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Luca Sofri, come sta andando Il Post?

06 Settembre 2010

Luca Sofri, come sta andando Il Post?

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Nato in aprile, il nuovo giornale online sperimenta in Italia una ricetta che negli Stati Uniti sta portando fortuna per esempio all'Huffington Post: poca ma buona informazione originale e tanta digestione e contestualizzazione del lavoro altrui. Intervista al direttore

Luca, Il Post è online da quattro mesi. Certo in mezzo ce ne sono stati anche due di estivi, che non sono magari il periodo più vivace per spingere su una start up. Ad ogni modo, come siete sulla tabella di marcia, meglio o peggio di quanto ti proponevi?

Molto meglio, se ti riferisci ai numeri. Abbiamo una tabella di marcia che ci impone crescite continue e considerevoli, ma un ottimo risultato di partenza ci ha permesso di rispettarla finora ampiamente. Adesso ci prepariamo alla strada in salita, ma con buone idee e prospettive.

Non fornisci numeri, ma ho una domanda sulle metriche. Come avete definito la tabella di marcia? Considerate soltanto i classici indici di traffico oppure tenete in considerazione le interazioni sociali nel sito e nei social network e le varie forme di lettura non convenzionale come i feed? Te lo chiedo perché non date l’impressione di cercare pagine viste a tutti i costi, finora.

Cerchiamo pagine viste, ma non a tutti costi. Comunque sì, sui numeri i miei metri sono strettamente pubblicitari: sull’apprezzamento e il funzionamento delle cose valutiamo cose più puntuali e frammentate al momento. Io non sono preoccupato del successo del Post come iniziativa, che per me sarebbe già sufficiente ora a esserne contenti, ma della sua capacità di sopravvivenza. E quella dipende dalle pagine viste.

Che cosa puoi dire della consapevolezza della rete e dei media mainstream rispetto al vostro lavoro fin qui? Ti capita mai di notare non tanto citazioni, ma il diffondersi di un certo modo di stare e di lavorare in rete per il quale si possa dire “vedi, se non c’era Il Post questo oggi non l’avrebbero mai fatto”?

È difficile dirlo. Realisticamente, direi di no: è troppo presto. Ma ti confesso che su alcune cose che vedo in giro ogni tanto la sensazione ce l’ho. Se così fosse, comunque, sarei molto contento: cambiare modelli e modi di fare è un nostro obiettivo prioritario non solo per quel che riguarda il Post.

I critici (critici vostri e più in generale del modello Huffington Post, che vive principalmente di digestione e ricombinazione del lavoro altrui) dicono che siete come le sanguisughe: non vi cercate il cibo per conto vostro, vi nutrite del sangue delle vostre prede, indebolendole. Che idea ti sei fatto del vostro ruolo nell’ecosistema della rete e dei media?

Non un’idea sola, ma molte e anche contraddittorie. Di sicuro invece c’è che la critica è superficiale e pretestuosa: di solito viene da organi di informazione tradizionali che fanno la stessa cosa che contestano, oggi i giornali sono fatti in grande maggioranza da notizie che non provengono dall’interno delle redazioni e dei collaboratori. In più, la selezione, l’aggregazione e la riproposizione dei contenuti altrui come la intendiamo noi genera maggiore attenzione rispetto ai contenuti stessi e maggiore promozione per chi li produce.

Naturalmente è anche ovvio che in generale il mercato più ricco mette in difficoltà gli attori del mercato, ma questo vale qualunque cosa producano: se il Post producesse notizie, inchieste e contenuti esclusivamente propri – annullando la critica a cui ti riferisci – non sarebbe meno ingombrante (nel suo piccolo) per gli altri siti di informazione. E alla fine mi pare che il timore sia questo: che altri occupino il tuo spazio, e gratis. Non dico che sia un timore condannabile e immotivato, ma è lo stesso timore di una compagnia aerea costretta a chiudere per la concorrenza più economica dei treni veloci. Si perderà qualcosa, dopo, ma il sistema si ricostruisce in altri modi. Però ti ripeto, non vorrei che le mie opinioni suonassero perentorie e sicure come quelle dei detrattori del cambiamento: non so cosa ci riservi il futuro.

Una delle più importanti innovazioni introdotte dal Post nel giornalismo italiano mi sembra quella che riguarda il linguaggio. Riuscite a contemperare con sorprendente efficacia semplicità e precisione, informalità e sostanza, allegria e rigore. Siete sufficientemente informali per partecipare alle conversazioni della rete, ma senza sbracare e conservando intatta la dignità del lavoro giornalistico. Quali sono le fissazioni di Sofri come direttore, in questo senso?

Ti ringrazio molto perché io invece non sono ancora soddisfatto di questo lavoro di sintesi degli obiettivi: ma ci stiamo provando. Prendo come una battuta complice il termine “fissazioni”: io trovo solo che sia il modo giusto di fare le cose, perché sottrarsi ai cliché, alle frasi fatte, ai luoghi comuni, alle cose scritte senza attenzione per le parole, significa sottrarsi alla comprensione delle cose, di ogni singola cosa, mettere ogni tanto il pilota automatico. Vorremmo riuscire a non farlo mai, e non è facile perché la routine e la fretta sono molto tentatrici.

A differenza del modello prevalente in Italia, voi non sembrate affetti dalla sindrome dell’aggiornamento ossessivo del titolo e dell’apertura. Vi riservate piuttosto un ruolo – scoperto finora – di ricostruzione del contesto. Quando una vicenda si dilunga per giorni o si complica abbastanza da richiedere un’attenzione specializzata, supplite con una visione d’insieme o con una sintesi essenziale. Lavorate molto su questo versante, ho addirittura la sensazione, forse complice l’assestamento esitivo, che stia diventando prevalente. Sbaglio?

Provo a spiegarmi la tua impressione estiva: quello che dici che facciamo deriva da due ragioni. La prima è che i media italiani tendono a dare per inteso moltissimo di quello a cui si riferiscono, e spesso leggiamo notizie di cui abbiamo perso o dimenticato le origini, i contesti e la comprensione. Il lavoro che facciamo di ricostruzione deriva innanzitutto da una nostra necessità che sappiamo condivisa, che in brusca sintesi è: ma di cosa stiamo parlando?

La seconda ragione di simili interventi di spiegazione ha a che fare con un criterio di scelta delle notizie per cui spesso scegliamo di trascurare cose che hanno grande spazio nell’informazione e nel dibattito nazionale, perché ci sembrano sinceramente irrilevanti, autoreferenziali, destinate a esaurirsi nel nulla. E però non ci nascondiamo che nel momento che i media le costruiscono diventano di per sé delle notizie. E quindi dopo alcuni giorni che un nulla occupa spazio sui giornali, cerchiamo comunque di spiegare a noi stessi e ai lettori del Post come quel nulla è diventato notizia.

Il giornale online italiano punta moltissimo sull’home page, concepita ancora come eredità della prima pagina cartacea e baricentro di tutta la produzione giornaliera. Sul Post, a parte quel po’ di sana attenzione a far girare i titoli, non sembrate proprio avere l’angoscia dell’apertura. C’è, dietro a questo atteggiamento, la sensazione che la partita dei contenuti giornalistici in rete si giochi piuttosto sulle pagine interne?

Non quanto pensi, e non quanto vorremmo. Nel senso che la tipologia dei nostri articoli verrebbe favorita da un simile criterio: le nostre news sono piuttosto equivalenti in termini di importanza che diamo loro, e raramente sono volatili. Ma per quanto Google premi molto la loro costruzione, non basta ancora per renderle autosufficienti, e la homepage occupa ancora uno spazio importante nei nostri numeri così come la scelta della notizia di apertura. Certo, cerchiamo di non averne l’affanno: anche perché poi ci rendiamo conto che i siti di news maggiori cambiano l’apertura pochissimo nel corso della giornata, certi giorni appena due o tre volte (stiamo anche emancipandoci molto da guardarli, i siti di news maggiori: risparmiamo tempo e non perdiamo quasi niente di ciò che interessa a noi, detto con rispetto assoluto). Ma stiamo anche lavorando per distribuire meglio la visibilità e le tipologie degli articoli.

Un elemento centrale della vostra ricetta dovrebbero essere i blog delle firme. Sulla carta avrebbero dovuto essere il valore aggiunto di tutta l’operazione, ma come lettore ho spesso la sensazione che il risultato sia ancora inferiore alla somma delle parti. Girano spesso ottimi post e alcuni blog hanno una personalità spiccata, eppure la sensazione è di trovarsi di fronte a grandi individualità ma non ancora a un’aggregazione virtuosa di cervelli. Fatto sta che il lavoro redazionale dà l’impressione di dominare ancora il palcoscenico. Condividi questa analisi?

La condivido abbastanza – ma occhio che i post che pubblichiamo sono comunque molto letti, molto molto – e sta dentro una generale difficoltà di esaurimento di obiettivi e agenda: ti confesso che quasi tutto il lavoro progettuale e ideativo del Post è stato fatto fino al giorno prima che il Post partisse: dopo, la contingenza quotidiana ha assorbito quasi tutte le forze e solo ora cominciamo ad aver organizzato meglio il nostro lavoro e il nostro tempo per introdurre un po’ di cose nuove che avevamo in cantiere da tempo. Tra queste – ci lavoreremo nei prossimi mesi – c’è una riorganizzazione dei blog, un arricchimento del numero dei bloggers, un maggior lavoro complice tra la redazione e i bloggers. Che però, ripeto, in quasi totale indipendenza stanno producendo cose notevoli ai nostri occhi e a quelli dei lettori.

I grandi gruppi editoriali internazionali stanno investendo molto non soltanto sull’informazione online, ma anche sul modo in cui l’informazione è confezionata e proposta. Programmatori e grafici siedono sempre più vicini ai giornalisti. Di recente anche voi avete avviato la ricerca di un tecnico che affianchi il lavoro redazionale: avete in programma investimenti specifici in questa direzione?

Li abbiamo già fatti, compatibilmente con una grande attenzione ai nostri bilanci: i piedi per terra sono un criterio di movimento a cui teniamo molto, per inclinazione ancora prima che per prudenza. Ma la questione che poni implica riflessioni complicate – che stiamo facendo – sull’identità grafica del Post e di conseguenza anche sulla sua identità in generale: il modello Huffington Post, per dirne una, ovvero il casino totale, è una cosa da cui abbiamo sempre voluto stare alla larga, per diverso pensare. Ma ha le sue efficacie, e non è detto che non sia preferibile per i lettori. Per dirne una, eh: non immaginare che stiamo pensando al casino totale.

Riprendo ed espando l’ultima domanda. Che cosa ci possiamo aspettare dal Post di qui alla fine dell’anno?

La cosa principale non si vedrà, perché sarà un intenso lavoro progettuale sul Post dell’anno prossimo. Ma per risponderti, introdurremo di certo una maggiore diversificazione delle tipologie dei contenuti. Una sezione di notizie più brevi, che si pongano a metà tra i post-it e le news attuali, per soddisfare un’intenzione di maggiore completezza. E alcuni nuovi “contenitori” di novità e aggiornamenti in ambiti diversi, sempre con attenzione a non fare diventare niente routinario. E poi cercheremo di produrre ancora più racconti e informazioni, organizzando più efficacemente il nostro lavoro. Ci piacerebbe riferire di più dell’Italia, se i produttori di informazione italiani ci dessero una mano. Infine, ci siamo mossi lentamente travolti da mille cose, la benedetta versione per iPad e iPhone.

L'autore

  • Sergio Maistrello
    Sergio Maistrello, giornalista professionista, segue da oltre 20 anni l'evoluzione di Internet e le sue implicazioni sull'informazione e sulla società. È docente a contratto di Giornalismo e nuovi media all’Università di Trieste e insegna New media al Master in Comunicazione della Scienza della Sissa.

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