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Giocare può far bene anche al business

21 Gennaio 2011

Giocare può far bene anche al business

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L’uso di videogames per imparare attività professionali presenta interessanti opportunità. E se domani lavorassimo facendo finta di giocare?

Giocare è un’attività profondamente sottovalutata. A torto, se guardiamo i fatturati che fa questo mercato (stellari). A torto, se guardiamo cosa può fare il gioco per il nostro morale (e di questi tempi…). Ma a torto anche se guardiamo cosa può fare il gioco per il business. In genere si parla solo di quanta inefficienza portano i videogiochi ai lavoratori, vedi alla voce milioni di ore rubate al lavoro per curare la propria fattoria su Farmville (che sta però perdendo utenti) o, più recentemente, con quel nuovo fenomeno galattico che è Cityville. Per non citare poi il caso celebre di Google che mette Pacman in copertina e fa sprecare quasi 5 milioni di ore lavoro al mondo. C’è però chi crede che l’approccio videoludico possa fare molto per le aziende.

Formarsi giocando

Sul fronte formazione, si sa da millenni che giocare è una maniera per imparare e crescere. Giocare alle bambole per imparare a fare la mamma. Giocare coi trucchi per prepararsi a una futura carriera basata sulla propria bellezza (ehm). La tecnologia ha fatto esplodere questo potenziale. La differenza tra quello che è gioco e quello che è apprendimento si sfuma: chi è appassionato di simulazioni aeronautiche sa che X-Plane è un modo interessantissimo per ritrovarsi virtualmente ai comandi di centinaia di aerei, in situazioni assolutamente realistiche. Tanto realistiche che, aggiungendo un semplice oggettino hardware, al modico costo di 500-1.000 dollari (e una piattaforma tra i 5.000 e i 500.000 dollari), le ore effettuate volando virtualmente col gioco vengono conteggiate come certificabili dalla Federal Aviation Authority americana. Ma ancora prima, i nostri piloti militari già avevano cominciato ad addestrarsi con Flight Simulator.

Su un fronte meno cruento (ma non molto più pacifico), da anni e anni si usano i cosiddetti business games, prima con carta e pedine e poi sui computer. Ricordo una prova d’esame di questo tipo che dovetti sostenere smanettando coi colleghi su un PDP-11, collegato a una telescrivente, i monitor video erano di là da venire. Il mondo business è tanto complesso che metterci le mani sopra porta il rischio di fare dei disastri di dimensioni colossali. Così come un simulatore militare permette di sparare senza far male a nessuno, così il business game permette di sperimentare senza gettare sul lastrico centinaia di dipendenti e seminare il panico sui mercati finanziari interconnessi del pianeta.

Stagisti alla prova

Questo, a tendere, è uno spazio di mercato interessante. Sviluppare oggetti di realtà virtuale che insegnino a neoassunti, a neolaureati pieni di teoria ma senza pratica, a personale riqualificato come va il mondo, il nostro settore merceologico, il nostro ambiente. Magari persino di far fare agli stagisti un po’ di esperienza – virtuale, ma se non altro non esclusivamente correlata alla macchina fotocopiatrice, mettendo il dipendente o lo studente di fronte a casistiche realistiche e a problemi maledettamente concreti da risolvere.

E mi immagino dei fantastici porting di Assassin’s Creed o delle evoluzioni di World of Warcraft calati nella realtà della nostra azienda, per metterci finalmente in grado di decodificare le fazioni politiche aziendali – chi sta con chi e contro di chi nella lotta per la poltrona di amministratore delegato? Riproponendoci digitali agguati notturni da parte della Gilda del Marketing ai danni della Corporazione dell’Amministrazione e Controllo, nei neri prati del Parcheggio Sotterraneo delle Nebbie. Portando vantaggi in termini di risparmio economico e di migliore memorizzazione delle (dure?) lezioni apprese.

Lavorare imparando

In realtà il potenziale vero è forse quello di far evaporare la differenza tra reale e virtuale, sostituendo la realtà con una sua interfaccia virtuale. Mi spiego meglio. Se giocare a Farmville simula un lavoro agricolo, perchè non attaccare ai trattori finti dei trattori veri? Penseremo che siamo fortunati ad essere pagati per giocare a Farmville 12 ore al giorno, ma in realtà ogni nostra azione controllerà trebbiatrici e seminatrici che roboticamente opereranno sui campi.

O, più facilmente, passeremo la giornata lavorativa a smazzarci dei simpatici arcade, che presenteranno le problematiche di mercato e le azioni dei concorrenti come minacce aliene, cui dovremo rispondere adeguando difesa e offesa, trasformando un’interfaccia alla Space Invaders in duri input economici alle maestranze aziendali. E non è impossibile che lavori ripetitivi o con alto potenziale di noia (ad esempio la gestione e validazione di documenti) possano un giorno essere resi più interessanti attraverso la loro trasformazione in un videogioco. Non solo: gli obiettivi aziendali potranno essere trasformati in punteggi, e di qui classifiche degli impiegati, sfide, tornei nei quali i punti fatti non saranno meri numeri finti ma corrisponderanno a tangibilissime vendite, recuperi di efficienza, pratiche evase.

Primi segnali già si vedono: partendo da questo gioco educational di Cisco (funziona, ci potete giocare) si potrà trasformare un approccio puramente educativo sul networking in una configurazione virtuale di una rete vera passando attraverso la metafora di una eccitante missione spaziale (il cui compimento sarebbe molto più gratificante che lo svolgimento di una riprogettazione del networking di un sistema di logistica per rottami metallici).

Lascia o raddoppia?

Il potenziale di mercato è molto alto, aziende come Enspire Learning (tanto per citarne una) si danno un gran da fare per creare giochi che portino un vantaggio competitivo alle aziende, come questo loro gioco pensato per «creare entusiasmo e passare informazioni cruciali sull’azienda ai neoassunti» (nel caso specifico Sun Microsystems, mica la panineria dell’angolo). O quella di Learningware, che si è specializzata nella realizzazione di quiz show simil-televisivi per far passare la conoscenza e l’apprendimento.

In un mercato, come quello televisivo, che già avverte le prime crepe nell’audience e nell’interesse verso certi format, molte stelle del piccolo schermo potranno dunque, probabilmente, avere una seconda, nuova, folgorante carriera. Come intrattenitori non più di un grande pubblico (frammentato su internet, le web tv, gli stream e magari un po’ di vita vera) ma di sterminate orde di venditori a molla e di amministrativi d’assalto. Formati e trainati da volti noti per una maggiore e più fedele efficienza in azienda. E magari, le tecnologie digitali lo permettono, arriveremo a riesumare come trainer anche Mike Buongiorno. Che instillerà in assunti e riconvertiti molta efficienza. E molta allegria.

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