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Il candido Jobs

26 Settembre 2012

Il candido Jobs

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È con la voce del 1995 che il cofondatore di Apple parla veramente di se stesso e di che cosa ha dato significato alla sua vita.

La pubblicazione di Steve Jobs – L’intervista perduta apre un cono di luce su un momento cruciale, e spesso trascurato, della vita dell’uomo Steve prima di diventare icona.

Difficile parlare di Steve Jobs dopo la sua scomparsa (tra poco, 5 ottobre, sarà un anno). Sono usciti libri, interviste, materiali in quantità. Ma comprensibilmente si sono focalizzati sul secondo Jobs, quello rivestito (dai media) dell’aura messianica. Il comeback, il turnaround, la Apple che sta morendo e diventa l’azienda numero uno dell’informatica mondiale, se non per i parametri per l’attenzione che suscita e di cui si nutre. Sta morendo lo dice proprio Jobs nell’Intervista perduta:

Oggi la Apple sta morendo. Una morte molto dolorosa. Si trova su un ripido pendio che porta alla morte. […] Continuerà a produrre profitti per alcuni anni, ma ha imboccato una china discendente. È molto triste e non credo che ormai sia un processo reversibile.

È il 1995 mentre Jobs racconta e si racconta al giornalista Robert Cringely, in un nastro considerato smarrito per anni fino a rispuntare oggi dal garage del regista. Viene facile pensare a un Jobs che si rivolge al pensiero Zen ma intanto pratica la Taqiyya islamica, dissimulare o nascondere la propria fede: neanche due anni e sarà nuovamente al timone dell’azienda che dà per spacciata.

Invece viene fuori il vero Jobs, che non era altezzoso né arrogante e non praticava alcun campo di distorsione della realtà. Semplicemente, Steven Paul Jobs è stato candido. Si è trovato a percorrere una vita che gli ha permesso, o dove si è permesso, di essere candido. Nel definire lavoro di merda quello che potrebbe essere fatto meglio in modo da non lasciare equivoci con il suo dipendente interlocutore, o nell’affermare pubblicamente di non essere al lavoro su un tablet mentre iPad è in pieno e segretissimo sviluppo.

Non c’è menzogna in Jobs, quando mente. C’è il bambino colto a rubare le caramelle che racconta una bugia, non certo per deviazione criminale, ma perché candidamente la ritiene all’istante la strategia migliore verso i propri scopi. Allo stesso modo Jobs ribadisce nell’Intervista perduta:

Picasso diceva: “I buoni artisti copiano, i grandi artisti rubano”. E noi non ci siamo mai fatti scrupoli a rubare le grandi idee.

L’adulto ci vede ipocrisia. È il Jobs che annuncia di andare thermonuclear contro Android e che intanto ha rubato l’interfaccia di Macintosh al PARC Xerox. A parte che le cose non sono andate proprio così – e il DVD lo spiega – il candore di Jobs gli fa vedere ciò che è diventato Macintosh a partire da tecnologia che altrimenti sarebbe ammuffita in laboratorio. E ciò che è diventato Android dopo avere visto iPhone e iOS. La differenza tra rubare e copiare è chiarissima a Jobs e forse non altrettanto a certi critici odierni.

Candore, candore, candore. Lo stesso per cui Steve Jobs cambiava idea all’istante non appena gli veniva mostrato di essere in errore. E che lo porta nell’Intervista perduta a dire:

Io credo che la maggior parte delle persone davvero brave con cui ho lavorato non si occupassero di computer per amore del computer stesso, ma perché lo consideravano uno strumento per trasmettere il loro spirito.

Di ultime frasi di Jobs se ne sono riportate a centinaia. Modestamente trovo questa più adatta di altre a spiegare che cosa ha compiuto, come funziona Apple e che prima di diventare un’icona di imprenditore (nel senso cristiano ortodosso del termine) sia stato prima di tutto una persona estremamente, incredibilmente, imprevedibilmente candida.

L'autore

  • Lucio Bragagnolo
    Lucio Bragagnolo è giornalista, divulgatore, produttore di contenuti, consulente in comunicazione e media. Si occupa di mondo Apple, informatica e nuove tecnologie con entusiasmo crescente. Nel tempo libero gioca di ruolo, legge, balbetta Lisp e pratica sport di squadra. È sposato felicemente con Stefania e padre apprendista di Lidia e Nive.

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