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Le mie linee guida per lo storytelling con i dati

23 Maggio 2018

Le mie linee guida per lo storytelling con i dati

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Produrre visualizzazioni numeriche ha cessato di essere una opzione superflua di Excel, per divenire necessità comunicativa.

[Pubblichiamo in italiano un articolo tratto dal blog dell’autrice di Data storytelling, intitolato in origine My guiding principles. L’autrice è riconosciuta come autorità quando di parla di visualizzazioni grafiche di dati.]

Quando una persona crea un grafico, effettua una quantità ingente di scelte – intenzionali e anche no – che impattano sul design complessivo. Suona ovvio, lo so, eppure è un punto critico. Nessun “esperto” ha “ragione” quando si ragiona sulle numerose scelte specifiche che influenzano il design di una visualizzazione di dati.

Disciplina situata a una divertente intersezione tra arte e scienza. Quest’ultima nelle linee guida e nelle buone pratiche da seguire; la prima, appunto, nell’interpretare le tante scelte che ci si pongono davanti. (Riconosco che non tutti concordano su questo; un dibattito che potrebbe essere utile a proposito si è svolto tempo fa tra Stephen Few e me, un botta e risposta dal suo blog al mio blog).

Personalizzazione

Ne risulta che due persone diverse possono avvicinarsi alla stessa sfida di visualizzazione in modalità totalmente differenti. Va benissimo. È un’ottima cosa. Significa che nelle visualizzazioni dei dati c’è spazio per qualcosa di noi. Questo potrebbe tradursi in decisioni che riguardano lo stile personale o modi per mettere il risalto il branding di clienti, gruppi, organizzazioni. Le forme della personalizzazione sono innumerevoli, a partire da preferenze per certi caratteri o combinazioni di colore, decisioni sulla presenza o meno degli assi o delle scale graduate, se non addirittura la predilezione (o il suo contrario!) per certi tipi di grafico.

Nel mettere insieme il team dietro storytelling with data e aggiungere persone al gruppo, ho riflettuto molto su questo. Sto cercando di stabilire quando la visualizzazione dei dati dovrebbe avvenire “alla Cole” e quando invece lasciare spazio alla personalizzazione da parte di altri. Non ho ancora una risposta. Come parte della mia riflessione tuttavia, ho pensato che sarebbe utile fare un passo indietro e definire e descrivere i principî alla base del mio lavoro. Sono concetti familiari per i lettori del mio libro o per i partecipanti a un mio workshop, che qui voglio inquadrare in forma leggermente diversa, come sette linee guida alla creazione di un grafico che faccia effetto:

  • Chiarire l’intento. Visualizziamo dati a scopo esplorativo (per capirne di più) oppure esplicativo (per passare un messaggio chiaro a terzi)? L’uso per il quale intendiamo la visualizzazione ha implicazioni importanti per il suo design. Nei casi esplicativi – la maggior parte, almeno nel mio lavoro – bisogna avere un punto di vista chiaro e renderlo ancora più chiaro.
  • Sorprendere. Sappiamo di avere creato un grafico con i fiocchi quando permette di cogliere qualcosa che prima era invisibile. Il miglior modo di guardare ai dati dovrebbe risultare intuitivo al pubblico; guardarlo non dovrebbe apparire come un impegno.
  • Evitare complicazioni. Più che evitare di semplificare all’eccesso o banalizzare, è meglio non rendere le cose più complicate di quello che sono. Prendere qualcosa di complesso e presentarlo in modo accessibile al pubblico è difficile. Puntiamo a essere lineari.
  • Liberarsi dell’inessenziale. La mia citazione preferita da Antoine de Saint-Exupéry: Sai di avere raggiunto la perfezione non quando niente rimane da aggiungere, ma quando niente resta da togliere. Ingombri e distrazioni vanno eliminate.
  • Dirigere lo sguardo. Il pubblico non deve elaborare ogni parte dell’immagine prima di capire dove puntare l’attenzione; dobbiamo indicarglielo chiaramente. Creiamo una gerarchia visiva tramite l’enfasi su certi elementi e l’allontanamento di altri verso lo sfondo.
  • Le parole rendono accessibile un grafico. Ogni grafico ha bisogno di un titolo e ogni asse pure. Le eccezioni sono rare e confermano la regola. Il titolo deve spiegare con efficacia e coerenza, per eliminare ogni ambiguità. Includiamo note con le fonti, la metodologia e se ne necessario la pronuncia dei termini ambigui.
  • Prima il pubblico. In definitiva, quello che facciamo quando comunichiamo dati è fatto per il nostro pubblico. Pensiamo a loro prima di tutto, mentre progettiamo, e creiamo cose che esaudiscono i loro desideri. In qualche caso capiterà di doversi ammorbidire rispetto alle precedenti linee guida. Nessun problema.

Nel rispetto delle differenze personali di stile cui abbiamo accennato, le sfumature di quanto affermato finora potrebbero differire dalla mia interpretazione. Credo però che seguire la sostanza di queste indicazioni metta sulla strada giusta per creare visualizzazioni efficaci dei nostri dati.

Sono interessata a discutere di tutto questo. Quando e come lo stile personale influenza i progetti di visualizzazione dei dati? Dovrei aggiungere o modificare linee guida? Che linee guida hai tu, quando visualizzi dati? Lasciami un commento!

[Inoltreremo a Cole Nussbaumer Knaflic i commenti che arrivano!]

Data storytelling

Settanta volte sette queste linee guida.

L'autore

  • Cole Nussbaumer Knaflic
    Cole Nussbaumer Knaflic ha un'esperienza più che decennale nell'analisi e nella presentazione di dati e informazioni. Ha lavorato per istituti finanziari, aziende, enti no-profit e Google prima di fondare la sua società di consulenza Storytelling With Data. Tiene seminari e workshop per insegnare come presentare e raccontare informazioni in maniera chiara e coinvolgente.

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