Undici settembre, un anno dopo. Ricorrenza tanto tragica quanto inevitabile, le cui diramazioni non possono fare a meno di espandersi in ogni ambito del quotidiano e in tutti gli angoli del pianeta. Qui negli Stati Uniti, com’è ovvio, l’editoria in senso lato ha da tempo dato vita a un’ampia diffusione di nuovi volumi, edizioni speciali, documentari e quant’altro. Per farsene un’idea basta fare un salto su Amazon.com, dove è stato aperto un apposito “negozio” dedicato proprio a “September 11 and Beyond”. D’altra parte il medium elettronico tende a straripare, e su Internet è impossibile tener traccia di tutte le situazioni e le risorse commemorative già pronte e in via di sistemazione. Rimanendo in ambito mainstream non c’è insomma che l’imbarazzo della scelta. E per l’informazione in senso stretto, un solo esempio per tutti: l’archivio in aggiornamento continuo sui reportage online di quell’11 settembre e successivi sviluppi, organizzato da cyberjournalist.net.
Comunque sia, è sempre bene non accontentarsi e fare lo sforzo di andare a rimestare tra le ricadute di quella tragedia. Inclusi certi pericolosi restringimenti delle libertà online (soprattutto, ma non solo) che in questi giorni vengono apertamente denunciate da più parti.
È infatti di queste ore infatti la http://apnews.excite.com/article/20020905/D7LRJR200.html secca denuncia di Reporters Without Borders, rilanciata così dall’Associated Press: Alcune democrazie occidentali sono divenute ‘predatori di libertà digitali’, usando la lotta contro il terrorismo per aumentare la sorveglianza su Internet. Nel rapporto, diffuso nella sede dell’associazione a Parigi, si legge tra l’altro “Ad un anno dai tragici eventi di New York e Washington, Internet può essere inclusa nell’elenco dei ‘danni collaterali.’ Le cyber-libertà sono state minacciate e le fondamentali libertà digitali amputate.” Sotto accusa, si badi bene, non sono soltanto paesi ‘lontani’ come Cina, Vietnam ed altri tradizionalmente schierati contro ogni dissenso politico, ma anche diverse nazioni occidentali. L’elenco diffuso da Reporters Without Borders parla chiaro: il ricorso alla polizia su Internet riguarderebbe Stati Uniti, Gran Bretagna, Francia, Germania, Italia, Spagna, Danimarca e il Parlamento Europeo.
Rispetto agli USA si è più volte documentato il clima tutt’altro che sereno rispetto a questo contesto, con annessa approvazione di varie norme pesanti in tema di cosiddetto cyber-terrorismo. Né vanno dimenticate le manovre attivate dall’FBI per ampliare i propri poteri di controllo nel mondo elettronico, da “Carnivore” a “Magic Lantern”. Il rapporto parigino vi aggiunge, ad esempio, una recente legge canadese che “minaccia chiaramente la confidenzialità degli scambi di posta elettronica.” Mentre una proposta francese penalizzerebbe i provider, costretti a tenere per u anno copie di tutte le e-mail passate sui loro server. E un po’ ovunque sono state appesantite le pene per reati commessi “via computer.”
Fatto ancor più preoccupante, la denuncia di Reporters Without Borders fa seguito di appena qualche giorno ad un’uscita analoga di Electronic Privacy Information Center e Privacy International. L’articolato documento diffuso dalle due organizzazioni (la prima con base a Washington, DC, la seconda a Londra) non fa che ribadire il concetto: eccessive le nuove misure anti-terrorismo approvate, maggiori i rischi di sorveglianza nelle comunicazioni personali, aumento delle strategie di controllo e identificazione dei singoli. E se non bastasse, la prefazione del documento apre spiegando che, nella corsa a irrobustire le difese nazionali contro il terrorismo, i governi hanno approvato misure che “hanno conseguenze fin troppo ampie per la tutela della privacy.”
Il rapporto di EPIC e Privacy International ha cadenza annuale e prende in esame lo stato della privacy in oltre 55 paesi di ogni parte del mondo. Ampliando l’orizzonte della ricerca, va detto che il “2002 Privacy and Human Rights report” segnala che le legislazioni a protezione della privacy sul luogo di lavoro stanno ottenendo maggiore sostegno mentre proseguono gli sforzi per l’approvazione di norme a tutela dei dati personali nell’Europa Orientale, in Asia e in America Latina.” Un ambito questo in cui si registrano quindi dei progressi. Ed anche di fronte alle preoccupazioni per l’ennesimo giro di vite elettronico, rimane viva la fiducia nella democrazia, ovvero la speranza che proprio “l’attenta disamina delle risposte dei vari paesi presi in esame alle sfide contemporanee, incluse tragedie come quella dell’11 settembre 2001, possa consentire la salvaguardia della privacy negli anni a venire,” come si legge a chiusura della prefazione. Una fiducia nel dibattito e nell’informazione confermata dalla successiva iniziativa dei due gruppi: proprio a un anno da quei fatti, Privacy International e EPIC organizzano a Londra una giornata di discussione sul tema “Privacy, società aperta e le sfide dell’11 settembre.”
Tendenze preoccupanti, quindi, anche se forse non è il caso di essere troppo pessimisti. L’importante, soprattutto in simili frangenti, è informarsi, tenere occhi e orecchie bene aperti, onde attivarsi per evitare che Internet finisca davvero “sotto la tutela dei servizi di sicurezza,” come scrivono ancora Reporters Without Borders.