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Se il Tar non legge Hacker News

27 Settembre 2013

Se il Tar non legge Hacker News

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"Il giorno della fine non ti servirà l'inglese", cantava Franco Battiato. Nell'attesa, peraltro, c'è qualche vantaggio a darsi da fare.

Assistere ad un dialogo tra sviluppatori, se siete cultori dell’italiano, può essere una esperienza da stomaco forte. La lingua è talmente zeppa di anglismi che quanto rimane è spesso solo la struttura grammaticale, manco quella garantita.

Non si tratta di una cattiva conoscenza della grammatica – anzi, chi più di un programmatore è attento alle questioni sintattiche? – ma semplicemente alcuni lemmi non esistono o se esistono sono talmente desueti da risultare incomprensibili. È così che frasi come committiamo, mergiamo su develop e poi pushiamo la release ti possono scappare facendoti provare, un secondo dopo, un profondo senso di vergogna.

Che come dice Andrea Camilleri la nostra lingua stia in un certo senso scomparendo è probabilmente un processo inarrestabile; rimane però da capire se siamo effettivamente pronti a passare all’inglese, almeno come lingua ufficiale per tutto ciò che ha a che fare con l’informatica. Recentemente Salvatore Sanfilippo, più noto come Antirez, ha scritto sul suo blog un post molto interessante raccontando il suo rapporto con la lingua inglese. Uno dei punti che mi ha maggiormente colpito è questo [lasciato intenzionalmente in originale considerato il tema. N.d.R]:

One of the things that shocked me the most with my experience with the English language is how not mastering a language can switch you into an introvert. I’m an extrovert in Italy where most people are extroverts […] Now when I have to talk in English, I’m no longer an extrovert anymore because of the communication barrier, and I regret every time I’ve to go to a meeting, or to be introduced to another person. It is a nightmare.

Crescere come sviluppatore significa poter partecipare alle conferenze sparse in giro per il mondo che, oltre ad essere momenti formativi, favoriscono la nascita di vere e proprie comunità transnazionali. Se siete stati al Fosdem, a euruko o a Google I/O, capite di cosa sto parlando. Ma ancora più importante è la possibilità di ampliare la platea di possibili clienti e/o datori di lavoro fuori di confini nazionali.

A questo proposito trovo molto interessante Paul Graham – programmatore e ora una delle menti dietro Y Combinator – in un suo recente post: la possibilità che la vostra startup riesca è strettamente correlata alla capacità di comunicare fluentemente (in inglese).

Il fondatore di una startup è costantemente in fase di vendita. Non solo, alla lettera, verso i clienti, ma verso dipendenti attuali e potenziali, partner, investitori e anche giornalisti. Siccome le migliori idee di startup sono per loro natura pericolosamente vicine a pessime idee, c’è poco spazio per fraintendersi. E molte persone che incontrerete da fondatori saranno indifferenti, se non scettiche. Siete solo una persona da incontrare quel giorno. Non saranno disposti a faticare per capirvi. Cioè non potrete farli faticare per capirvi.

Finito di leggere quel post il mio pensiero è andato immediatamente alle nostre università. Se noi informatici utilizziamo una specie di lingo più vicino all’inglese che all’italiano non è meglio abituarci da subito, tagliare il cordone ombelicale e superare il trauma una volta per tutte? Sostenere l’esame di Sistemi Operativi in inglese sarà poi così drammatico? Forse, ma sicuramente renderà più facile il primo colloquio di lavoro a Londra o assumere quel programmatore Tedesco nella vostra startup a Milano.

L’idea è talmente semplice che era impossibile che nessuna delle nostre università ci avesse pensato e in effetti il Politecnico di Milano ci ha anche provato (per le specialistiche e il dottorato), ma è stato bloccato dal Tar della Lombardia nell’ipotesi che questa scelta leda il diritto allo studio. Non ho letto nel dettaglio la motivazione ma mi è chiaro che il Tar non legge Hacker News.

L'autore

  • Andrea C. Granata
    Andrea C. Granata vanta oltre 25 anni di esperienza nel mondo dello sviluppo software. Ha fondato la sua prima startup nel 1996 e nel corso degli anni si è specializzato in soluzioni per l'editoria e il settore bancario. Nel 2015 è entrato a far parte di Banca Mediolanum come Head of DevOps, ruolo che oggi ricopre per LuminorGroup.

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