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I social media? Semplici come la quantistica

01 Luglio 2011

I social media? Semplici come la quantistica

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Non tutti i manager sono stupidi. Spesso è solo che per loro i social media sono complicati quanto la fisica quantistica (cui, in effetti, assomigliano)

Chiunque lavori nel mondo del digitale e dei social media, presto o tardi vi racconterà della sua frustrazione verso le aziende, che «non capiscono» questo ambiente. Di solito, a questo punto, le frange più integraliste (e spesso fuffologiche) di questo nostro mondo iniziano a sparare a zero sul personale di queste aziende. D’altra parte non è razionale pensare che tutti quelli che ci troviamo davanti siano imbecilli, in malafede e abbiano fatto carriera (solo) grazie alla propria cialtroneria. La verità è che là fuor c’è un sacco di gente che cerca di fare bene il proprio lavoro e di prendere decisioni sensate. Ma che, non riuscendo proprio a capire e interpretare i social media, li rifiuta o li legge in modo sbagliato. Perchè? Perché in fondo perché i social media assomigliano e hanno molto in comune con la meccanica quantistica.

Poche righe di quantistica

Fino dall’alba dei tempi, l’uomo ha ragionato in termini di fisica newtoniana (solo che, prima che nascesse Newton, non lo sapeva). Un oggetto solido, o è in un posto o è in un altro. Le robe non compaiono e scompaiono, al massimo si spostano. Fino a quando abbiamo osservato le cose da lontano, filava tutto liscio. Poi quando abbiamo iniziato a guardare più da vicino e le cose si sono complicate orrendamente. Il famoso esperimento del double slit ha mandato tutti in crisi nel 1803. Che cosa fanno i fisici? Ad esempio sparano un fotone, uno solo, contro una piastra con 2 fessure. O passa di qui, o passa di là, ovviamente. Sorpresa. Il fotone passa da tutte e due contemporaneamente . Ergo può essere in due posti contemporaneamente (sì, poi lo so che il discorso è molto più complesso, frange di interferenza, natura dualistica onda/particella, entanglement, collasso e tutto il resto, ma siamo qui per parlare di social media e quindi semplifico un po’). Per non parlare del fatto che a livello macroscopico è vero che non si crea materia, nel medio periodo. Ma nel brevissimo periodo è un continuo apparire dal nulla di particelle, particelle virtuali eppure reali, che poi rapidamente scompaiono nel nulla. Per non parlare di quei gatti che riescono ad essere contemporaneamente vivi e morti, non si può sapere. Di fronte a questi concetti, così controintuitivi, la gente ha (anche voi, forse) una reazione di rifiuto, per poi cercare di piegare la teoria a interpretazioni meno destabilizzanti («si sono sbagliati…») che non contraddicano le nostre convinzioni fatte sull’esperienza quotidiana

Il vaso di Pandora

Nei social media è lo stesso. Fino a quando abbiamo osservato le persone a livello macroscopico, interpretandoli come target, gruppi grandi di esseri umani, le logiche erano logiche e le cose del marketing avevano senso. Anche perché i comportamenti del singolo non erano misurabili (poco e male e a caro prezzo, suvvia). Con internet e soprattutto coi social media, abbiamo iniziato a vedere i comportamenti delle single particelle subatomiche, pardon, degli individui, e le loro reazioni. E le loro interazioni. Tra loro e verso di noi. E per i manager abituati al marketing newtoniano, tutto ha iniziato ad avere poco senso. Di qui, la classica reazione: disinteresse (è una moda passeggera), diffidenza (non è per noi), rifiuto (è pericoloso, non ha senso), ostilità, reinterpretazione (cioè, in fondo è una forma di pubblicità che costa meno), confusione (sì, ma in pratica come faccio?) eccetera. Il problema è che abbiamo stappato un vaso di Pandora. Che, su parti non piccole della popolazione (ergo “target” interessanti come consumi) il social-coso ha dato il via a fenomeni che si amplificano da soli. O proprio si generano da soli, dal nulla, come le particelle virtuali (altro fenomeno controintuitivo rispetto al marketing tradizionale). Dove le masse fanno user generated marketing a nostro favore – o contro di noi. L’aspetto più tremendo è che questo fenomeno avviene (anche/spesso) indipendentemente da noi. Come se una reazione chimica avvenisse senza che lo scienziato incaricato abbia provveduto a mischiare sostanze e reagenti.

Nuoce alla salute

Possiamo starne fuori – è lecito, meglio astenersi che fare dei pasticci, se uno proprio non è in grado – o possiamo partecipare al fenomeno per non vederci espropriato il marketing e la marca – perché è giusto che anche l’azienda abbia voce in capitolo sui propri prodotti. Ma la questione fondamentale è fare questo sforzo tremendo: provate a leggere un testo di base di fisica quantistica e capirete che cosa intendo e che cosa molti manager provano quando parlano con noi (in alternativa partite dal relativamente facile, guardandovi questo video). Significa fare un salto quantico e accettare che a livello macro valgono ancora un sacco delle buone vecchie teorie di Philip Kotler e Theodore Levitt. Ma accettare anche che quando il mondo e il mercato si trasformano in uno scenario non fatto da masse ma di unità, le vecchie regole fanno fatica a interpretare e influenzare fenomeni apparentemente irrazionali, incomprensibili e dannatamente pericolosi per il nostro business, ma sopratutto per la nostra salute mentale.

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