Home
Storia presente, i tweet archiviati al Congresso

21 Aprile 2010

Storia presente, i tweet archiviati al Congresso

di

La più grande biblioteca del mondo acquisisce l'archivio di Twitter: momenti storici da conservare, ma anche fatti personali di nessuna rilevanza collettiva

Fa un caldo dannato, è un pomeriggio infuocato e stai smanettando sul pc, apri Twitter e scrivi “Mi doccio”. Basta questo per finire nell’archivio della più grande biblioteca al mondo. La Biblioteca del Congresso americana annuncia con un tweet di avere «acquistato l’INTERO archivio Twitter  — TUTTI i tweet pubblici dal Marzo 2006!». Twitter ha oltre 105 milioni di utenti e produce circa 55 milioni di tweet ogni giorno. Si tratta di una mole di status update sterminata che contiene anche momenti rilevanti della nostra storia, come sottolineano l’annuncio della Library of Congress (LOC) e quello di Twitter: un racconto in soggettiva di come cambia il mondo fatto dai protagonisti.

Come quando (ri)leggiamo il tweet di Obama il giorno della sua vittoria elettorale. È un fatto importante sia sul versante della ricerca che sul futuro della memoria digitale. Ma, nelle pieghe, troviamo anche qualcosa di cui dovremmo (almeno come utenti della Rete) preoccuparci e che ha a che fare con la privacy. Proviamo ad approfondire.

La ricerca

Innanzitutto si tratta di una straordinaria occasione per chi deve fare ricerca, ad esempio. Immaginate di avere a disposizione una rilevante quantità di affermazioni  (la forma conversazione è spesso solo presupposta oppure, quando ci sono risposte, si disperde nel flusso, a differenza di FriendFeed, ad esempio) rilasciate spontaneamente in pubblico che diventano facilmente ricercabili dentro un archivio. Molte sono banalità, si obietterà. Il punto non è questo. Il flusso degli status update di Twitter contiene una miscela di informazioni, news e puro chiacchiericcio. Anche prodotti dalla stessa persona. Si passa dalle ultime novità dell’Iran alla descrizione delle colazioni fatte.

Eppure queste forme di socievolezza in rete rappresentano il collante di una connessione che costruisce in pubblico tratti della personalità e dei rapporti, che definisce i toni da attribuire alle conversazioni e il differente status di ambiente pubblico che la Rete costruisce. Sono queste le forme che contribuiscono a definire la nostra “faccia” in rete. Da questo punto di vista avere in mente la realtà conversazionale face to face classica diventa limitante e riduttivo. Ci troviamo in un contesto spazio-temporale diverso che unisce la potenzialità di connessione always on con un real time proprio del web che il life streaming sa rappresentare molto bene nel suo flusso ininterrotto di aggiornamenti. Avere a disposizione per la ricerca una mole così grande di dati spontaneamente prodotti da migliaia di individui rappresenta quindi un arricchimento delle possibilità e prospettive di ragionare sulla nostra realtà comunicativa e sui nostri tempi (restano aperte una serie di questioni relative al modo in cui tali dati saranno resi disponibili, se saranno “agganciati” e in che modo ai profili degli utenti, ecc.).

Il futuro della memoria digitale

Ma l’operazione di istituzionalizzazione dei contenuti di Twitter che assumono la dignità di essere archiviati è un importante passo per evitare la dispersione della nostra memoria digitale, troppo importante per lasciarla unicamente nei server di un servizio soggetto a leggi di mercato. Ma è anche un modo di (ri)costruire una storia (“s” piccola) dal basso, fatta di sguardi differenti di un pubblico che da oggetto della Storia diventa soggetto. È una microstoria che Google rende già disponibile con Replay consentendo di visualizzare e leggere su una linea temporale i tweet connessi a un evento definito da una parola chiave (provate con popolo viola o vianello).

Ed è proprio questo un ambito che dobbiamo osservare: le differenze fra l’istituzione pubblica (LOC) e il privato Google). Perché se leggiamo bene le regole che riguardano il reperimento di tweet ed accesso da parte della LOC ci troviamo di fronte a quello che sembra essere il nodo tematico della ricercabilità e permanenza delle nostre conversazioni in pubblico:

Only after a six-month delay can the Tweets will be used for internal library use, for non-commercial research, public display by the library itself, and preservation.

Quindi: solo dopo sei mesi dalla loro pubblicazione i tweet saranno accessibili, solo per uso “interno” e solo per un uso di ricerca non commerciale. Il che è un fatto positivo perché istituzionalizza l’operazione sotto il profilo culturale riconoscendo il valore dei tweet non tanto nel loro potenziale informativo su gusti e comportamenti di consumo delle persone, ma nella capacità di rappresentare la comunicazione del nostro tempo. Ma se allarghiamo lo sguardo e confrontiamo questa realtà con quella di Google (entità commerciale), che non deve aspettare sei mesi ma di minuto in minuto rende accessibili i tweet, ci accorgiamo come lo statuto delle due organizzazioni abbia riconoscimenti diversi. Come dire: l’archivio, anche se digitale, deve funzionare secondo le logiche di raccolta ex-post di un archivio, anche in un’epoca come la nostra in cui produzione, diffusione ed archiviazione possono tecnicamente svolgersi contestualmente. Il fine sotteso a questo delay temporale non sembra forse essere di lasciare una possibilità per un eventuale uso “privato” e “commerciale” dei dati contenuti nelle migliaia di tweet che si pubblicano nei sei mesi?

Che cos’è “pubblico”

Un ulteriore quesito che emerge da tutta questa vicenda ha a che fare invece con la realtà della privacy connessa ai tweet. Come spiega al New York Times Matt Raymond, un esponente della LOC:

the vast majority of Twitter messages that would be archived are publicly published on the Web. “It’s not as if we’re after anything that’s not out there already,” Mr. Raymond said. “People who sign up for Twitter agree to the terms of service.”

Ora, il fatto che pubblichiamo dei tweet nel nostro profilo Twitter non “lucchettato” non significa necessariamente che stiamo volontariamente costruendo un messaggio pubblico: il fatto che sia comunicazione in pubblico non significa che sia comunicazione pubblica. In un epoca di comunicazione caratterizzata da un numero crescente di conversazioni su siti di social network, la distinzione dicotomica fra pubblico e privato che permane in molti ragionamenti relativi alla privacy non è così valida. Molto spesso non possiamo sostenere una posizione del tipo “o è privato o è pubblico”, perché questa posizione non tiene ad esempio conto della dimensione relativa al contesto di produzione dei contenuti (sì, è vero, ho scritto su Twitter quella cosa provocatoria sulla prof ma si sa come la pensavo in quei giorni, dopo quello che mi era successo a scuola) o alle aspettative circa  il proprio “pubblico” di lettori (sì, è vero, lo avevo scritto su Twitter, ma perché l’ho pensato per farlo leggere ai miei compagni di classe che sono quelli che mi hanno nella loro lista di contatti).

Gli utenti si trovano cioè a produrre comunicazione per un contesto in cui l’accezione di ciò che è privato e ciò che è pubblico è sfumata e complessa e, improvvisamente, le loro produzioni si trovano catapultate in un altro contesto fortemente pubblico: quando scrivi sei su Twitter e sei mesi dopo in un archivio federale. Sono cose che dovrebbero farci pensare, aprendo magari la strada ad un pensiero critico della (non “che critica” la) Rete anche in Italia.

Iscriviti alla newsletter

Novità, promozioni e approfondimenti per imparare sempre qualcosa di nuovo

Gli argomenti che mi interessano:
Iscrivendomi dichiaro di aver preso visione dell’Informativa fornita ai sensi dell'art. 13 e 14 del Regolamento Europeo EU 679/2016.