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La filosofia Apple e le chiavi del giardino

04 Novembre 2010

La filosofia Apple e le chiavi del giardino

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Dalla censura dei messaggini sospettati di sexting ai licenziamenti nell'Apple Store di Grugliasco, dalla selezione fin troppo prudente sui contenuti dell'App Store al tentativo di portare le applicazioni anche sul Mac: il lato meno esposto della Mela

«Non riesco a ricordare più di un centinaio di nomi, per questo voglio avere accanto persone che conosco personalmente. Quindi se il numero di persone aumenta, saremo costretti a seguire una diversa struttura organizzativa. Il modo migliore per lavorare è quando posso toccare tutto con mano».  È la tipica osservazione che farebbe Steve Jobs, secondo John Sculley, il precedente Ceo di Apple. «Ciò che rende la metodologia di Steve differente da quella di tutti gli altri è che ha sempre creduto che le più importanti decisioni che prendi non riguardano le cose che fai, ma le cose che decidi di non fare. È un minimalista», dichiara l’ex amministratore delegato in una lunga intervista su Jobs.

Sexting

Una filosofia, strettamente riassunta in poche righe, che, da una parte, riflette la mentalità di chi vuole avere la situazione sotto controllo e, dall’altra, ci fornisce gli strumenti per ricostruire alcuni casi di eccesso di controllo dell’esperienza da parte di casa Cupertino. Controllo che spesso si traduce in censura. A partire da un nuovo brevetto per iPhone, registrato di recente da Apple: è il Text-based communication control for personal communication device, approvato dall’US Patent and Trademark Office. Il brevetto bloccherebbe l’entrata e l’uscita di Sms a sfondo sessuale, in breve impedirebbe il sexting.

Il funzionamento è semplice: un’applicazione parent control valuta se il testo presenta termini inappropriati o se non è stato autorizzato e, nell’ultimo caso, l’applicazione o richiede all’utente di sostituire il testo, oppure cancella automaticamente il termine o addirittura l’intera comunicazione. Forse il nuovo brevetto servirà a tranquillizzare i genitori più protettivi, anche se, come ci fa notare TechCrunch, chi è interessato al sexting probabilmente troverà qualche termine non direttamente censurabile dall’applicazione. D’altra parte, cogliendo il lato positivo dello strumento, sembrerebbe che mentre impedisce che i ragazzi mandino testi salaci, li abiliti anche a imparare i linguaggi e non solo le parole proibite.

Mercati

Ma siamo proprio sicuri che si tratti di semplice parent control e non di censura, si chiede John C. Dvorak. «Questo brevetto non riguarda il sexting ma un discorso politico. Apple vuole il suo telefono in Iran, Cina, Arabia Saudita, e altre parti del mondo dove la divergenza politica è un crimine. Dal suo punto di vista, la chiave del brevetto si trova proprio nella sua descrizione: «In one embodiment, the control application includes a parental control application». E «one embodiment» sta a indicare che ci sono altri utilizzi: è tutto uno stratagemma, sostiene Dvorak. «L’aspetto più triste di tutto ciò è che nessuno protesterà. Nessuno condannerà Apple per andare oltre ciò che io considero un brevetto anti-umanitario e il business continuerà come al solito. Nel frattempo, molte persone credono sia un’ottima idea. Ma chiamiamola per quello che è: uno squallido meccanismo di censura e niente di più.»

È una soluzione che di certo sta facendo discutere abbastanza in rete. E non è la sola firmata Steve Jobs. Di casi di censura e di controllo dell’esperienza (o di tutela degli utenti?) ne ha collezionati un po’ Apple, anche solo nell’ultimo anno. Senza andare troppo lontano, nei giorni scorsi il caso di Grugliasco e il licenziamento di alcuni dipendenti Apple – senza nessuna spiegazione plausibile se non «non sei allineato al pensiero dell’azienda» – può essere un esempio di eccesso di controllo della società. E in attesa di risposte valide da parte di Apple, le discussioni in rete aumentano.

Satira

Un altro episodio di censura, poi, risale a pochi mesi fa quando l’azienda di Cupertino ha vietato nell’Apple Store la pubblicazione di vignette che ridicolizzano personaggi pubblici. È il caso di Mark Fiore, scrittore di satira politica e vincitore del premio Pulitzer, il quale ha creato un’applicazione che gli è stata rifiutata poiché violava la policy dello Store. «Sinceramente ne sono rimasto sorpreso»,  afferma Fiore, «sono stato un fan della Apple e del loro lavoro, e utilizzo i loro prodotti». Successivamente Apple, dopo l’intervento della Nieman Journalism Lab, ha invitato lo scrittore a riproporre le sue creazioni: «È stato un errore cui stiamo rimediando», ha dichiarato personalmente Steve Jobs.  Secondo Fiore, «dal momento che Apple si è fatta strada sul mercato con le applicazioni per mobile, per loro ha senso essere aperti». Intanto allo scrittore piace pensare che l’azienda stia crescendo e magari, aggiunge speranzosamente, questo episodio possa essere l’inizio di un cambiamento. Fiore, allo stesso tempo, si sente colpevole del trattamento preferenziale non riservato ad altri vignettisti (o artisti, più in generale) non altrettanto famosi.

Ma Apple nel tempo ha anche proibito alcune app che permettevano l’accesso a testate nazionali e internazionali, come Newspaper(s), perché alcuni contenuti includevano materiale a sfondo sessuale o immagini di corpi nudi. E non è di certo l’unico esempio di casi in cui la società di Cupertino decide quali applicazioni possono entrare nel catalogo e in che modo. Come la messa in discussione del dizionario di inglese Ninjawords che contiene termini offensivi (parolacce) che la Apple ha pensato bene di eliminare, restringendo anche l’accesso al dizionario a chi ha più di 17 anni. E si potrebbe continuare ancora a lungo, se pensiamo anche ai vari casi di censura editoriale: solo qualche mese fa Apple ha chiesto di “coprire” qualche nudità (non pornografica) dalla graphic novel di Ulisse, ripensadoci successivamente perché, dopotutto, non era poi così oscena.

Intermediazione

La questione comincia ad essere assai delicata, soprattutto nel settore dell’editoria. Come osserva Massimo Russo – quando l’iPad non era ancora diffuso in Europa ma già aveva successo negli Stati Uniti – molti editori di periodici e quotidiani guardano al nuovo tablet di Apple «come a una delle piattaforme di distribuzione elettive per trovare un modello di ricavi digitali efficace per le proprie pubblicazioni». E, sempre in quei mesi, anche la Columbia Journalism Review lanciava un appello agli editori, scrivendo grosso modo così: l’iPad rappresenta una grande opportunità per i media,  ma – utilizzando la traduzione di Russo – «se le testate cedono sull’intermediazione, stanno facendo un grave errore. A meno che Apple non garantisca loro (e a chiunque voglia produrre un’applicazione per iPhone e iPad, aggiungiamo noi) la libertà di pubblicare tutto quel che ritengano opportuno nelle proprie applicazioni».

Intanto, altra notizia degli ultimi giorni, Steve Jobs all’evento Back to the Mac ha presentato, tra le altre novità, il Mac App Store: l’estensione del negozio online dove poter scaricare le applicazioni Apple su computer, e non solo più su iPhone e iPad. Un’innovazione che potrebbe rappresentare un limite per l’utente, più che una possibilità di scelta. O almeno è l’opinione di alcuni, come Michael Bennett Cohn: «Altri siti hanno fatto essenzialmente la stessa cosa per anni. La differenza è che non sono stati controllati da Apple (e Apple non li ha tagliati fuori). Quindi quello che sembra essere una maggiore possibilità di scelta è in realtà un modo di creare meno scelta. In poco tempo, molti utenti non si sentiranno dalla parte del giusto scaricando applicazioni fuori dallo store».  Inoltre, continua Cohn, non è stato casuale che, durante la dimostrazione di un acquisto nell’App Store, Jobs abbia simulato di comprare Pages, un programma di scrittura di proprietà della Apple. «Pages sarà sempre più semplice (ed economico) da installare sul Mac rispetto a Word, e quando digiti “word processing” nel campo di ricerca dell’App Store, Pages sarà sempre in cima alla lista dei risultati». Cohn e molti fan di Apple « continueranno a sperare in un mondo in cui è possibile essere un utente Apple senza consentire all’azienda di controllare per intero i nostri computer e le nostre vite». E nel frattempo, c’è chi progetta nuove alternative per un open app store sul Mac.

Libera scelta

«Apple dichiara di aver bisogno di costruire un walled garden per proteggere i suoi utenti» scrive Shari Steele dell’Electronic Frontier Foundation, ma dal punto di vista dei proprietari di un iPad o iPhone, sembra più un tentativo di controllo dell’utente e di «reimpostazione delle tradizionali aspettative riguardanti quello che puoi fare con i prodotti che acquisti». Come sostiene Jason Snell, Apple dovrebbe offrire «un’opzione che permette di installare le app da fonti sconosciute», una sorta di pulsante di «libertà di scelta» per chi vuole abbandonare la sicurezza di applicazioni pre-approvate. Se Apple è davvero interessata alla protezione dell’esperienza dell’utente, aggiunge Steele, dovrebbe «abbandonare la mentalità chiusa e supportare il vostro diritto di avere il controllo sui vostri dispositivi». E dovrebbe «restituire le chiavi del giardino».

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