Il nostro commento sulle ricerche di Econsultancy e MarketSherpa evidenziava i lati positivi della maggiore consapevolezza delle aziende rispetto ai social media come strumento di marketing. Il Global Chief Marketing Officer Study 2011 di Ibm pone in luce invece alcuni aspetti più problematici a breve e medio termine.
Nell’era dei Big Data, in cui oltre 800 milioni di utenti Facebook producono in media 90 contenuti al mese e 490 milioni di utenti YouTube caricano in 60 giorni contenuti video tre volte superiore a quello creato dalle principali reti televisive Usa in 60 anni, l’analisi dei nuovi fenomeni è ancora affidata a vecchie pratiche. L’80% degli interpellati ammette di affidarsi tutt’ora solo a ricerche di mercato e benchmarking competitivo e il 68% dice di basarsi sulle analisi delle campagne di vendita per prendere decisioni strategiche.
È come se questi dirigenti ammettessero di condurre la propria nave tra le nebbie armati solo di una vecchia bussola, senza radar: hanno percezione dei pericoli e delle mancate opportunità, ma sono incapaci di individuarle con precisione.
Per due terzi degli intervistati da Ibm, entro il 2015 la misura più importante dell’efficacia della funzione marketing sarà il ritorno sugli investimenti. Analoga percentuale ritiene che sia necessario modificare il mix di competenze all’interno della funzione marketing, potenziandone le capacità analitiche.
Tali capacità hanno poco a che fare con il calcolo dei like e dei follower; richiedono la costruzione di un framework di misurazione che subordini le metriche delle attività sui social media agli obiettivi di business. Ciò implica un lavoro paziente che parta dall’analisi delle dinamiche e competenze interne per arrivare ad un approccio finalmente strategico alla gestione della presenza in rete.