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L'irresistibile ascesa dell'open source

29 Giugno 2015

L'irresistibile ascesa dell'open source

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Il software libero, sotto la spinta di big data e cloud, penetra anche in aziende che hanno prosperato su quello proprietario.

Non so se l’amore per il software e i sistemi open source sia sbocciato con il cofanetto dei CD di Slackware 3 ordinato per posta o ancora prima con i floppy disk di Minix, ma sin da quelle remote epoche l’idea di detenere il codice sorgente del sistema operativo e delle principali componenti software in esecuzione sui miei sistemi mi trasmetteva tranquillità.
Pensavo: se qualcosa dovesse andare male è solo questione di mettersi a capire che cosa non funziona e scrivere il codice per sistemarla. Il web era agli inizi e il celebre settimanale Newsweek pubblicava articoli dal titolo Why the Web Won’t Be Nirvana sbeffeggiando Nicholas Negroponte reo di aver previsto che presto libri e quotidiani sarebbero stati comprati direttamente su Internet e nei quali si affermava che Linux era un cancro.
Erano gli anni delle Evil Corporations, quelle aziende che di rilasciare il codice sorgente non volevano sentirne parlare e che nella mia ingenua percezione di ventenne non meritavano di essere minimamente degnate di attenzione. Microsoft ovviamente era la prima della lista ma molte altre seguivano a stretto giro, come IBM e Oracle.
Di Microsoft abbiamo più volte scritto; le ultime dichiarazioni rilasciate da Mark Russinovich sulla possibilità di avere un Windows open source si spingono verso scenari una volta impensabili, mentre di IBM e Oracle non c’è molto da dire. Entrambe le aziende senza grossi proclami guidano e/o contribuiscono a progetti open source – in alcuni casi anche molti importanti – ma senza una strategia apparentemente comprensibile.
La combinazione tra open e proprietario che coesistono nella stessa azienda, come ad esempio Glassfish e Weblogic, in Oracle, raramente funziona perché difficilmente le strutture commerciali – che sono abituate a vedere a caro prezzo le licenze dei software closed source – capiscono come monetizzare gli asset open source.
Che però alle tradizionali aziende software serva una nuova strategia lo ha spiegato chiaramente il Wall Street Journal in un articolo che illustra le difficoltà di Oracle nel mantenere il suo sostanziale monopolio nel mercato dei database enterprise.

Oracle non può più fare affidamento sul suo quasi monopolio nei database, quando le tecnologie emergenti di big data e cloud – spesso reperibili in versioni open source che costano molto meno – e una clientela ansiosa di avere alternative frammentano il mercato.

E altrettanto interessante è la ricerca di Bloomberg sul trend di diffusione del software open source nelle startup di successo.

Uno studio condotto su 20 startup valutate più di un miliardo di dollari supporta la tendenza. La ricerca, che comprende aziende come Cloudflare e Pinterest, ha constatato la presenza costante di tecnologie open source al cuore dell’attività, con la sola eccezione di DocuSign, basata su SQL Server di Microsoft.

Il successo del modello di business legato al software open source è una realtà, come ha spiegato molto bene John Mark Walker in una serie di articoli [1][2][3][4], ed è molto ben testimoniato dai fatturati di RedHat che è stata tra le prime aziende a capire come monetizzare efficacemente questa irresistibile ascesa del software open source.
Ma non si tratta solo di una questione economica. La tranquillità e la sensazione di controllo di cui parlavo all’inizio, con il tempo sono diventate molto di più: come spiega James Pearce, responsabile dell’open source presso Facebook, un mix di ideologia, capacità innovativa e sostenibilità economica.
Se le 20 startup di maggior valore si rivolgono al software open source lo fanno soprattutto per la capacità innovativa che esso offre e questo approccio è forse segno che il tempo in cui rivolgersi ad un vendor blasonato per stare tranquilli – scaricando ad altri la propria responsabilità di manager – è finito in favore di una leadership caratterizzata da forti competenze IT unite all’accesso al codice sorgente, ingredienti imprescindibili per stare e crescere in un mercato sempre più competitivo e aggressivo.

L'autore

  • Andrea C. Granata
    Andrea C. Granata vanta oltre 25 anni di esperienza nel mondo dello sviluppo software. Ha fondato la sua prima startup nel 1996 e nel corso degli anni si è specializzato in soluzioni per l'editoria e il settore bancario. Nel 2015 è entrato a far parte di Banca Mediolanum come Head of DevOps, ruolo che oggi ricopre per LuminorGroup.

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