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Un dialogo impossibile

29 Novembre 2016

Un dialogo impossibile

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Una questione evidente a tutti che ancora non sappiamo affrontare: il rapporto tra tecnologia e politica.

Che tra i due mondi viga uno stato di reciproca incomprensione, diffidenza e perfino disprezzo è cosa nota. Si potrebbe sostenere che c’è un’anima calvinista nella tecnologia, mentre la politica ha sempre tratti levantini.

Dal campo tecnologico osservo la politica come attività dominata dalla contrattazione al ribasso e dallo svilimento dell’efficacia tecnologica a favore di interessi distribuiti. I politici si contraddistinguono per arroganza combinata a ignoranza crassa e compiaciuta, oltreché per inaffidabilità, incapacità e una spiacevole tendenza all’intrallazzo.

Dalla parte della politica, pare che i tecnologi siano considerati, quando va bene, meri esecutori, operai specializzati o poco più, oppure utili comparse, soprattutto se dotati di titoli accademici o referenze professionali, per convegni, interviste o commissioni di esperti.

Ogni tanto è accaduto che ci fossero tecnici prestati alla politica, accademici o professionisti, ai quali veniva incautamente attribuita la capacità di iniettare geni calvinisti nel corpo levantino. Finisce regolarmente in nulla, il tecnico viene fagocitato oppure si trasforma in politico a tutto tondo.

È una gara persa, non c’è speranza, la sfera politica è troppo corrotta e inetta per dialogare con la tecnologia. La quale deve seguire la propria traiettoria, più alta e dritta dei movimenti da ubriaco della politica. Già.

Ne siamo veramente sicuri al cento percento? Neanche un dubbio piccolo piccolo? Nemmeno un’autocritica? Uno sguardo attorno a com’è il mondo fuori?

Io ho molti dubbi, anzi, sono convinto che sia del tutto sbagliato, a partire dall’assenza di sguardo introspettivo, e quindi di autocritica, che affligge molta parte del mondo tecnologico. I tecnologi non sono migliori dei politici – più corretti, meno ignoranti – come non lo sono gli avvocati, gli imprenditori, gli artisti e perfino gli operai. Questo è un primo punto; siamo tutti mediamente calvinisti e levantini. Così tosiamo le orecchie alle pretese di superiorità morale, etica se non addirittura umana.

Frine svelata all'Areopago

Frine svelata all’Areopago o allegoria del conflitto tra tecnologia e politica?

 

Un secondo punto è più importante: i tecnologi non hanno sviluppato una coscienza politica. Questo è il loro errore capitale: non capiscono niente di politica, non sanno cosa sia, non riescono a riconoscerla quando la vedono o nelle proprie decisioni. Un conto è disprezzare i politici o una classe politica e delle pratiche politiche. Tutt’altra storia è non avere sviluppato una consapevolezza politica. E questa consapevolezza i tecnologi, mediamente s’intende, non ce l’hanno. Da qui nascono molti problemi.

La tecnologia non è (quasi mai) neutra politicamente e questa verità ce la si dimentica con grande impegno. La tecnologia digitale, in particolare, ha smesso di essere politicamente neutra quando è stato costruito il primo calcolatore e con quello ha preso il via l’industria civile e militare delle tecnologie dell’informazione che hanno trasformato i modi della produzione, il modo di fare la guerra, di comunicare tra persone, di fare soldi, di cercare un lavoro, di sapere cosa accade nel mondo, di studiare, di viaggiare, di nutrirsi, di essere curati e di fare sesso. Forse, per ora, solo il modo di morire delle persone non è stato toccato dalle tecnologie dell’informazione. Ma lo sarà.

Qualcuno pensa che questo non abbia una valenza politica? Che non influenzi chi fa le leggi? Non abbia nulla a che fare con partiti e movimenti, unioni e spaccature di formazioni? Qualcuno veramente pensa che la pervasività di internet, dei social, dei device per comunicare, informarsi o monitorare funzioni biologiche non abbia modificato il corso della politica contemporanea?

Il Quarto Stato di Pellizza da Volpedo

La tecnologia pervasiva ha per certo cambiato le dinamiche politiche e sociali.

 

Equivarrebbe a ritenere che le invenzioni per fare le guerre, dalle armi metalliche alla polvere da sparo, non abbiano cambiato il corso della storia, che l’indusralizzazione non sia stata alla base della caduta della vecchia politica nobiliare o anche che la diffusione di massa di televisore, eletrodomestici ed automobile non abbiano trasformato la società e la politica a partire dagli anni Cinquanta del ‘900. Chi pensa che Information Technology e politica, calvinisti e levantini, viaggino su binari che non si toccano mai, vive su Marte o in una caverna o è uno dei molti tecnologi che non hanno (ancora) sviluppato una consapevolezza politica.

Anche il rifiuto della politica o il disprezzo verso i politici è un’azione con una connotazione politica molto precisa, come insegnano i movimenti qualunquisti, populisti e antipolitici che si sono succeduti nella storia.

Consapevolezza

La sua mancanza è il peggior difetto della sfera tecnologica per gli effetti pratici, molto tangibili che produce. E dei quali costantemente ci lamentiamo senza però capire come risolverli. Primo tra tutti, l’irrilevanza dei tecnologi all’interno dei processi decisionali dello stato. Secondo, l’assenza di familiarità con temi tecnologici che pervade la politica, le professioni e la cultura italiana. Terzo, l’incapacità dei tecnologi di formulare manifesti, piani di sviluppo, proposte politicamente sostenibili.

Invece voglio discutere di un caso recente e paradigmatico che dovrebbe far riflettere una volta di più. Conoscerete Stefano Quintarelli, imprenditore tecnologico, finanziatore di startup digitali e parlamentare, tra l’altro piuttosto attivo. Persona stimabile e da molti stimata per competenza ed equilibrio e raro caso di figura bifronte, tecnologo con consapevolezza politica e politico con competenze tecnologiche avanzate. Sono rarissime ancora persone così e per questo interessanti. Ebbene, il 27 ottobre Quintarelli ha diffuso un messaggio per certi aspetti sorprendente.

con altri 13 colleghi abbiamo presentato una proposta di legge per vietare in italia cryptomonete ad anonimizzazione totale (FYI) – non quelle pseudonime tipo vanilla BTC.

Su SmartMoney è possibile trovare un’intervista a Quintarelli nella quale spiega il senso e le ragioni della proposta.

Non è questa la sede per dettagli tecnici che oltretutto non ci sono, visto che la proposta è poco più di una dichiarazione d’intenti; mi sembra invece più importante porre al centro l’intento dichiarato di Quintarelli, che si concentra nelle due frasi seguenti estrapolate dall’intervista.

Quello che voglio fare è porre la questione delle cryptocurrencies anonime e del loro rapporto con questioni di antiriciclaggio […] Il punto è come trovare questo punto di equilibrio, c’è un problema che è tecnologico, giuridico e politico.

Porre una questione riguardo una tecnologia, ovvero stimolare una discussione aperta. Trovare un punto di equilibrio in un problema che è tanto tecnologico quanto politico. Discutere punti di vista diversi e integrare esigenze differenti.

Come legge di natura

Qualcuno vuole sostenere che affrontare così problemi legati a una tecnologia sia sbagliato? Oppure vuole sostenere che, essendo le cryptocurrency (da Bitcoin a zCash) oggetti parecchio complicati, allora solo i tecnologi specialisti di quelle sono titolati a parlarne e magari a esprimere esigenze?

Qualcuno vuole sostenere l’idea che essendoci in gioco tecniche crittografiche, allora anche solo paventare una regolamentazione degli strumenti che ne fanno uso è un atto dispotico oltreché insensato?

Qualcuno vuole negare che il concetto stesso di valuta e la natura stessa delle tecniche crittografiche siano profondamente politici, forse ancora prima che tecnici, perché incidono direttamente sulla forma della società e le relazioni tra i suoi membri?

Mercato e cambiavalute

Le valute crittografiche possono alterare meccanismi consolidati da secoli.

 

Tutte queste domande sono solo apparentemente retoriche perché nei fatti molti tecnologi si opporrebbero a ognuna di esse. Con molta forza rifiutano che si ponga una questione su crittografia e valute digitali e che si considerino fuori dalla sfera tecnologica i problemi da esse suscitati.

In alcuni casi si assegna all’argomento una valenza protopolitica, ricorrendo a un messianesimo da pseudoscienza e teorizzando il superamento della forma statale e l’estinzione del sistema bancario a favore di un’ipotetica società tecnocratica crittoumana.

La crittografia è una legge di natura. Più forte della legge umana.

Questa idea è un’evidente farneticazione rintracciabile in rete, ispirata da questo messianesimo tecnocratico che dimostra molta ingenuità, ma al contempo suona come lo slogan di una follia minacciosa (la virulenza della foga antistato, così come la composizione demografica, di certe comunità di tecnologi è molto simile a quella delle milizie suprematiste americane).

La crittografia viene elevata a diritto iperumano, ogni proposta di discussione – anche quelle provenienti da analisti indipendenti – viene ignorata e considerata un attentato alla libertà personale. Gli strumenti che della crittografia fanno il loro nocciolo – da Tor ai tool di comunicazione fino alle valute digitali – diventano casematte nelle quali asseragliarsi impedendo ogni evoluzione che consideri i diversi aspetti, tecnologico e politico tra tutti.

Dwarf Fortress in 3D

Le muraglie di Dwarf Fortress forse ispirano troppo qualche tecnoassolutista.

 

In un certo senso esiste una presunzione di esclusività in molti circoli tecnologici che vorrebbero escludere ogni intervento di estranei su una tecnologia della quale si ritengono gli unici depositari. La confusione dei ruoli e delle sfere di influenza aumenta poi a dismisura con la commistione tra tecnocentrismo, attivismo, interessi privati, egocentrismi e media che alimentano il sensazionalismo.

Tutto questo è un grave freno alla discussione aperta su temi tecnologici e a un dialogo equilibrato tra tecnologia e politica.

Cinque problemi

Nonostante certe illusioni di rappresentare l’avanguardia rivoluzionaria di un postumanesimo cibernetico, tale prospettiva non si avvererà, come per altre pseudosciene e teorie tecnocentriche farneticanti.

Invece si pone da tempo il problema se i tecnologi siano una controparte credibile in un processo di innovazione che interseca tecnologia, società, economia e ordinamento statale oppure, fuori dai tecnicismi, irrilevanti.

Si pone il problema dell’assenza di discussione e di dibattito aperto, cosa che i politici potendo evitano sempre, come fa ogni gruppo autodefinito.

Si pone il problema dell’ignoranza diffusa e del semplicismo scandalistico della stampa sui temi tecnologici, giustificato dalla natura del pubblico e immune alle critiche.

Si pone il problema della selezione delle persone di maggior capacità se a emergere sono capibastone e fanatici.

Si pone il problema del futuro, che nasce non da una sana dialettica tra pragmatismo e visionarietà, ma nonostante uno scontro tra intruppati da parole d’ordine antistato e burocrazia parlamentare.

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