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Marketing su Facebook: imparare da un fallimento

17 Ottobre 2018

Marketing su Facebook: imparare da un fallimento

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Guai a vedere solo il prodotto e perdere di vista il contesto in cui ci muoviamo per promuoverne la vendita.

Nell’ultimo anno ho sentito parlare molto di approccio olistico, ovvero quella capacità di non suddividere il marketing in tanti silos diversi, isolando da un lato l’email e dall’altro Facebook, da una parte l’ottimizzazione nei motori di ricerca e dall’altra la ricerca a pagamento su Google, ma di guardare l’insieme, trattare il marketing come se il tutto fosse più della somma delle parti. Questo capitolo riassume un fallimento, generato proprio dalla mancanza di tale approccio, dall’esserci concentrati solo su una parte, avendo per un attimo tralasciato uno sguardo dall’alto, complessivo, sul marketing. Nonostante una strategia di marketing creata e pensata in modo certosino, alla fine le cose non sono andate come speravamo. Perché non avevamo tenuto conto di un cambiamento.

Vendere una renna online

Come si vende una renna online? Una renna come quella qui sotto.

Una renna luminosa da vendere con buon marketing

La renna di Natale luminosa che di solito si affianca all’albero o si piazza in giardino.

Trattasi di un modello piuttosto ricercato nel Natale del 2016, perfetto da affiancare all’albero, con luci regolabili e testa semovente. Dietro a questa semplice renna non solo si nasconde uno dei più grandi fallimenti della mia storia di marketer, ma anche una presa di coscienza di quanto il nostro sguardo sul marketing, sul customer journey (il comportamento d’acquisto del nostro pubblico), sui percorsi cognitivi di chi compra sia a volte così miope e autoconfermativo da illuderci che la nostra strategia sia corretta, senza accorgersi che, lì fuori, i clienti vanno da tutta un’altra parte. E anzi, nel caso della renna, più io mi autoconvincevo di aver fatto tutto in modo corretto, più alimentavo le vendite dei miei concorrenti.

Come vendere una renna online

È il punto chiave della questione. Nel momento in cui ci facciamo questa domanda (se ce la facciamo), il nostro cervello punta dritto dritto a un elenco di canali in cui veicolare la nuova collezione di Renne del Natale 2016: newsletter agli iscritti allo store? Campagna search su parola chiave Regali di Natale? Un post su Facebook con un video della testa semovente? Facciamo un focus su Facebook. Attraverso la pagina aziendale dello store, progettiamo un post che contenga da un lato la presentazione del prodotto, dall’altro un link che punti verso la sua scheda. In tutto questo processo siamo anche parecchio smart, perché abbiamo imparato che ormai Facebook nella sua dimensione organica, quindi non a pagamento, ci regala ben poca visibilità e per forza di cose dobbiamo dotarci di un budget, spesso stabilito a priori senza alcun obiettivo ben definito, per promuovere a pagamento il lancio della nostra renna. E a questo punto Facebook per noi non ha segreti, perché quando decidiamo il nostro target possiamo andare sul sicuro, diretti a tutte le persone che hanno come interesse il Natale, oppure Una Poltrona per Due, oppure Il Grinch. Quanto investiamo? Be’, dai, facciamo una prova: un centinaio di euro e vediamo come va, del resto le persone interessate al Natale sono circa dodici milioni di italiane e italiani iscritti su Facebook, qualcuno comprerà la renna, giusto? La risposta è no. Nessuno la comprerà, o, meglio, qualche acquisto ci sarà, ma nulla che possa compensare l’investimento in termini di budget, tempo e risorse. Questa logica di aver un prodotto, qualunque esso sia, dalla renna a un evento in spiaggia, da un viaggio organizzato al corso di danza, e pubblicizzarlo subito su Facebook con l’aspettativa di ottenere una conversione ha il solo scopo di rendervi tristi e profondamente delusi. Cosa c’entra tutto questo con le renne? Be’, è molto semplice: immaginate di essere un’azienda, immaginate di avere un prodotto e di volerlo promuovere su Facebook. Il vostro prodotto si affaccerà, o meglio, irromperà, in migliaia di finestre quotidiane delle persone, composte dalle foto di un matrimonio, un commento politico, risate di fronte a un buffissimo video coi gattini. Fatevi una domanda: il valore del vostro prodotto potrà mai superare quello del frame quotidiano delle persone? In questo preciso momento storico, la maggior parte delle strategie delle aziende su Facebook sono bidimensionali: una dimensione di prodotto e una dimensione di comunicazione del prodotto verso audience indistinte, e queste audience nella maggior parte dei casi sono impegnate in attività dal valore percepito molto più alto rispetto a quello del prodotto aziendale. Quando incontro il brand delle renne, la sua comunicazione è proprio come quella dipinta dall’immagine: l’azienda al centro, con la sua fan page da decine di migliaia di fan su Facebook, che eroga campagne di vendita di prodotto su un pubblico composto da:

  • fan.
  • persone segmentate per una determinata fascia d’età.

Non è una audience del tutto indistinta, perché comunque ci troviamo di fronte a un cluster demografico ben preciso, ma è davvero troppo ampia e generica: il totale del nostro pubblico potenziale è di sei milioni di persone. A conti fatti, stiamo ipotizzando che la nostra renna possa interessare a circa un quinto della popolazione italiana presente su Facebook. Non solo la nostra aspettativa è davvero troppo ampia, ma se dovessimo raggiungere davvero sei milioni di persone, avremmo bisogno di un budget bello sostanzioso… e in tutto questo non dimentichiamoci che questi sei milioni di esseri umani non solo non hanno idea di chi siamo, ma non hanno mai espresso il desiderio di possedere la renna dalla testa semovente.

Il fallimento

Le renne hanno un successo notevole nel Natale 2016. La campagna marketing ha agito su due direttrici: quella delle vendite e quella del branding e dell’awareness dell’oggetto renna, con centinaia e centinaia di condivisioni su Facebook e Instagram. Spesso siamo portati a pensare che agire con buon senso sia già il 90% del lavoro. È vero, molto spesso è proprio così. Però, credetemi, a volte il buon senso porta a commettere errori clamorosi; quindi, accanto al tradizionale buon senso, fatevi aiutare dai numeri, da metriche sane, da interpretazioni dei dati sensate e veritiere. Perché in questo caso, se la vostra struttura di campagna vi ha portato un consistente successo, il buon senso è lì che vi guarda, sereno e sorridente e non fa altro che dirvi: Be’, se abbiamo avuto successo nel Natale 2016, figurati cosa potrà accadere nel Natale 2017. E così abbiamo seguito il buon senso, andando a intensificare le attività, aumentando il budget e la pressione della campagna marketing. Tutto procede a gonfie vele fino alla metà di ottobre 2017, quando ci stabilizziamo su risultati superiori all’anno precedente. Il primo indizio arriva negli ultimi quindici giorni di ottobre: Facebook segna risultati ancora molto alti sia in termini di clic sia di vendite nel nostro store, tuttavia Google Analytics, che tiene conto di tutti i canali, registra una flessione delle vendite di renne del 2% rispetto al 2016. Strano, davvero strano mi dico, mentre studio la situazione.

Perché stiamo investendo un bel po’ di più rispetto allo scorso anno in pubblicità su Facebook, le vendite su questo canale mi sembrano in ascesa… com’è possibile subire un drop degli acquisti giusto in questo periodo di avvicinamento al Natale, in cui teoricamente l’interesse per le renne dovrebbe aumentare, non diminuire? Dev’essere colpa di qualcos’altro.

La ricerca non porta a grandi rivelazioni, perché le campagne su Google sono in linea con i valori dello scorso anno, il traffico organico è stabile, il traffico diretto forse converte un po’ meno del 2016 ma nulla che possa giustificare un tale calo. Alla fine del Natale la perdita è nettissima: abbiamo venduto quasi ventimila euro di renne in meno rispetto all’anno precedente. E il paradosso è che la campagna marketing si assesta sugli stessi valori del 2016, quindi ai nostri occhi tutto appare come l’ennesimo grande successo. Ipotizziamo che qualche altro nostro collega, magari chi ha curato il contenuto, chi si è occupato del posizionamento sui motori di ricerca, chi si è occupato delle campagne Google, non sia stato bravo quanto noi. Tipico no? È sempre colpa di qualcun altro. E invece.

Le finestre di attribuzione

Avete mai sentito parlare di finestre di attribuzione? È una metrica del web marketing tanto importante quanto sottovalutata. Una finestra di attribuzione è quel periodo temporale che separa uno stimolo dalla realizzazione dell’azione per cui è stato progettato quello stimolo. Facciamo un esempio: io vedo un contenuto su Facebook che mi mostra un vestito, ci faccio clic, vado sullo store e compro il vestito nell’arco di ventiquattro ore. Bene, la finestra di attribuzione segnerà il mio acquisto sotto la casella 1-day click. Il contenuto su Facebook è lo stimolo, l’acquisto è l’azione che si realizza: se tutto questo processo si chiude nelle ventiquattro ore, questa conversione è definita 1-day click. Le principali finestre di attribuzione da osservare sono quattro:

  • 1-day click, stimolo, clic e conseguente acquisto entro le ventiquattro ore.
  • 7-day click, stimolo, clic e conseguente acquisto dopo la venticinquesima ora ed entro il settimo giorno.
  • 28-day click, acquisto che si è realizzato dall’ottavo giorno al ventottesimo giorno dal clic.
  • 1-day view, ovvero vedo un contenuto, non ci clicco e lo stesso giorno vado sullo store e acquisto. Viola vede una pubblicità della renna su Facebook, non ci clicca, magari va su Google e cerca renna di Natale, entra nello store e la compra. Di solito, le attribuzioni a cui prestiamo maggiore attenzione sono quelle a un giorno dal clic, perché sono le più solide e attendibili: c’è uno stimolo, questo stimolo genera un clic e il clic genera un acquisto nell’arco di ventiquattro ore.

Non farei così tanto affidamento sulle 1-day view, in cui Facebook si ammala di una sorta di protagonismo e si attribuisce il merito di una vendita della renna solo perché la sua immagine è comparsa nel feed Facebook di un utente che poi l’ha acquistata seguendo altri percorsi. Riassumendo, se su cento vendite generate ottanta provengono da 1-day view, be’, forse qualche problema dovrei cominciare a pormelo, perché in otto vendite su dieci Facebook si sta ritagliando un ruolo da protagonista decisamente esagerato. Se invece il rapporto è un po’ più bilanciato e ben distribuito su tutte e quattro le finestre di attribuzione, siamo di fronte a uno scenario più realistico e rispettoso del contributo reale dato da Facebook alle vendite.

L'importante delle finestre di attribuzione in Facebook

Le finestre di attribuzione di Facebook per un ecommerce nella vista della gestione inserzioni.

Il dato delle finestre di conversione da un anno all’altro nel nostro mondo delle renne è buono.

  • Il 1-day click aumenta del 15% rispetto allo scorso anno.
  • Il 1-day view diminuisce del 45% rispetto all’anno precedente.

La campagna è più solida, con clic più sinceri e realistici, gli utenti vedono la renna, ci cliccano sopra, vanno sul sito e la comprano. A dirla tutta, è un po’ preoccupante quel quasi dimezzamento delle vendite attribuite al 1-day view: sembra che all’improvviso i nostri renna-lovers osservino il prodotto sui social ma non prendano nemmeno in considerazione l’idea di fare un salto sul sito ad acquistarla. Forse è il caso di studiare meglio questo dato. E cosa scopriamo? Tra settembre, ottobre e novembre il risultato del 1-day view peggiora a vista d’occhio. Ma è durante i venti giorni prima di Natale che il fenomeno assume i connotati più misteriosi e inquietanti: a un aumento del budget per la campagna (per forza, siamo sotto Natale e se non vendiamo le renne a Natale, quando le vendiamo?) corrisponde una drastica riduzione delle vendite con attribuzione 1-day view. Più investi, più perdi. Incredibile. C’è una bellissima espressione americana usata nel mondo del poker che definisce il momento in cui un giocatore, trovandosi di fronte a una decisione difficile, richiede del tempo aggiuntivo per pensare: go in the tank. In realtà il tempo a nostra disposizione era più che esaurito, perché ormai il drop di vendite si era ben che materializzato. Cliente deluso e noi ad annaspare senza grandi risposte da fornire, se non guarda che dal lato nostro è stato un successo. Quel classico non è colpa nostra che troppo spesso pronunciamo.

Il colpevole

Passa il Natale e mi prendo qualche giorno di ferie. E nel pieno del mio cazzeggio su Facebook vedo una pubblicità di un rivenditore di t-shirt della Major League americana, il campionato di baseball a stelle e strisce. Gli Houston Astros quest’anno hanno fatto un’annata strepitosa: a novembre hanno conquistato il titolo battendo in finale i Los Angeles Dodgers e per celebrare la vittoria hanno prodotto alcune magliette in edizione limitata. Osservo la pubblicità, esco da Facebook, vado su Google e cerco t-shirt Astros limited edition. Mi godo i risultati, cercando tra più offerte e tra più colori di maglia. Aspetta, ferma un attimo: cosa ho appena fatto? Ho visto un’inserzione che mi ha suscitato uno stimolo all’acquisto, ma non ho cliccato perché preferisco coltivare il mio stimolo con i suggerimenti del motore di ricerca e controllare l’intero panorama delle offerte nel mercato delle t-shirt degli Astros. Il giorno stesso ho comprato una t-shirt prodotta da Nike degli Astros. Quel giorno ho realizzato di essere nel segmento di acquisto 1-day view. Quel giorno ho realizzato con estrema precisione cosa fosse successo con le renne. E subito dopo la ricerca della maglietta degli Astros, ho cominciato a cercare su Google renna luminosa scoprendo decine e decine di competitor che offrivano lo stesso identico prodotto a un prezzo più basso. Nel 2016 questo non accadeva, perché la renna era il prodotto best seller, originale e unico. Nel 2017 tutti gli altri player del mercato, soprattutto alcuni rivenditori su Amazon, proponevano la nostra intera gamma di renne a prezzi più competitivi e magari il prodotto era sì di qualità inferiore, ma tanto cosa mi interessa della qualità? Deve stare una quarantina di giorni sotto l’albero e poi ciao. E ho realizzato che più iniettavo denaro nella mia campagna marketing per vendere in un renne, più stavo stimolando il mio pubblico ad acquistarle in altri store.

Finestra di ricerca di renne luminose su Google

La Search Engine Results Page (SERP) delle renne nella nuova situazione.

  Questo articolo si ispira al Capitolo 2 di Marketing in un mondo digitale.

L'autore

  • Alessandra Farabegoli
    Alessandra Farabegoli si occupa di Internet dalla fine degli anni Novanta. Dopo aver diretto per otto anni un'agenzia web, ha scelto la strada della consulenza e della formazione per insegnare – a enti, aziende e persone – come usare la Rete per fornire un servizio migliore, guadagnare di più e lavorare meglio.
  • Enrico Marchetto
    Enrico Marchetto è socio fondatore di Noiza.com, una delle più longeve realtà del web marketing italiano. Si dedica principalmente allo studio delle strategie aziendali sui social network e si è specializzato nell’advertising su Facebook. Insegna Strategie Digitali per il Turismo all’Università di Udine e Facebook Strategy al master WeM_Park presso il Polo Universitario di Prato.

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