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Facebook Places, quante discussioni sulla mappa

27 Agosto 2010

Facebook Places, quante discussioni sulla mappa

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Dopo il successo di Foursquare e Gowalla, Facebook apre le porte alla geolocalizzazione di persone e contenuti. Nuove opportunità di relazione e di marketing, ma le solite preoccupazioni per la privacy in cui il social network non manca mai di inciampare

Per ora disponibile solo negli Stati Uniti, Facebook Places è il nuovo servizio di geolocalizzazione per smartphone lanciato pochi giorni fa dal social network più popoloso della rete. Da subito ha suscitato polemiche, in particolare a proposito delle ripercussioni sulla privacy degli iscritti. Il sistema, simile a Foursquare e Gowalla, consente di segnalare in tempo reale la nostra posizione geografica rilevata dal dispositivo mobile e di fare check-in (ovvero rendere pubblica la propria presenza) nel luogo in cui ci troviamo (un ristorante, un negozio, una palestra e così via). L’informazione viene visualizzata sulla nostra bacheca e sul news feed, nonché, naturalmente, sulla pagina del Places.

Grazie a questo servizio possiamo scoprire per esempio se uno dei nostri contatti è presente allo stesso concerto a cui stiamo assistendo. In più – ed è intorno a questa funzione che nascono le perplessità maggiori – possiamo taggare (ovvero segnalare nella mappa) chi tra i nostri contatti condivide in un dato momento presenza e attività: in questo modo, l’aggiornamento di stato appare anche sulla bacheca degli amici segnalati. Come già accade per la funzione di associazione tra contenuti e persone, spesso usata a sproposito per guadagnare attenzione e visibilità, questa opzione potrebbe finire col georeferenziare qualcuno in un luogo in cui non si trova. O semplicemente potrebbe associare qualcuno, suo malgrado, in un luogo in cui non si dovrebbe trovare, almeno ufficialmente. All’interessato arriva puntuale notifica di tutto ciò che lo riguarda, ma non è detto che sia ricevuta in tempo utile a rimediare.

Il no non è un’opzione

L’American Civil Liberties Union teme che il social network abbia trascurato importanti aspetti riguardanti la tutela della privacy: «Nel mondo di Facebook Places, il “no” sfortunatamente non è tra le opzioni». Infatti, alla persona taggata viene data la possibilità di scegliere solo tra due alternative: “sì” per consentire il check-in da parte di terzi e “non ora” che corrisponde al “chiedimelo più tardi”. Inoltre, la funzione “Qui in questo momento” visualizza una lista di persone (anche non appartenenti ai friend) che hanno fatto check-in in un dato luogo di recente. E Facebook, continua l’ACLU, non permette di avere il pieno controllo delle funzionalità: possiamo solo scegliere tra “on” e “off” e, nel primo caso, siamo automaticamente visibili a tutti gli utenti geolocalizzati nello stesso nostro luogo. In più, se abbiamo scelto che tutti possano accedere a una parte delle nostre informazioni, l’opzione Here Now è attiva di default. Infine, aggiunge l’ACLU, poiché Facebook ha aperto l’accesso alle geoinformazioni da parte di applicazioni e siti, le app degli amici possono accedere ai nostri ultimi luoghi visitati.

«Puoi scegliere se condividere o meno la tua posizione quando fai check-in in un luogo. In quel caso, puoi taggare gli amici che sono con te, ma solo se le loro impostazioni sulla privacy lo permettono. Quando sei stato taggato, ti arriva sempre una notifica» spiega Michael Eyal Sharon, product manager di Facebook Places. Come dire: Facebook dà la possibilità di settare il proprio livello di privacy, poi resta a noi imparare a gestirlo. Non fosse che, ancora una volta, le impostazioni non sono così trasparenti e semplici da configurare. Tant’è che in rete circolano alcuni vademecum, come quello di Roberto Felter: anche se in Italia il servizio non è ancora attivo, «conviene mettere mano subito alla propria configurazione della privacy, cosi da avere sotto controllo anche queste nuove informazioni». Adrian Chen arriva a titolare il suo articolo su Gawker «La prima cosa che dovresti fare con Facebook Places: non permettere che altre persone ti tagghino» e ci mette in guardia su una serie di situazioni imbarazzanti che si potrebbero creare, rendendo necessario il passaggio alla guida step-by-step alla configurazione dei parametri. E conclude ironicamente: «Ora ci vorrebbe solo un grande pulsante per disabilitare tutto facilmente».

A milioni sulla cartina

Nonostante queste perplessità, per le aziende e in particolare per le piccole imprese può avere senso usare Places. Può essere utile per lasciare traccia delle persone che si sono fermate, per esempio, in quel dato negozio o ufficio pubblico: a questo proposito, è disponibile anche una guida per imparare a unire la pagina di Facebook a quella di Places in un’unica page con tutte le informazioni sulla location dell’impresa. «Servizi come Facebook Places danno vita ad una nuova realtà sociale», scrive Luca Conti. «E rappresentano un passo avanti nell’evoluzione dei social network, da un lato sempre più volti a diventare come l’aria – li respiriamo e neanche ce ne rendiamo conto, tanto sono parte delle nostre abitudini, secondo la metafora di Charlene Li – e, dall’altro, capaci di generare nuove forme di marketing, promozione e comunicazione, con ricadute tangibili sull’economia locale».

Intanto nel 2010, e in particolare negli ultimi mesi, assistiamo ad una rapida crescita del numero di utenti iscritti ai social location-based services come Foursquare, Gowalla, Google Latitude, Loopt, Brightkite e MyTown. Secondo un rapporto fornito da RJMetrics, in testa c’è Foursquare con oltre 2,5 milioni di utenti, contro gli oltre 390.000 di Gowalla. Google Trend calcola una crescita dei visitatori di Foursquare del 350% da gennaio ad agosto, che, rispetto a un aumento del 15% di  Gowalla nello stesso periodo, rappresenta un dato molto significativo. Adesso però i servizi di geolocalizzazione devono fare i conti con i 500 milioni di utenti dell’azienda di Zuckerberg e ci si chiede se possano sostenere a testa alta la competizione. In realtà, subito dopo il lancio di Places, Foursquare ha battuto il record di iscrizioni, così come si legge in un tweet di Dennis Crowley, Ceo di Foursquare.

Dove non sei

«Facebook serve a condividere le esperienze già avute», dichiara Crowley in un’intervista per Mashable «Foursquare guarda più al presente e al futuro». Insomma, i due servizi più che essere in competizione tra loro, hanno due obiettivi differenti. Secondo Massimo Mantellini, «Places, già in fasce, mostra con chiarezza, esattamente come i suoi concorrenti, questo desiderio di esplorare non tanto il grafo sociale applicato alla nostra mobilità, quanto la possibilità di monetizzare rapidamente le informazioni degli utenti rivendute agli uomini del marketing». Desiderio che è diventato ormai una ossessione «goffamente mascherata con i soliti mezzi: per esempio complicando ad arte i menu a tendina dei profili della privacy dei propri amati utenti». Non è una voce isolata. «Quello che notiamo con Facebook è una curva di apprendimento enorme. Ogni volta che cambiano qualcosa, gli utenti fanno molta fatica a capire le impostazioni sulla privacy», sostiene Rainey Ratman, portavoce della Privacy Rights Clearinghouse. «Le informazioni sulla localizzazione sono correlate alla sicurezza delle persone. Se la gente sa dove sei, sa anche dove non sei. Questi dati sono tra i più sensibili che abbiamo. Mi aspetto di vedere come se la caveranno i nuovi arrivati con la gestione delle impostazioni sulla privacy».

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