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Il dibattito sul bavaglio e la rete sullo sfondo

05 Agosto 2010

Il dibattito sul bavaglio e la rete sullo sfondo

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Sul cambiamento culturale imposto da internet e sulla difficoltà delle leggi, soprattutto quelle molto contestate come il disegno di legge sulle intercettazioni, di coglierlo

La realtà della Rete che stiamo vivendo ha cambiato il nostro senso della posizione rispetto alla comunicazione. Noi che siamo abituati a pensarci come oggetto delle comunicazioni di massa, quindi come cittadini rispetto alla politica, come consumatori rispetto al mercato, come  audience rispetto ai media, abbiamo cominciato a pensarci soggetti, protagonisti della comunicazione, capaci di una presa di parola. Lo facciamo esprimendo valutazioni nei nostri blog, difendendo posizioni con commenti nei gruppi su Facebook, caricando messaggi video che raccontano il presente attraverso i mezzi semplici e quotidiani che abbiamo a portata di mano.

Come i cellulari, con capacità di ripresa e talvolta di caricamento istantaneo dei contenuti: è un interessante intreccio tra produzione e distribuzione di user generated content, ma il senso risiede nell’atto potenziale di creazione e diffusione che rappresenta un rovesciamento del modo di immaginare la natura dell’informazione e dell’intrattenimento. Possiamo pensare questa realtà con tutti i limiti che la produzione di massa di contenuti per le masse può generare: dalla creazione amatoriale di reportage capaci di raccontare con forza e precisione le piccole e grandi ingiustizie che come cittadini viviamo alle apparentemente inutili forme espressive che ruotano attorno alla condivisione di contenuti banali, talvolta sciocchi.

Pubblico

Il punto è come leggere questo tipo di contenuti e quale valore dare al loro essere pubblico. Per il comma 29 dell’articolo 1 della legge sulle intercettazioni – spiegato molto bene da Elvira Berlingieri – le cose sono abbastanza chiare: tenere un blog equivale ad avere una testata giornalistica. L’estensione dell’obbligo di rettifica entro 48 ore a tutti i siti informatici equipara di fatto organizzazioni come i giornali solidamente tutelate da consulenti giuridici, denaro e solidarietà di “casta”, quando non politica, con l’espressione di opinioni in pubblico di un singolo cittadino attraverso il suo blog personale. L’effetto metaforico utilizzato per discutere la legge e i suoi emendamenti lascia completamente in secondo piano la natura conversazionale del web sociale (blog, siti di social network ecc.) e il suo portato culturale. È una metafora pensata da una generazione politica che ha molta dimestichezza con potenzialità e limiti delle comunicazioni di massa e della cultura di massa e molto poche con le trasformazioni dell’ecosistema mediale e delle culture sociali connesse.

Pensare infatti a queste realtà come a organizzazioni strutturate che producono informazioni significa ignorare, ad esempio, che la realtà della blogosfera è caratterizzata da milioni di blog personali letti e commentati da pochissime persone e da pochissimi blog cha hanno invece audience elevate. Attenzione, perché non è un fatto numerico ma culturale: ha a che fare con il modo di pensare la natura dei contenuti prodotti e con il contesto di riferimento per questa produzione. Di fatto la maggior parte dei contenuti creati ha più la natura di espressione di opinioni, di commento ai fatti eccetera. Insomma, assomiglia a una chiacchiera in pubblico – pensate alla tradizione conversazionale dei salotti, dei bar – più che a un’azione di costruzione di un contenuto “pubblico”. Sei tu che vieni a leggermi, entri in un mio spazio, spazio in cui ragiono a voce alta e lì ospito anche la tua di voce. La presa di parola diventa immediatamente gesto collettivo.

Rovesciamento

Il senso è rovesciato rispetto alla metafora dei blogger/comunicatori di massa: ha più a che fare con la possibilità di riappropriazione del modo di rappresentare sé stessi senza delegarlo a un attore istituzionale della comunicazione, fosse anche un foglio settimanale. Per questo motivo questa legge rischia di essere interpretata, su un piano squisitamente politico, come la volontà di limitare la presa di parola in pubblico dei cittadini. Come spiega Juan Carlos De Martin su La Stampa:

Il web ha, infatti, radicalmente decentralizzato la produzione di messaggi, col risultato che il controllo sulle informazioni che giungono ai cittadini si sta indebolendo ogni giorno di più. Ciò per alcuni è evidentemente un problema. Per tutti gli altri, però, è una conquista da migliorare ed estendere.

Ed è su questo piano che mi sembra appropriato il richiamo che fa Massimo Mantellini al mondo del giornalismo richiedendo un impegno sulla “legge bavaglio” che vada oltre il parziale risultato pro domo ottenuto e si estenda al diritto di parola più allargato:

Visto che i giornalisti chiesero a gran voce a suo tempo la mobilitazione della blogosfera al loro fianco contro il decreto Intercettazioni ora mi aspetto che ci sia spazio per un’altra inedita virtuosa sinergia. I blogger lanceranno alte grida al cielo contro l’obbligo di rettifica e i giornalisti compatti scenderanno in strada al loro fianco.

Il fatto che la discussione sulla legge slitti a settembre o forse che sia addirittura ritirata non toglie la necessità culturale, fuori da ogni corporativismo, di sostenere il cambiamento di senso della posizione nella comunicazione che stiamo sviluppando e ampliare il diritto democratico alla presa di parola in pubblico. Il post di accompagnamento degli articoli de La Repubblica “La legge-bavaglio nega ai cittadini il diritto di essere informati”, simbolo di contestazione visibile, andrebbe rivisto per ampliarne il senso anche sul lato dei lettori-potenziali-scrittori: “La legge-bavaglio nega ai cittadini il diritto di informare”.

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