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La rockstar sei tu

13 Marzo 2015

La rockstar sei tu

di

Fare il programmatore è talvolta frustrante, quando la tecnologia cambia così in fretta. La cosa migliore è rimboccarsi le maniche.

Novemilacinquecentosettanta chilometri tra Milano e San Francisco. Una distanza tra due mondi diversi: qui abbiamo un incredibile patrimonio artistico e culturale, la moda e la cucina, mentre oltreoceano ci sono le startup.
C’è la Tecnologia e ci sono i veri programmatori, quelli che ogni anno scrivono tonnellate di codice. Ci sono gli Yehuda Katz, i Linus Torvalds e i Tim Bray. Programmatori che scrivono librerie e framework e sistemi operativi che cambiano il mondo, o che inventano inezie come XML.
Gente che trova anche il tempo di scrivere libri e di viaggiare per conferenze. Sono rockstar programmer, come direbbe qualcuno.
Poi ci sei tu, che tutto sommato ti ritieni molto in gamba ma che al loro confronto ti senti piccolo piccolo, e allora ti sorge spontaneo il dubbio che così bravo forse non sei. Ti senti un po’ farlocco perché ­ anche se oltre alle consuete ore di lavoro investi una parte significativa del tuo tempo libero nel migliorare i tuoi skill­ non riesci a imparare un nuovo linguaggio ogni sei mesi o a padroneggiare da subito quella tecnologia tanto cool di cui hai sentito parlare benissimo. Ti senti un impostore.
Sappi che non sai da solo. Questa sensazione ha addirittura un nome e una pagina su Wikipedia: si chiama Impostor syndrome e miete stragi in tutti i continenti. Una delle cose più interessanti su questo tema l’ha scritta Alicia Liu:

Ci sono due caratteristiche della programmazione che possono dare ai programmatori la sensazione di restare indietro quando potrebbe benissimo non essere così. La prima è che è praticamente garantito di dover imparare nuove cose intanto che si lavora. La tecnologia sta cambiando a un ritmo incredibile. Questo può suggerire l’idea di trovarsi in ritardo rispetto a una mole sempre maggiore di nozioni da imparare. La seconda, in qualche modo esclusiva della programmazione, è che consiste in fallimenti quasi continui. A differenza dell’apprendimento di altre capacità, dove ci si può attendere di raggiungere una competenza ragionevole con l’esercizio, la programmazione è fatta di fallimenti costanti, tentativi, altri fallimenti e altri tentativi fino a quando le cose funzionano.

Se i fondamenti teorici della programmazione sono rimasti sostanzialmente invariati con il passare degli anni, tanto è cambiato nel contorno: oggi gli strumenti di sviluppo si sono molto raffinati e, soprattutto, si programma in ambiti fortemente differenziati. Implementare un’orchestrazione di servizi su un enterprise service bus, scrivere una app iOS in Swift o sviluppare una single page application con Node.js e AngularJS richiedono competenze molto diverse tra loro ed è del tutto naturale non possederle tutte. Questa maggiore specializzazione degli ambiti in cui si sviluppa contribuisce ad alimentare un senso di inadeguatezza, che nella maggior parte dei casi non ha alcun fondamento. Se le basi teoriche sono solide, l’apprendimento è solo questione di tempo libero a disposizione.
 

Pensiero positivo per un programmatore

Alicia Liu ci invita a ricalibrare il nostro punto di vista da programmatori.

 
Una ulteriore aggravante tutta nostrana è la tendenza di molti IT manager a considerare inutili orpelli alcune delle best practice. Se un corretto approccio al versioning, allo sviluppo test-first, alla ricerca del best tool for the job e della diminuzione del debito tecnico sono da noi considerati sostanziali perdite di tempo, è chiaro che il divario percepito con i migliori programmatori è significativo: manca la spinta a migliorarsi.
La buona notizia però è che progredire come sviluppatore non è mai stato così facile. L’offerta formativa ­tra Massive Open Online Course, video di conferenze e libri (anche su tecnologie di nicchia) ­ è ricchissima e c’è solo l’imbarazzo della scelta. L’enorme disponibilità di progetti open source inoltre ha la duplice funzione di fungere da repositories di possibili implementazioni che possono essere consultate e studiate e da palestra dove si può collaborare e crescere entrando a far parte di una comunità che è inclusiva per propria cultura.
Molti propongono interessanti ricette per combattere la sindrome dell’impostore, la mia è molto semplice: la soggezione per il collega più bravo o per il programmatore rockstar la si vince facendo. Linux Torvalds ha iniziato a scrivere il kernel Linux come esercizio personale ed è riuscito a ottenere un successo incredibile. Rimboccatevi le maniche e cominciate a colmare quella che vi sembra la vostra più grossa lacuna: i risultati ripagheranno ogni vostro sforzo.

L'autore

  • Andrea C. Granata
    Andrea C. Granata vanta oltre 25 anni di esperienza nel mondo dello sviluppo software. Ha fondato la sua prima startup nel 1996 e nel corso degli anni si è specializzato in soluzioni per l'editoria e il settore bancario. Nel 2015 è entrato a far parte di Banca Mediolanum come Head of DevOps, ruolo che oggi ricopre per LuminorGroup.

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