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ODF: lo standard vero

28 Luglio 2015

ODF: lo standard vero

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Open Document Format si avvicina ai dieci anni di vita e costituisce una grande risorsa per privati, aziende e istituzioni.

Il formato standard dei file per ufficio si avvicina al compimento del decimo anno di età, essendo stato annunciato nel 2006, ma è ancora poco conosciuto dal grande pubblico nonostante il suo straordinario potenziale di interoperabilità.
Pensate che il Governo del Regno Unito, l’unico che ha avuto il coraggio di dire che il formato dei file di Microsoft Office rappresenta un costo per la comunità, e ha deciso di passare ufficialmente a Open Document Format (ODF), prevede di risparmiare ogni anno milioni di sterline per il semplice fatto che ODF elimina tutti i problemi di incompatibilità tra i documenti da ufficio scambiati dagli utenti, in quanto fornisce uno standard di riferimento che non solo è facile da implementare – tanto che lo utilizza anche Microsoft Office – ma viene anche rispettato.

In principio era OOo

Open Document Format nasce nel 2002 dal formato dei file di OpenOffice (OOo), la suite open source per ufficio sponsorizzata da Sun Microsystems. L’etica del software libero imponeva di andare in direzione dello standard, ma lo standard non esisteva, per cui si decise di trasformare il formato dei file di OOo – basato su XML, e quindi teoricamente già a buon punto – nella proposta di uno standard, per cui la palla – e il formato – passarono a OASIS (un consorzio di enti, aziende e individui, di cui fa parte anche Microsoft) per la fase finale di consolidamento e la presentazione a ISO.

StarOffice

La genealogia della suite open per documenti: Staroffice, OpenOffice e oggi LibreOffice.


Gli standard, com’è giusto che sia, si muovono molto lentamente, per cui la fase di consolidamento è durata tre anni, e ha previsto la normalizzazione di tutti i namespace, le etichette che distinguono le parti di un file. Per esempio, il titolo si deve sempre chiamare <title> e il testo <text>, indipendentemente dal fatto che il file sia un documento di testo, o un foglio elettronico, oppure una presentazione. Inoltre, anche gli attributi – come il colore – devono avere sempre lo stesso tipo di namespace. In questo modo, diventa facile non solo creare il file in formato elettronico, ma anche verificare che il file sia stato scritto secondo le specifiche dello standard, in quanto il formato è leggibile da qualsiasi utente esperto.
Uno standard, però, è tale solo se rispetta gli standard esistenti all’atto della sua definizione, che nel caso dei file da ufficio sono numerosi, perché partono dal Calendario Gregoriano – che è uno standard ISO – per la raffigurazione delle date, fino ad arrivare a standard più tecnici come – per esempio – XForms, che definisce i namespace XML per la modulistica. Quindi, il riuso degli standard esistenti è un obbligo che deve essere rispettato, e ha il duplice vantaggio di evitare la proliferazione degli standard stessi e di favorire il consolidamento di quelli esistenti.
All’inizio del 2005, lo standard era pronto per la fase finale del processo, ed è stato sottoposto a ISO per la ratificazione. Anche in questo caso, si tratta di una metodologia consolidata, che prevede un periodo di commento da parte degli esperti, seguito dall’applicazione delle eventuali modifiche e dalla votazione finale. Dopo l’approvazione, lo standard viene pubblicato e diventa un riferimento per tutti.

Uno standard misconosciuto

ODF è diventato standard nel 2006, ed è stato immediatamente riconosciuto a livello internazionale. In Italia, è diventato standard di riferimento per la pubblica amministrazione in Umbria, e successivamente in altre regioni. Purtroppo, non è mai arrivato a essere lo standard per i documenti da ufficio a livello nazionale, e non solo in Italia, per l’immediata reazione da parte di Microsoft, che vedeva nella presenza di un formato standard per i file una minaccia per il proprio modello di business basato sul lock-in degli utenti (in cui il formato non documentato e soprattutto le differenze non documentate tra le versioni successive del formato stesso, che in questo modo viene letto correttamente solo da Office, sono l’elemento fondamentale per il funzionamento del meccanismo di lock-in).

La documentazione di OOXML

La macchinosità di OOXML ne rende pesantissima e quasi illeggibile la documentazione.


Tra l’altro, il fatto che ODF fosse il formato nativo di OpenOffice, che all’epoca era il concorrente più agguerrito di Office, e stava crescendo rapidamente in ogni area geografica, rappresentava una minaccia ulteriore al monopolio Microsoft nel mondo delle aziende.
Microsoft ha approntato in fretta e furia uno pseudostandard, assemblato senza coerenza (tanto che i namespace non solo sono diversi per applicazione, ma per versione e per tipologia di file; Office 2013 riesce a descrivere lo stesso elemento in più modi diversi a seconda delle scelte effettuate dall’utente, ma sempre e rigorosamente in modo diverso dalla definizione dello standard), ed è riuscita a farlo approvare come standard ISO grazie alla complicità di ECMA e a un sostanziale investimento economico (ciascuno interpreti questa definizione come preferisce).
Naturalmente, la presenza di uno standard targato Microsoft, e la campagna di disinformazione sugli standard che ha fatto seguito all’approvazione del formato OOXML (Office Open XML: per intenderci, quello di DOCX, XLSX e PPTX), ha di fatto congelato la situazione per diversi anni, tanto che gli utenti pensano che i formati standard siano quelli di Office e non il contrario, com’è invece nella realtà. Per dare un’idea del caos generato da OOXML sul mercato, e dei costi associati a questo caos, i file di Office 2007 sono diversi sia da quelli di Office 2010 sia da quelli di Office 2013, per cui i problemi di incompatibilità sono addirittura aumentati (mentre lo standard ha l’obiettivo di ridurli al minimo o addirittura eliminarli).

Adeguato per il Regno Unito

ODF, nel frattempo, è andato avanti, nonostante l’entusiasmo iniziale fosse scemato a causa delle vicende di cui sopra, tanto che nel 2013 ne è stata finalmente approvata la versione 1.2, che introduce un elemento essenziale – in effetti mancante nella prima versione – ovvero un linguaggio standard per la definizione delle formule di calcolo: OpenFormula. Ora ODF è completo in ogni suo elemento, fermo restando che lo standard deve evolvere per poter rispondere alle esigenze – anch’esse in evoluzione – degli utenti e ne sono recentemente state pubblicate le specifiche ufficiali.

ODF 1.2

Il formato standard per i documenti del governo britannico (e per l’Italia…).


Nel 2014, è successa una cosa che ha ridefinito gli equilibri di mercato a favore di ODF. Il Governo del Regno Unito, dopo due anni di consultazioni sia a livello nazionale sia a livello internazionale, a cui hanno partecipato esperti di ogni parte del mondo (compreso l’autore di questo articolo, che è diventato un esperto più per demeriti altrui che per meriti propri), ha deciso che l’unico formato standard dei file per l’interazione con la pubblica amministrazione inglese è ODF, e lo ha fatto perché questo formato è l’unico che – per le sue caratteristiche – protegge gli interessi degli utenti, che nel caso di un governo sono i cittadini.
A questo punto, l’Olanda – l’unico Paese a sbilanciarsi con una legge di indirizzo, che purtroppo lasciava troppa discrezionalità agli utenti, per cui non era sufficiente a spostare gli equilibri – ha rinnovato il proprio impegno nei confronti di ODF, tanto che ha assunto un esperto come Jos van den Oever perché lavori a tempo pieno sullo standard, mentre la Francia – che aveva creato un documento di riferimento per l’interoperabilità in cui ecumenicamente metteva tutti sullo stesso piano – sta prendendo la stessa direzione del Regno Unito.
L’Italia, che ha un repertorio dei formati standard in cui figura, correttamente, solo ODF, poi emette circolari applicative in cui figura anche OOXML, e in questo modo contribuisce a fare confusione sul mercato (le pubbliche amministrazioni adottano OOXML perché è più comodo, visto che è il formato di Office, ma poi si trovano ad affrontare problemi di compatibilità di cui non riescono nemmeno a capacitarsi, perché ovviamente Microsoft si guarda bene dal dire che OOXML non è compatibile con il Calendario Gregoriano, e viene scritto in modo diverso a seconda delle scelte di formato effettuate dall’utente, per cui non esistono due documenti identici, a meno che gli utenti si siano comportati in modo speculare).
Purtroppo, nel nostro Paese ci vuole tanta pazienza, e tanta buona volontà, per educare gli utenti non solo a godere dei propri diritti (e l’interoperabilità dei documenti è un diritto di tutti i cittadini digitali) ma anche a riconoscere – e smascherare – i comportamenti di coloro che perseguono solo il proprio interesse contro quello di tutta la comunità.

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