Di che cosa parliamo
- Quanti e quali software coadiuvano il marketing aumentato
- Quali sono le fasi di adozione del martech in azienda
- Su che cosa si fonderà il prossimo paradigma tecnologico
- Come la tecnologia blockchain potrebbe cambiare il marketing
- Come si è evoluto il digital marketing
1. Quanti e quali software coadiuvano il marketing aumentato
Scott Brinker è stato il primo a coniare il termine martech per identificare l’incrocio tra la tecnologia, le persone che la utilizzano e i processi sottostanti, necessari per raggiungere i fini aziendali. Inoltre è stato anche il primo a raccontare l’evoluzione del martech attraverso una infografica che, anno dopo anno, raccoglie e categorizza i software di marketing per funzione. Nel 2011 i prodotti martech censiti erano 150, nel 2020 hanno superato le 8.000 unità. Una crescita che ancora non accenna a diminuire se rispetto al 2019 l’incremento è stato del 13,6 percento. Si nota però l’inizio di un naturale consolidamento, con applicazioni che vengono acquisite da vendor più grandi e altre che non riescono a rimanere competitive.
Il maggior numero di soluzioni martech appartiene alle aree Social & Relationships (1.969) e Content & Experience (1.936). Seguono Commerce & Sales (1.314) e Data (1.258). Meno nutrite sono le aree Advertising & Promotions (922) e Management (601). Le soluzioni cresciute di più rispetto all’anno precedente sono state Data (25,5 percento) in particolare per la gestione di attività di governance, compliance e privacy, Management (15,2 percento) per la gestione di progetti e workflow e Social & Relationships (13,7 percento) per il tema del conversational marketing e dei chatbot.
Una descrizione delle singole categorie può essere utile per avere un’idea di come la tecnologia sia diventata indispensabile per gestire i diversi processi sotto la responsabilità del marketer moderno.
Social & Relationships
I software della categoria Social & Relationships censiti da chiefmartech.com nel 2020 sono 1.969. Rispetto all’anno precedente la crescita è stata del 13,7 percento. La categoria che ha registrato un numero maggiore di novità è stata quella del conversational marketing (+70 percento).
Advertising & Promotions
I software della categoria Advertising & Promotions censiti da chiefmartech.com sono 922. Rispetto all’anno precedente la crescita è stata del 4 percento. La categoria che ha registrato un numero maggiore di novità è stata stampa (+25 percento).
Content & Experience
I software della categoria Content & Experience censiti da chiefmartech.com sono 1.936. Rispetto all’anno precedente la crescita è stata del 5,6 percento. La categoria che ha registrato un numero maggiore di novità è stata video marketing (+26 percento).
Commerce & Sales
I software della categoria Commerce & Sales censiti da chiefmartech.com sono 1.314. Rispetto all’anno precedente, la crescita è stata del 9 percento. La categoria che ha registrato un numero maggiore di novità è stata retail proximity & IoT (+15 percento).
Data
I software della categoria Data censiti da chiefmartech.com sono 1.258. Rispetto all’anno precedente la crescita è stata del 25,5 percento. La categoria che ha registrato un numero maggiore di novità è stata Governance, Compliance & Privacy (+68 percento).
Management
I software della categoria Management censiti da chiefmartech.com sono 601. Rispetto all’anno precedente la crescita è stata del 15 percento. La categoria che ha registrato un numero maggiore di novità è stata Projects & Workflow (+41 percento).
2. Quali sono le fasi di adozione del martech in azienda
Oggi l’adozione di tecnologie per il marketing si presenta molto differenziata da azienda ad azienda. Scott Brinker individua quattro situazioni o fasi di un processo evolutivo per descrivere lo stato del martech.
- Martech come supporto al marketing: l’uso della tecnologia è limitato alla semplificazione di alcuni compiti specifici, che sono alla portata di qualunque team tradizionale (per esempio gestione email marketing, costruzione di landing page per la lead generation). Per tutto il resto ci si rivolge ad agenzie esterne.
- Martech incorporato nel marketing: ossia riconosciuto come essenziale per facilitare la maggior parte delle attività, ma circoscritto ad alcune persone. Tipicamente le attività di martech vengono affidate a un esperto interno (un marketing technologist o tecnologo del marketing) che sa come usare gli strumenti giusti per rendere più efficienti ed efficaci le azioni.
- Martech assorbito dal marketing: quando tutto il team usa la tecnologia per migliorare qualunque attività svolta. Qui si assiste proprio a un cambiamento della mentalità di approccio al marketing e tutti i membri del team sono anche in grado di scrivere codice per adattare gli strumenti al fine di raggiungere gli obiettivi di business.
- Le tecnologie dominano il marketing: è uno stadio futuribile nel quale gli algoritmi riusciranno a dare migliori risultati rispetto alle operazioni manuali in tutti gli aspetti del marketing (ottimizzare la spesa in pubblicità, monitorare le performance e il sentiment, predire il churn, individuare anomalie nei siti e così via).
La situazione europea, secondo uno studio BCG su Regno Unito, Germania e Francia, mostra che le aziende fanno ancora molto affidamento sul supporto delle agenzie e dei centri media per lo svolgimento delle attività di marketing. L’80 percento dei marketer inglesi e il 60 percento di quelli francesi e tedeschi si rivolge a servizi esterni, anche se BGC stima una decrescita lenta di questo fenomeno a favore di un’acquisizione di strumenti martech per uso interno. Attualmente l’ecosistema marketing e comunicazione è fortemente sbilanciato: in Regno Unito e Francia sono il 5 percento le aziende del comparto che producono soluzioni martech, in Germania sono il 4 percento. C’è anche da registrare che in questi anni le agenzie, le società di consulenza e i centri media hanno iniziato ad acquisire aziende tecnologiche per ovviare a una carenza di capacità e conoscenze.
3. Su che cosa si fonderà il prossimo paradigma tecnologico
È estremamente difficile individuare la prossima discontinuità tecnologica nella vita delle persone perché, come abbiamo accennato, entrano in gioco numerose variabili dal lato dell’offerta e della domanda, i benefici reali, ma anche quelli soggettivi e attesi, le spinte legislative, il know-how accumulato, il grado di maturità di tecnologie abilitanti.
Provo a sintetizzare alcune traiettorie che potrebbero rappresentare gli strati sui quali si fonderà il prossimo paradigma tecnologico dopo i computer, Internet e gli smartphone.
- Infrastruttura di comunicazione. Al momento quella più promettente per le reti mobili è la tecnologia 5G, che garantisce un aumento della banda di dieci volte, una latenza (il ritardo di risposta della Rete dopo un qualsiasi input) di pochi millisecondi e la possibilità di avere un numero maggiore di dispositivi serviti da un’antenna telefonica. Anche le connessioni casalinghe continueranno a migliorare, il recente Wi-Fi 6 (802.11 ax) promette il 40 percento di velocità in più rispetto al precedente (fino a 2 gigabit al secondo), migliori performance nelle aree affollate, minori consumi energetici.
- Computazione. Abbiamo visto che la legge di Moore è arrivata al capolinea; anche se il silicio, con cui si costruiscono i microprocessori, non è ancora spacciato, ormai non permette significativi salti di performance. La ricerca in tale campo punta su tre ambiti: il quantum computing, i nanotubi di grafene e carbonio, la logica nanomagnetica.
- Architetture computazionali. Negli scorsi anni siamo passati dall’avere server di proprietà in ogni azienda a non averne, per effetto del cloud computing, che virtualizza e rende disponibili risorse di elaborazione e storage senza avere la proprietà dell’hardware. Nei prossimi anni queste risorse si avvicineranno ai luoghi in cui servono per aumentare la velocità dei pacchetti, ridurre la latenza e ottimizzare i costi. Si parla di fog architecture per indicare piccoli data center che sono più vicini all’utilizzatore e di edge per quelli che sono in casa, in ufficio o nel device. Con un’architettura a tre livelli le applicazioni software di qualunque tipo potranno essere più efficaci ed efficienti.
- Software: l’evoluzione del software oggi viene identificata col termine ambiguo di intelligenza artificiale. Si tratta di nuove forme di codificazione che permettono ai programmi e all’hardware di rispondere meglio alle richieste dell’utente, anche in maniera autonoma, ossia riuscendo a individuare pattern di comportamento. In tale ambito rientrano le nuove tecniche di Computer Vision che permettono alle macchine di vedere ossia trasformare ciò che viene visto in istruzioni finalizzate a generare un output e a prendere decisioni.
Queste traiettorie potrebbero convergere nella prossima forma di interazione uomo-macchina (human-computer interaction) detta spatial computing che, secondo Robert Scoble e Irena Cronin, arriva dopo tre paradigmi: il personal computer, le interfacce grafiche e il mobile (Scoble R., Cronin I., The Infinite Retina, Packt Publishing, 2020).
A questo quarto paradigma, oltre alle traiettorie suddette, contribuiscono le innovazioni che si stanno avendo in altri tre campi: le ottiche/display, i meccanismi di controllo e la sensoristica che permette la mappatura dello spazio.
- Display: costituisce il sistema visivo dei dispositivi che abilitano l’esperienza. È la finestra per guardare il mondo virtuale o aumentato. Tale sistema può risiedere in un casco (head-mounted display) o in un occhiale. Esistono sistemi video-see-through in cui sono le videocamere a generare la “parte reale” dell’ambiente aumentato. I display optical-see-through utilizzano specchi semitrasparenti per permettere la visione sia della realtà che delle grafiche virtuali sovrapposte, dando una percezione molto più naturale. In entrambi i casi il grosso problema è renderli leggeri e al tempo stesso performanti.
- Meccanismi di controllo: il controllo di questa nuova forma di interazione uomo-macchina può prendere diverse direzioni. La voce già oggi funziona bene per dare comandi, grazie ai passi avanti nel campo del riconoscimento vocale, anche in ambienti rumorosi. Più spesso, nelle esperienze di realtà virtuale si usano joystick specifici che permettono di intercettare i gesti dell’utente e interagire con gli oggetti e il mondo circostante. Ma si stanno studiando anche sistemi avanzati in grado di rilevare i gesti del corpo senza l’aiuto di periferiche (il tracciamento del movimento delle mani è già disponibile su Oculus). Inoltre, c’è chi come Varjo usa sistemi di tracciamento dell’occhio per rendere più realistica l’esperienza visiva.
- Sensori: per permettere alle macchine di percepire il mondo circostante c’è bisogno di sensori adeguati o videocamere e software in grado di trasformare i dati rilevati in mappe. Un’azienda come 6D.ai, acquisita da Niantic, usa le videocamere degli smartphone per ricostruire lo spazio reale (detto digital twin) che costituisce la base per l’integrazione con gli oggetti virtuali. Oculus utilizza cinque videocamere. Il nuovo iPad Pro usa uno scanner LIDAR (Laser Imaging Detection and Ranging) che spara dei raggi laser intorno e misura la velocità dei fotoni di ritorno per capire la profondità delle cose.
4. Come la tecnologia blockchain potrebbe cambiare il marketing
La curiosità suscitata dalla moneta elettronica nota come bitcoin, da qualche anno, ha acceso i riflettori sulla tecnologia sottostante, detta blockchain. Si tratta di una particolare tecnologia (Distributed Ledger Technology) che consente la creazione e gestione di un grande registro di transazioni, di qualunque natura, replicato tra più nodi su una rete peer-to-peer. Il registro è strutturato in blocchi, contenenti più transazioni. Tali blocchi sono collegati tra loro per far sì che ogni transazione scritta in passato non possa essere modificata (da qui il concetto di catena di blocchi, blockchain). La validazione della transazione avviene con il consenso di tutti i nodi, ma solo quello che avrà risolto lunghi calcoli matematici (mining) potrà trascriverla sul registro. Il sistema, di fatto, permette di effettuare transazioni senza la necessità di intermediari o autorità centrali che verifichino e registrino i dati.
Ecco le principali caratteristiche delle tecnologie blockchain.
- Decentralizzazione: le informazioni vengono registrate e replicate tra più nodi (rete peer to peer) per garantire la sicurezza e la resilienza del sistema.
- Tracciabilità: ogni informazione scritta sul registro è tracciabile e se ne può risalire alla provenienza.
- Disintermediazione: la rete non necessita di autorità centrali.
- Trasparenza: il contenuto del registro è visibile a tutti ed è facilmente verificabile.
- Immutabilità: una volta scritti sul registro, i dati non possono essere modificati senza il consenso di tutti i nodi.
- Programmabilità dei trasferimenti: è possibile programmare specifiche azioni che vengono eseguite al verificarsi di determinate condizioni.
Gli smart contract, che nascono prima della blockchain, sono programmi che facilitano, verificano o fanno rispettare la negoziazione o l’esecuzione di un accordo. L’obiettivo del loro utilizzo è ridurre i costi e i tempi della transazione associati alla contrattazione. In pratica, si tratta di contratti tra parti tradotti in codice ed eseguiti da entità indipendenti che non possono colludere, contratti che se si possono codificare si possono anche calcolare, ossia si può fare in modo che l’esecuzione sia automatica se le condizioni si verificano (Chiriatti, M. #Humanless, Hoepli, 2019); quindi smart contract nel senso di contratti programmabili e autoeseguibili, nei quali la discrezionalità umana dell’esecuzione viene sostituita con quella algoritmica.
Consideriamo un esempio di fantasia: Walter e Pamela hanno un figlio, Johnny, che vogliono incentivare a studiare di più. Allora fanno un patto col ragazzo: se prenderà una A in educazione civica riceverà 5 dollari. Johnny accetta ma i genitori stanno per partire per una vacanza sull’Himalaya e lui vorrebbe il compenso appena otterrà il risultato. Però i due non si fidano, il figlio potrebbe dar loro una notizia falsa. Così Walter e Pamela scrivono uno smart contract che trasferirà i 5 dollari nel borsellino Ethereum di Johnny non appena otterrà la A. Sarà Mrs. Crabapple, l’insegnante, a inserire il voto nello smart contract. Per farlo, i genitori danno all’insegnante una chiave privata crittografata, in modo che possa essere la sola a poter fare quell’operazione. In questo caso Mrs. Crabapple funge secondo il gergo da oracolo fidato, trusted oracle. Un’idea del codice del contratto si può avere consultando questa pagina.
In sintesi, le caratteristiche degli smart contract sono:
- dati visibili a tutti i partecipanti della rete e non solo alle parti coinvolte;
- certezza dell’esecuzione di obbligazioni contrattuali;
- trasparenza delle obbligazioni contrattuali e dei loro risultati e risvolti tali da essere predefiniti;
- immutabilità delle transazioni registrate e quindi l’impossibilità di modificare o annullare il contratto;
- possibilità di trovare un accordo in assenza di fiducia, sostituendo la fiducia tradizionalmente riposta negli intermediari e tra le parti stesse con la fiducia computazionale riposta esclusivamente nel codice e nella rete della blockchain.
L’idea di una logica di business programmabile attraverso un contratto intelligente si deve all’informatico e crittografo Nick Szabo, che aveva l’obiettivo di incorporare i contratti nel mondo, vale a dire inserire direttamente dentro hardware e software gli accordi economici. Un’idea rimasta in sonno fino alla diffusione della blockchain di Ethereum. A differenza della blockchain di Bitcoin in cui le transazioni vengono tutte eseguite, di norma, linearmente e direttamente al loro arrivo, il protocollo e i linguaggi di Ethereum possono progettare ed eseguire programmi con regole di condizionalità (if this, then that) o regole di reiterazione (run until that). Queste regole di programmazione consentono di simulare e riprodurre, in un certo senso, accordi di business come insieme di promesse contrattuali computazionalmente eseguibili. Lo smart contract, una volta caricato in un blocco e pubblicato in blockchain, produrrà in automatico gli effetti contrattuali progettati in accordo con le indicazioni contenute nel contratto stesso e con i dati in input e output (oracles) necessari per la sua esecuzione effettiva (Accoto C., Il mondo ex machina, Egea, 2019).
Se le transazioni diventano programmabili vuol dire che ci avviamo verso un’economia programmabile e forse addirittura verso economie gestite dalle macchine. Nel saggio Radical Markets, Posner e Weyl sostengono che i mercati attuali non fanno altro che risolvere problemi complessi (la determinazione dei prezzi, l’ottimizzazione delle preferenze dei consumatori, la capacità produttiva ottimale) in maniera manuale, sfruttando l’intelligenza umana e le dinamiche interpersonali. Quindi i mercati sono come dei calcolatori umani che stanno arrivando a obsolescenza. Con l’aumento della potenza di calcolo dei computer, sostengono gli autori, potranno essere sostituiti da ecosistemi intelligenti in grado di calcolare e decidere in automatico che cosa produrre in relazione ai comportamenti e ai bisogni delle persone. A livello macro, questa macchina centralizzata di pianificazione potrà ridisegnare l’economia indicando alle aziende cosa produrre sulla base dei bisogni dei consumatori. A livello micro, robot personali potranno fare acquisti automaticamente valutando le preferenze dei consumatori (Posner E. A., E. Weyl G., Radical Markets: Uprooting Capitalism and Democracy for a Just Society, Princeton University Press, 2018).
Anche senza arrivare a questi scenari futuristici, che implicano la risoluzione di problemi tecnologici non indifferenti, la trasformazione dei rapporti azienda-consumatore in senso automatico va considerata.
Pensiamo alla vendita online di un prodotto personalizzato. Il cliente lo compra per fare un regalo, ma l’oggetto arriva dopo la data prevista. Oggi egli sarebbe costretto a contattare il customer service, a fare un reclamo e attendere la procedura di riconoscimento del rimborso. Le cose sarebbero molto più semplici se quel contratto di compravendita fosse stato programmato: all’arrivo il sistema si sarebbe accorto del ritardo e avrebbe erogato il credito sul borsellino dell’utente, insieme a un messaggio di scuse e a un buono per un prossimo acquisto. L’intera esperienza di acquisto ne avrebbe ricevuto un beneficio e forse i rapporti tra i contraenti non sarebbero stati compromessi.
Al momento la tecnologia blockchain viene sperimentata in diversi ambiti di marketing per eliminare i problemi legati alla fiducia tra le parti, aumentare la trasparenza dei processi, ridurre le frodi e abbassare i costi di transazione.
- Affiliate marketing: quando l’affiliato determina una conversione, il contratto intelligente sottostante viene eseguito ed eroga immediatamente il compenso, anche minimo, per quella prestazione, senza necessità di raggiungere dei livelli di guadagno (si vedano Reftoken, Hoqu, Tradedoubler).
- Influencer marketing: quando l’influencer pubblica il contenuto concordato con l’azienda, e dopo una verifica di coerenza, può essere erogato il pagamento in base ai risultati raggiunti (per esempio indaHash, Patreon).
- Loyalty: è possibile creare programmi fedeltà anche complessi che attribuiscono punti non solo all’acquisto, ma anche per piccole azioni quotidiane (come passaparola, condivisioni, like sui contenuti aziendali). Il sistema certifica le azioni e attribuisce le ricompense che possono essere riscosse anche immediatamente (per esempio Sandblock, KeyoCoin). Altre forme di premio possono essere applicate al livello di attenzione dell’utente. Per esempio il browser Brave ha creato i BAT (Basic Attention Token), dei gettoni digitali, basati su Ethereum, che le aziende inserzioniste pagano all’utente per i minuti trascorsi su un determinato sito che mostra delle pubblicità. In questo modo la spesa in pubblicità viene commisurata all’efficacia, nel rispetto della privacy dell’utente (i dati sono anonimizzati).
- Programmatic advertising: il modello attuale prevede che quando un’azienda inserzionista compra visualizzazioni attraverso piattaforme pubblicitarie (DSP), esse le erogano alle audience più adatte tra quelle che visitano migliaia di siti online. Nella realtà molte di quelle visualizzazioni non sono attribuibili a persone, ma a BOT, a traffico generato fraudolentemente. Oggi si stanno sperimentando protocolli, come AdChain, in grado di tracciare la singola impression e verificare se è stata davvero vista da un umano (tra le aziende che lavorano a modelli blockchain per prevenire le frodi vi sono Rebel AI, Lucidity, tribeOS e AdEx).
Ci sono ancora tanti problemi da risolvere, come la partecipazione di diversi attori/nodi alla rete e la lentezza dei calcoli necessari alla validazione sulla blockchain, ma la strada sembra essere percorribile nel medio lungo termine.
5. Come si è evoluto il digital marketing
Il 27 ottobre 1994 un rettangolo interattivo col messaggio Have you ever clicked your mouse right HERE? You Will apparve sul sito HotWired.com, accanto alle news della famosa bibbia della tecnologia. Era il primo banner creato dall’agenzia Modern Media per promuovere i servizi del colosso delle telecomunicazioni AT&T. All’epoca c’erano due milioni di computer connessi a Internet. Il clickthrough rate (CTR) fu stellare, pari al 44 percento: quasi la metà di chi lo aveva visto aveva deciso di cliccare. Un effetto curiosità che fece sperare molti, ma che col tempo avrebbe riportato tutti con i piedi per terra. Nel 2020 il CTR medio di un banner si aggira intorno allo 0,05 percento. In quel periodo avvenne anche la prima transazione e-commerce della storia: fu acquistata una pizza.
Nel 1996 DoubleClick riesce a mettere a punto un sistema progettato per automatizzare l’affissione di massa di questi manifesti interattivi sui muri del Web. È il primo passo verso l’automazione del marketing, le aziende potevano sapere quante volte era stato visto il loro banner e verificare il numero di clic, ma anche fare modifiche alle campagne. Inizia a prendere piede il modello a CPM (Costo per Mille Impression), non più un costo fisso per il periodo di permanenza del banner sul sito. Undici anni dopo l’azienda verrà acquisita da Google per 3,1 miliardi.
Nel 1998 GoTo.com, uno dei primordiali motori di ricerca nonché tra i siti più visitati, inaugura la prima asta per parole chiave finalizzata alla vendita di search advertising. Gli inserzionisti pagano per essere primi tra i risultati del motore (modello pay per click). L’anno dopo venne dato loro accesso a un sito per comprare le keyword ed effettuare l’asta in tempo reale. Il servizio, poi ribattezzato Overture, permetteva ai portali come MSN e Yahoo! di monetizzare le ricerche degli utenti, tanto che nel 2003 quest’ultimo decise di acquisirlo.
Nel gennaio del 2000 vede la luce il primo annuncio pubblicitario su Google.com, il motore di ricerca che ha sbaragliato la concorrenza. Il pagamento è a CPM e le vendite sono gestite manualmente da dipendenti di Mountain View. Solo a ottobre verrà rilasciato il self-service AdWords, uno strumento che permette alle aziende di targetizzare un’intenzione di acquisto. In un anno il sistema genererà 70 milioni di dollari di ricavi. Due anni dopo viene introdotta la funzione di determinazione dei prezzi basata sul costo per clic e il meccanismo d’asta per cui chi offre di più si assicura il posto più alto per il proprio annuncio (purché abbia un quality score alto ossia un’elevata pertinenza con la specifica ricerca).
Il marketing digitale fa un altro passo in avanti con l’introduzione di Google Analytics nel 2005, che inizierà a far capire l’importanza di rendere visibile la realtà dei bit al fine di prendere decisioni efficaci. I marketer sono indaffarati con la Search Engine Optimization mentre Facebook inizia la sua conquista del mondo. È il 2006 quando Zuckerberg lancia il suo strumento di advertising che, un anno dopo, verrà perfezionato per consentire una targetizzazione basata sulle caratteristiche demografiche dell’audience. Gli annunci entreranno nei feed degli utenti solo nel 2012 e il social advertising, che sembrava un’eresia, diventerà il modo normale di fare pubblicità in un mondo connesso.
Il 2006 fece segnare la comparsa della pubblicità nei video di YouTube e la nascita di AdMob, che introdusse un sistema che permetteva a sviluppatori ed editori di fare pubblicità nelle loro applicazioni mobili.
Entrambe le aziende verranno acquisite da Google nel 2010, anno in cui Steve Jobs stupisce tutti con l’iPad e prova a competere in questo spazio con la sua piattaforma di mobile advertising, iAd. Cinque anni dopo il settore del social advertising viene ringiovanito da Snapchat che introduce la prima forma di pubblicità interattiva e mobile basata sulla realtà aumentata (Sponsored Lenses). In pratica, le persone possono farsi un selfie o un video utilizzando elementi virtuali, come i personaggi del film The Peanuts, che fu il primo a sfruttare questa opportunità.
In questi anni la pubblicità si è adattata alle molteplici modalità di utilizzo della Rete, in mobilità, attraverso le app e nei social media, e la pianificazione è diventata più precisa, ma anche più complicata. Gli strumenti sono diventati più sofisticati e le aziende più grandi hanno dovuto fare i conti con il programmatic advertising ossia l’acquisto massivo di spazi pubblicitari tramite asta, basato sui dati più disparati di audience. Il sistema però è oggetto di critiche per la sua opacità e per la scarsa qualità dei risultati (network di basso livello, possibili frodi legati alle visualizzazioni effettive, dati di profilazione non corretti). Questo è uno dei motivi, insieme alla diffusione dei software per bloccare le pubblicità (ad blocker), per cui le aziende oggi affiancano la pubblicità online ad altre forme di promozione come l’influencer marketing (in cui si affida il messaggio aziendale a una persona, più o meno nota, che gode di credibilità presso il suo pubblico, più o meno ampio), il branded content (un rinnovamento delle attività di product placement), il native advertising (un adattamento dei vecchi pubbliredazionali, in cui l’editore viene pagato per produrre un articolo che assomiglia a quelli che pubblica solitamente). A questo si aggiungono le sperimentazioni attraverso advergame (un gioco digitale brandizzato), QR code, assistenti vocali e tanto altro.
Ma il digital marketing oggi non si esaurisce nella gestione della pubblicità nelle sue diverse forme. Comprende le attività sul CRM e sull’e-mail marketing, la gestione editoriale dei contenuti aziendali sui propri siti e sui social media, a volte anche la gestione del customer care.
Per provare a definire i confini di questo concetto ormai largamente utilizzato, si può dire con le parole di Marketing digitale (Peretti P., Apogeo Education, 2011) che:
Il digital marketing è l’insieme di attività che, attraverso l’uso di strumenti digitali, sviluppano campagne di marketing e comunicazione integrate, targettizzate e capaci di generare risultati misurabili che aiutano l’organizzazione a individuare e mappare costantemente i bisogni della domanda, a facilitare gli scambi in modo innovativo, costruendo con la stessa una relazione interattiva che genera valore nel tempo.
In effetti, in un mondo digitale, il software è il mezzo che mette in contatto aziende e consumatori, nella maggior parte dei casi. Le aziende lo sfruttano per migliorare i propri processi e per progettare e gestire gli spazi di contatto con la propria audience (social media e app); specularmente le persone lo usano per navigare online e accedere a servizi via app, in alcuni casi modificando l’esperienza progettata dal marketer attraverso l’uso di altri software (si pensi agli ad blocker per evitare di vedere pubblicità).
Dunque gli strumenti digitali sono l’interfaccia che mette in connessione aziende e persone, ma non dovrebbero definire o peggio offuscare l’agire del marketer. Purtroppo l’enfasi sugli strumenti generata dall’hype attorno al digital marketing ha portato un’intera generazione di professionisti a saltare completamente lo studio dei fondamenti del marketing per buttarsi a capofitto nell’utilizzo dei tool. Così facendo molti hanno imparato a usare perfettamente gli strumenti disponibili, ma aderendo inconsapevolmente alla loro logica di progettazione e perdendo di vista gli obiettivi aziendali. Basta fare un giro sulla pagina Facebook di qualche grande azienda per vedere come sia stata piegata alla creatività spicciola e alla battuta sulla notizia del giorno, alla ricerca di un vuoto engagement. È il momento di tornare alle basi del marketing, ma con una mentalità nuova in grado di accogliere l’innovazione tecnologica e senza farsi soggiogare da essa.
Questo articolo richiama contenuti da Marketing aumentato.
Immagine di apertura di Giu Vicente su Unsplash.
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