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Il nucleare socializza i rischi e privatizza i ricavi

09 Giugno 2011

Il nucleare socializza i rischi e privatizza i ricavi

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A chi fa comodo l'energia nucleare? È davvero un'energia pulita ed economica? E chi paga in caso di incidente, raro ma catastrofico? Un po' di domande e un po' di risposte

Diciamoci la verità: se il nucleare non fosse un affare nessun imprenditore o politico si straccerebbe le vesti per realizzarlo in Italia e nel mondo. Il punto è capire se sia davvero un affare per le sue caratteristiche tecnologiche intrinseche o per i vantaggi governativi che implica nei confronti della sicurezza. Insomma è la pietra filosofale, fonte di energia pulita e infinita, o un mercato ultra-protetto nei confronti di problemi di sicurezza potenzialmente catastrofici? La vicenda di Fukushima ha aperto uno squarcio su questa domanda.

Sapevamo i rischi

Il precedente incidente nucleare civile, quello di Chernobyl, il più grave della storia, non aveva contribuito a questa specifica riflessione perchè avvenne nell’Unione Sovietica in decadenza, col contributo di errori umani, mancanza di risorse e una progettazione al risparmio dell’impianto. Non potrebbe mai accadere in Occidente, si diceva. Più di vent’anni dopo stiamo assistendo, nel modernissimo Giappone, a un incidente forse meno grave, ma non meno privo di conseguenze per la popolazione, per l’ambiente, per l’economia. Anche in questo caso le concause sono certamente esterne (un potente terremoto e il conseguente devastante tsunami), ma hanno agito su un impianto progettato negli anni ’60, considerato di classe “economica”.

La terribile verità che abbiamo scoperto è che sono almeno trent’anni che si conoscono i pericoli di un impianto di questo tipo, ma nessuno ha fatto nulla. Anzi ci siamo svegliati scoprendo che decine di impianti di questo tipo in questo momento sono in funzione in Europa e anche di più negli Stati Uniti. Abbiamo anche scoperto che un reattore nucleare non genera energia pulita dal nulla, in perfetta autonomia, ma ha bisogno di fonti di energia esterne, combustibile o gas, per mantenersi sicuro o di un contesto (rete elettrica) ben funzionante. È stato proprio questo il motivo che ha innescato i problemi a catena dei reattori a Fukushima: il terremoto gigantesco aveva fatto arrestare i reattori ma il successivo tsunami aveva messo fuori uso i motori ausiliari a gasolio e l’energia elettrica della rete mancava a causa della catastrofe naturale in tutta l’area. Come conseguenza i reattori non potevano essere raffreddati e il surriscaldamento ha provocato fusione del combustibile, gas, esplosioni, rilascio di radioattività e così via.

L’energia pulita che inquina

La situazione per cui un reattore nucleare per generare energia pulita in sicurezza abbia bisogno di energia inquinante sarebbe ironica, se non fosse spaventosa. Ma è stata davvero una fatalità dovuta a un evento naturale quasi irripetibile? Che cosa spinge qualcuno a considerare accettabili questi rischi? Nelle settimane passate sono state fatte molte analisi sulla tecnologia nucleare, sulle probabilità di incidente e sui danni conseguenti, sulla sicurezza dei nuovi impianti, sulla conservazione delle scorie radioattive, ma la realtà è molto più semplice: l’energia prodotta dal nucleare appare più conveniente, soprattutto rispetto all’energie rinnovabili. Eppure l’investimento negli impianti, e nella manutenzione, è molto alto, l’uranio è sempre più raro e costoso, il trattamento e la conservazione delle scorie dispendioso.

Che cosa rende questa energia così conveniente? Paradossalmente proprio il rischio così alto derivante da un eventuale incidente. Lo racconta un esperto giapponese di energia. Tutti gli impianti di produzione e trasporto di energia sono assicurati per incidenti e catastrofi ambientali. Così accade per le petroliere, i degassificatori, gli oleodotti. Per gli impianti eolici il costo per il rischio è ben determinato e molto elevato. Per l’esplosione della piattaforma petrolifera nel Golfo del Messico e la conseguente catastrofe ambientale BP ha dovuto versare in un fondo ben 20 miliardi di dollari per ripagare tutti i danni. Gli attacchi dei pirati alle petroliere nel Golfo di Aden aumentano il rischi e quindi i premi delle assicurazioni. Gli oleodotti, i gasdotti, gli elettrodotti sono assicurati contro perdite, incidenti, attentati. Tutto questo ha un’incidenza sul prezzo della relativa energia: noi forse non ce ne accorgiamo ma spesso le variazioni sul prezzo dell’energia derivano proprio da queste cause, non solo dalla produzione della materia prima.

Convenzioni

Le centrali nucleari invece non sono assicurabili, o lo sono fino a un limite relativamente basso. Le conseguenze di un incidente nucleare grave (per quanto poco probabile, come nel caso di Fukushima) sono così devastanti che nessuna compagnia assicurativa vuole o può assicurarne l’evento. Col tempo sono state formate a questo scopo pool di compagnie assicurative (spesso internazionali) e unioni di gestori degli impianti per costituire fondi adeguati: Nuclear Electric Insurance Limited (Neil) negli Stati Uniti, Emani e Elini in Europa. È stato garantito il supporto economico diretto dagli Stati, soprattutto attraverso convenzioni internazionali che fissano tipologie e massimali (ma non tutti le hanno firmate): la Convenzione di Vienna del 1963, la Convenzione di Parigi del 1960 rafforzata da quella di Bruxelles del 1963. Nel 1988 un Protocollo Congiunto ha raccolto tutte le clausole di responsabilità e risarcimento per le catastrofi: non più di 23 milioni di dollari, nel migliore dei casi.

Queste convenzioni sono state più volte aggiornate, quella di Vienna prevede ora un minimo di 528 milioni di dollari, la più recente (quella di Parigi) nel 2004 ha portato il tetto massimo a 2.2 miliardi di dollari, di cui il 53% proveniente da fondi pubblici. Per l’incidente di Fukushima non si conosce ancora l’entità dei risarcimenti ma una stima recente li valuta in 130 miliardi di dollari, più di 6 volte il valore dei risarcimenti per la fuoriuscita di petrolio nel Golfo del Messico. Chi pagherà la differenza rispetto ai fondi disponibili? Ancora una volta lo Stato, cioè i cittadini, cioè le stesse vittime.

Chi paga?

Che cosa succede, quindi, in caso di catastrofe nucleare in Occidente? Ce lo insegna ancora una volta la vicenda di Fukushima in cui il piano di risarcimento del governo giapponese prevede in sostanza la nazionalizzazione della Tepco (la società elettrica proprietaria degli impianti danneggiati) per 10-13 anni finchè non sarà ripagato il debito contratto per far fronte agli enormi risarcimenti e poi la ri-privatizzazione della società. Il titolo Tepco invece continua a crollare in Borsa tirandosi dietro tutto l’indice Nikkei, che si aggiunge al crollo dell’1% del Pil. I cittadini giapponesi, coinvolgendo in parte quelli americani ed europei, pagheranno salato la scelta nucleare. In molti paesi europei (Svezia, Svizzera, Finlandia, Francia, Germania) si stanno aggiornando i limiti per il risarcimento da parte dei gestori, o lo si è già fatto, così come in India, Canada, Russia, ma raramente si superano i 3 miliardi di euro.

Insomma tocca a ciascuno Stato farsi carico quasi totalmente degli eventuali enormi risarcimenti (senza contare il danno ambientale) ma poichè lo Stato non è una compagnia assicurativa, e non chiede un premio ai gestori, non c’è alcuna incidenza di questa parte sul costo dell’energia. Perciò l’energia nucleare di fatto non compete allo stesso livello delle altre forme di energia, soprattutto delle rinnovabili. Perché mai? La motivazione fornita da alcuni sarebbe un buon esempio di tautologia: «Poiché l’energia nucleare fornisce un valido contributo all’energia mondiale, per continuare a renderla realizzabile i rischi che gli operatori corrono devono essere socializzati» (World Nuclear Association).

Circolo perverso

Ricapitolando: una società privata (o una public company) costruisce una centrale nucleare, in caso di incidente grave i costi vengono necessariamente coperti dalla collettività. Questa energia diventa inevitabilmente iper-competitiva rispetto ad altre inducendo, spesso, la costruzione di centrali più “economiche” o più semplici (come quelle derivate dalle BW) o il mantenimento in esercizio di altre concepite 50 anni fa. Infatti in queste condizioni si crea un circolo vizioso per cui più si risparmia sull’investimento iniziale e più si guadagna. Inoltre le convenzioni e le regole internazionali stipulate dagli Stati si aggiornano troppo lentamente sia in tema di sicurezza che di risarcimento, configurando un mosaico evidentemente indebolito di garanzie per l’ambiente e i cittadini. Ma soprattutto nel caso dell’energia nucleare chi produce, chi fa le regole e chi controlla o è la stessa persona o è un gruppo di persone con molti interessi in comune.

Nonostante l’energia nucleare venga spesso presentata come pulita, a meno di improbabili catastrofi, la realtà che l’incidente di Fukushima ci mostra è che non è di fatto un processo industriale sostenibile. Può essere considerata una costosa scelta strategica, ma in tal caso è necessario chiarire bene ai contribuenti perchè viene fatta e mantenuta e quali sono le alternative. È importante mostrare esattamente quali vantaggi porterà in futuro confrontandola con le altre energie e per quanto tempo sarà necessario sostenere collettivamente questo rischio e questi costi. Già alcuni Paesi, tra cui lo stesso Giappone e la Germania, hanno fatto queste valutazioni e concluso semplicemente che non ne vale più la pena.

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