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PRISM, o la distorsione della libertà di parola

10 Giugno 2013

PRISM, o la distorsione della libertà di parola

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Le sfide al mantenimento della privacy dei cittadini non finiscono mai e le ultime novità in merito non promettono bene.

La scorsa settimana il britannico Guardian ha pubblicato tre articoli a firma Glenn Greenwald: come il governo Obama sta raccogliendo informazioni sulle comunicazioni di milioni di cittadini statunitensi (indipendentemente dall’esistenza di sospetti più o meno fondati); la descrizione di PRISM, ovvero il modo in cui si accede alle informazioni in tempo reale; e la direttiva presidenziale sulla cyberwar offensiva.

PRISM identifica una serie di tecnologie e sistemi per raccogliere informazioni di intelligence dalla rete e anche da giganti come Facebook e Google. PRISM consente a chi intenda raccogliere le informazioni di mandare istruzioni direttamente ai sistemi installati presso le aziende, non ad accedere direttamente ai server. Questo ha permesso ai colossi di replicare con una serie di finte smentite che si limitano a negare l’esistenza di backdoor o di accessi diretti ai server. Le smentite sono tecnicamente corrette, ma lasciano intendere il falso. Come falsa suona l’indignazione di Page o Zuckerberg.

Secondo quanto riportato dal Guardian, nel solo mese di marzo 2013 la National Security Agency (NSA) avrebbe raccolto poco meno di 100 miliardi di oggetti informativi dalla rete.

Lo scenario è degno di 1984. Purtroppo non è nuovo. Basti ricordare l’esperienza di Echelon. Questo pare un Echelon++ o forse solo 2.0, in outsourcing presso aziende che si occupano di intelligence e big data.

L’articolo di Claire Cann Miller sul New York Times è particolarmente chiaro nello spiegare come non solo le aziende collaborino ma stiano anche cercando di rendere più efficienti i trasferimenti di dati:

Fonti informate hanno dichiarato che in almeno due casi, presso Google e Facebook, uno dei piani in discussione prevedeva la costruzione su qualche istanza dei server dell’azienda di portali sicuri e separati, simili alle stanze sicure per molto tempo adibite alla conservazione di informazioni classificate confidenziali. Il governo avrebbe richiesto dati attraverso queste stanze digitali sicure, le aziende li avrebbero depositati e il governo li avrebbe reperiti. […] Invece di aggiungere una backdoor ai propri server, le aziende hanno ricevuto la richiesta di creare una casella postale protetta e dare al governo le chiavi. Facebook, per esempio, avrebbe costruito uno di questi sistemi.

Avete ancora bisogno di ipotizzare un accesso diretto ai server o addirittura backdoor quando qualcuno si preoccupa di fornire portali di accesso sicuro ai dati? Mi chiedo quale sia il motivo per cui Page e Zuckerberg in primis, seguiti da altri multimilionari del web, siano
così preoccupati da lanciarsi in pericolosi esercizi retorici mirati ad evitare di affermare una semplice verità.

Penso che valga la pena seguire gli sviluppi di questi temi e ripensare e riflettere al tema della privacy, magari (ri)leggendo The Eternal Value of Privacy (tradotto in italiano da Paolo Attivissimo:

Sono in troppi a definire erroneamente la questione contrapponendo sicurezza e privacy. La vera scelta è fra libertà e controllo. La tirannia, sia che emerga sotto la minaccia di un attacco fisico straniero, sia che derivi da un’autorevole sorveglianza domestica, resta comunque tirannia. La libertà richiede sicurezza senza intrusione, sicurezza abbinata alla privacy. Una sorveglianza generalizzata da parte della polizia è, per definizione, uno stato di polizia. Ed è per questo che dobbiamo essere paladini della riservatezza anche quando non abbiamo nulla da nascondere.

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