare. In ogni caso la vostra reputazione migliorerà – e di conseguenza la nostra fedeltà.

51. Spedire carta su carta nelle caselle postali in quanto ha un ritorno comunque superiore al costo, non è direct marketing, è spam. Quindi nel ritorno dell’investimento inserite anche il fastidio di chi lo riceve – e quello dei contatti a cui lo dirà.

52. È ora di rimandare “gli artisti della pubblicità” all’arte, di separare di nuovo creatività e advertising. Le persone dalle aziende si aspettano genuinità e autenticità, non creatività fine a sé stessa.

53. Il non convenzionale è solo un farmaco anti-dolorifico locale nella malattia del marketing: perché faccia effetto ne devi aumentare le dosi ogni volta, ma a ogni applicazione diminuisce la ricettività delle persone.

54. La pubblicità contestuale ai contenuti o basata sul comportamento precedente degli utenti ha un  limite intrinseco di rilevanza: che sia il contesto che il comportamento sono “parametrizzati” dalle aziende e non dagli utenti – che conoscono sé stessi meglio di chiunque altro, ovviamente.

55. Far creare pubblicità alle persone è come chiedere loro di suicidarsi: e infatti, di solito, è solo pubblicità di creativi outsider, generata da un tipo diverso di gara.

56. Non illudetevi che non si noti la strana coincidenza dell’intervista al vostro Ceo posizionata qualche pagina dopo la pubblicità del vostro prodotto. Le persone sono più attente ai dettagli di quanto crediate.

57. L’intrattenimento mescolato alla pubblicità funziona molto bene per guadagnare breve attenzione: ma se non si trasforma in conversazione sul vostro prodotto, ha lo stesso effetto del regalare un biglietto del cinema per un film di cui non siete protagonisti.

58. La conversazione può fondersi con l’intrattenimento. Ma difficilmente la vostra idea generata all’interno diventa vera conversazione. Perché non chiedere alle persone come vogliono essere intrattenute?

59. L’advertising interattivo, se non è conversazione, è solo carta moschicida («strato adesivo associato a odore zuccherino»), ma non otterrà ritorni permanenti: ci attaccheremo forse la prima volta, poi ne staremo alla larga.

60. L’unico passaparola con ritorno duraturo vede persone con valori in comune condividere spontaneamente la loro soddisfazione per il vantaggio che hanno dall’uso del vostro prodotto. Ogni altro tipo è intrattenimento o nano-pubblicità.

61. Ogni tanto, un atto di follia spontaneo e disinteressato a favore di un cliente farà più passaparola di qualsiasi attività spinta come virale.

62. Se può rassicurarvi: per la maggior parte, il marketing virale è solo pubblicità con un tocco di product placement: state solo pagando i seeder, anziché gli editori, per l’esposizione.

63. L’ambient marketing – spesso – è solo pubblicità che evade la tassa di occupazione di suolo pubblico, e contribuisce a un ulteriore aumento di anticorpi pubblicitari nelle persone.

64. Le vostre corporate communications guidelines, con i colori Pantone codificati scelti da una società di consulenza per un milione di euro, le specifiche dei millimetri di contorno da lasciare attorno al vostro logo e tutto il resto della vostra comunicazione coordinata, che occupa il 90% del tempo del vostro personale del dipartimento PR e immagine, non interessano a uno solo dei vostri clienti. Non ci credete? Provate di persona.

65. Non per deludervi, ma i vostri sensuali superlativi assoluti, i vostri sinuosi accordi da copywriter attorno ai diversi sinonimi di accattivante, le coreografiche immagini retoriche e gli ammiccanti aggettivi da romanzo Harmony – revisionati con tanta cura per il packaging e nei comunicati stampa – non ci affascinano, non ci incantano, non ci seducono.

66. Quando state per descrivervi come “azienda leader con consolidata presenza sul mercato ecc. ecc.” pensatevi per un attimo ad ascoltarvi e provate a non sorridere.

67. Invece, potreste iniziare a descrivere la vostra storia, la storia e la passione delle vostre persone: iniziando da quando la vostra azienda non era solo ROI.

68. Più alzate artificialmente le aspettative – per esempio tramite una tronfia comunicazione unidirezionale – più consumate credibilità e opportunità di passaparola. Forse una volta il bilancio di questa operazione era positivo, ora non più: ciò che promettete è persistente e la delusione è contagiosa.

69. Le possibilità di costruzione di un brand tramite investimenti in comunicazione tradizionale diminuiscono più che proporzionalmente all’aumentare della facilità per le persone di scambiarsi direttamente informazioni.

70. Se pensate che il vostro prodotto non sarà mai così “importante” da indurre le persone a cercare informazioni da fonti indipendenti, forse non state considerando che bastano pochi secondi per cercare il suo nome dal cellulare davanti allo scaffale del supermercato.

71. Il portachiavi o la felpa con il vostro logo in vendita sul vostro sito non aiuta a “costruire” il vostro brand – al massimo aiuta l’industria del merchandising.

72. La vostra reputazione non dipende da quanti sbagli fate. Ma da che tipo di sbagli fate, e da come rispondete a chi ve lo fa notare.

73. L’insuccesso di un tentativo di conversazione non è necessariamente negativo: tutto dipende dal fatto che siate preparati ad apprendere per il futuro.

74. In questi casi la trasparenza è l’unica uscita di sicurezza: in ogni caso, aumenterà la vostra credibilità per il futuro. Tentare di nascondere un errore significa solo aumentare gli interessi sul costo che pagherete in reputazione.

75. Se vi fa sentire meglio potete usare anche il Lei (con maiuscola) nelle lettere impostate dal CRM aziendale. Ma non pensate che serva a migliorare la nostra soddisfazione.

76. Quali siano le domande frequenti, fatelo decidere a chi le vuole fare davvero, quelle domande.

77. Credete che a qualcuno importino di più i secondi che impiegate a rispondere alle chiamate di assistenza o il tono e l’empatia con cui rispondete? Buttate i KPI del vostro call center e ascoltate di persona alcune chiamate.

78. Abbattete il firewall del vostro servizio clienti, e mandate le persone in giro per la rete a rispondere trasparentemente e sinceramente ai problemi descritti nelle conversazioni.

79. È meglio avere un supporto clienti imperfetto basato su persone motivate, che un supporto perfetto svolto da IVR (premi 2 per, premi 3 per, insomma, avete capito).

80. Anziché creare procedure automatiche per proteggere i vostri operatori, fate conoscere le vostre persone ai vostri clienti. Tra persone ci si capisce meglio.

81. Incentivare la prova del prodotto ha sempre e comunque un rendimento superiore al suo costo industriale. In caso la prova avesse esito negativo, almeno avrete imparato qualcosa.

82. Per quanto siano piccoli i caratteri dei vostri contratti (o veloci le note in TV o alla radio) qualcuno riuscirà a ingrandirle (o rallentarle) e condividere l’ingrandimento.

83. Non esiste il prodotto perfetto: anche i vostri clienti lo sanno, inutile mentire, nessuno se lo aspetta. Ciò che si aspettano è invece che lo miglioriate continuamente ascoltando chi lo usa davvero.

84. Fate uscire i vostri product manager dagli uffici e imponetegli di partecipare alla conversazione.

85. Se nei vostri benchmark interni risultate sempre primi, potreste non avete chiesto alle persone quali sono i parametri veramente importanti del benchmark.

86. Scegliete con voi persone che sanno come trovare le informazioni, non quelle che conoscono le informazioni.

87. Le comunità e le conversazioni correlate sono basate sul caos e producono entropia: in questo scenario, un rigido e perfetto piano marketing stilato in anticipo servirà a ottenere un perfetto fallimento.

88. Togliete la parola “marketing” dalle conversazioni, dai siti, dalle brochure, dai biglietti da visita, aiuterà.

89. Semplicemente aggiungere una spruzzatina di “social-media” non servirà a nulla, se poi utilizzate lo stesso schema mentale e le metriche del vecchio marketing pubblicitario.

90. “Campagna” (di marketing) è un termine perfetto: solo non dovrete usarlo nell’accezione del generale, ma in quella del contadino.

91. Non potrete calcolare precisamente il ROI della conversazione della vostra azienda, davvero. Pensate se vi conviene di più esserne parte o meno, di quella conversazione.

Questo testo è reso disponibile gratuitamente dall’autore con licenza Creative Commons ND-BY-NC. È possibile stamparlo, girarlo, usarlo, citarlo a patto di non modificarlo e con l’obbligo di segnalarne la fonte originale. È inoltre disponibile in formato ebook (Pdf A4, Pdf ottimizzato per lettori di ebook e mobipocket) presso la Simplicissimus Book Farm.

L'autore

  • Gianluca Diegoli
    Gianluca Diegoli si occupa dal 1997 di business online e di marketing. Dopo l'esperienza manageriale in grandi aziende, dal 2010 è consulente per il retail e co-founder di Digital Update. Insegna all’Università IULM e in Executive Master.

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