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Pagare i giornali, ma non uno per uno

12 Marzo 2010

Pagare i giornali, ma non uno per uno

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Le testate italiane sono sempre più orientati al pay per content. Ma se gli editori pensano di tornare a modelli pre internet e fare i soldi, rischiano di avere qualche sorpresa. C'è da imparare da Sky?

Me lo aspettavo, sapevo sarebbe arrivato ma è stata comunque una sorpresina sgradevole. Accedo dall’iPhone al Corriere della Sera versione mobile. Mi compare il temuto annuncio dalla grafica stile necrologio: «stai per entrare in un’area riservata». Se vuoi vedere il cammello, caccia la lira. 9 centesimi a pagina che, con la fruizione che faccio io abitualmente del Corriere, significa mi conviene di gran lunga prendermi il mal di pancia di comprare la carta, che spendo la metà. Potrei passare a Repubblica sul mobile, non fosse che il contenuto di notizie “free” è stato seriamente depauperato. Quattro notizie in croce, poca roba. L’alternativa è l’applicazione – anch’essa paywallata, poco poco siamo sui 4 euro al mese, così come per il Corriere. Il mio amato New York Times tra un po’ si farà pagare anch’esso e non sarà l’ultimo. Lo dicevo io, che stava arrivando.

Una questione di soldi, tanti soldi

Certo, non mi fa piacere. L’animale economico che è in me rimpiange la perdita di contenuto gratuito. Ma quello che più di tutto mi disturba non è il dover pagare. Al di là delle inevitabili reazioni emotive ed ideologiche, sta di fatto che se la pubblicità non regge più il modello dei quotidiani online, i soldi con cui pagarsi il servizio è lecito che li facciano saltare fuori da qualche altra parte – e il modello del pay per content è sempre lì in agguato. Quello che però mi disturba è che questo sistema riporta molto indietro il mio orologio del confronto delle fonti. Mi inibisce la possibilità di sentire diverse campane, di accedere a più testate, di consumare abbondanti quantità di informazione. Questo modello, sorry, mi sa che non funzionerà.

Se l’abbonamento di Repubblica potrebbe essere anche conveniente, il Corriere mi sta dicendo che se voglio leggere anche loro devo raddoppiare la posta. Riportando l’orologio ai tempi pre Internet. Dunque se vorrò leggere più di una testata con un minimo di approfondimento dal mio iPhone, dovrei cacciare dei soldi francamente importanti. In alternativa legarmi a un solo carro e con tutta onestà oggi non so a quale giornale potrei mai dare l’esclusiva della mia informazione.

Capisco di più far pagare un abbonamento a 9000 euro l’anno per una rivista che uno a 44 e rotti per un solo quotidiano. Da persona di business dico che il modello “ognuno per sé e Dio per tutti”, è corretto dal punto di vista della concorrenza. Dal punto di vista dell’uomo di marketing (e consumatore “heavy”) dico che rischia di dare una botta al mercato. E forse, lo sappiamo, è meglio avere una fetta un po’ più piccola di un mercato grosso che una bella fettona di un mercato ridicolmente piccolo. Insomma, se nel mondo del content e di internet le idee non sono generalmente chiare, qui proprio le idee sono confuse. E senza una via di uscita, applicare piani tariffari che mirino alla “ne resterà uno solo” rischiano di rompere il giocattolo.

Una bella tassa o Sky?

Una possibile soluzione etico/ideologica potrebbe essere una bella legge di intervento pubblico a sostegno dell’editoria digitale. Diamo a tutte le testate un contributo annuale dallo stato e loro in cambio liberalizzano l’accesso al contenuto su Internet e mobile. Chiamiamola “diritto all’informazione digitale”. A parte il fatto che, di questi tempi e col deficit pubblico che abbiamo, sarebbe divertente capire da quale parte del bilancio statale potremmo far saltare fuori quei soldi. E comunque l’approccio assistenzialistico, l’ombra del carrozzone, il potenziale di ricatto (diamo i soldi sì, ma solo a quelle testate che…) non sarebbe per niente 2.0

Io mi sto veramente domandando se il modello giusto non ce l’abbia Sky. Onestamente: non avrei mai fatto un abbonamento a Nat Geo, uno a Fox, uno a MTV, uno a Discovery, pezzo per pezzo, euro per euro, costi che si sommano, complicazioni che crescono. Una bella flat fee mensile che combina più fornitori di content, invece, l’ho sottoscritta con piacere. E poi sono cavoli loro come si suddividono le revenue, io intanto navigo (pardon, guardo la tv) libero e sereno, galoppo per le verdi praterie del contenuto televisivo (in media per 20 minuti al giorno). Forse quella è la strada che si potrebbe prendere per il Pay per content. O si può chiedere di fare una scelta monodirezionale, monotestata a pagamento. In quel caso, mi dispiace, sarò ancora tanto 1.0 ma in modalità mobile c’è sempre il sano quotidiano sul tavolino del bar.

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