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Se il negozio all’angolo diventa un barcamp

14 Gennaio 2010

Se il negozio all’angolo diventa un barcamp

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Online e punto vendita. E-commerce e negozio fisico. Due realtà che sono destinate a convergere, a diventare dei buoni "nemici-amici". Due modalità in rotta di collisione: c'è da capire se sarà uno schianto o un dolce rendez-vous

Comprare online e comprare in negozio hanno ciascuno i propri vantaggi esclusivi e i propri svantaggi. Hanno i propri fan e i propri detrattori. E sopratutto innescano comportamenti molto variabili da persona a persona: chi non comprerebbe mai assicurazioni online, ma è grande cliente di Amazon… o viceversa. Si portano e si tolgono business a vicenda.

Viviamo in un mondo dove le vendite si contraggono a causa di un consumatore sempre più attento, con un reddito sempre più sotto minaccia. Un mondo in cui la comunicazione tradizionale “spinge” sempre meno. In cui aziende e catene distributrici sono condannate a esaminare con una attenzione spasmodica nuovi modi di strizzarci il portafoglio – o quanto meno far sì che pur spendendo in generale meno, diamo a loro una quota più ampia, lasciando nelle peste qualcun altro.

Qualunque esperto sa quanto sia cruciale il ruolo del negozio, del punto vendita, nell’orientare gli acquisti. E tutti noi sappiamo quanto sia spesso inefficiente questo accidente di negozio “tradizionale” in molte occasioni, per non dire irritante. Sappiamo anche quanti limiti possa avere lo shopping online. Di qui il nascere di forme di co-opetition, di cooperazione/competizione fra i due modelli, magari all’interno di un processo d’acquisto che si complica o forse si semplifica.

Come compriamo?

Doverosa premessa per i lettori giustamente più critici: ovvio, per il solito 50% e passa della popolazione italiana non interessato a Internet, il problema dell’ecommerce non si pone. Tranne quando si tratta di comprare biglietti aerei – e lì parte l’affannosa caccia a nipoti, figli e amici degli amici. Per tutti gli altri, quelli che hanno sorpassato il paleolitico preinformatico-tradizionalista, da tempo vediamo in corso e in corsa due modelli abbastanza classici di integrazione/competizione.

Il primo (lo so, sto come al solito semplificando) è il classico «lo cerco online ma lo voglio toccare e lo voglio subito». Morale: grandi ricerche online, identificazione del prodotto perfetto, esplorazione delle caratteristiche, comparazione con competitor e comparables, ricerca del miglior prezzo e della location del negozio più comodo: e poi via di auto o di metropolitana per recarsi nel negozio, stupire il commesso conoscendo il prodotto meglio di lui, entrare nel punto vendita “già venduti”, insomma. Al limite provo il capo, verifico la taglia, lo tocco con mano per essere sicuro, ma ho già le idee piuttosto chiare. Quindi l’online porta business all’offline, e porta clienti che comprano in maniera più efficiente, rapida, con meno impatto sul personale del negozio. In un certo senso analogo è il modello compro online e ritiro sul punto vendita.

Ma funziona anche al contrario: vado in negozio, vedo un po’ cosa c’è che mi piace, provo le taglie, identifico il prodotto ideale. Poi, presumendo di non avere fretta, di avere più tempo da spendere che soldi, di essere tanto razionale da resistere all’acquisto immediato, quello stesso prodotto vado a cercarmelo online, per vedere se riesco a trovarlo a meno – senza però correre rischi avendolo già provato eccetera eccetera. Ed ecco che l’offline porta business all’online, ed ecco un altro ruolo per i negozi flagship, in cui al limite il prodotto non è nemmeno venduto, tanto già si sa che te lo vai a cercare online.

Volendo c’è chi combina i due modelli: guardo in negozio, vado a casa e cerco in rete dove lo trovo “fisicamente” a meno, esco di nuovo e vado a comprarlo nel negozio più economico. E c’è qualcuno che ricorre al social shopping,  per andare poi a comprare da solo o in nutrita compagnia. Insomma, la tecnologia scombina i processi d’acquisto. Vogliamo dircelo? Una bella confusione. Non alla portata di molti di noi, forse riservato solamente a prodotti con scontrini importanti, dove per risparmiare magari un centinaio di euro o più val la pena di darsi da fare.

La variabile mobile

L’arrivo del mobile ha però scombinato un po’ le carte. Dato che ancora fa fatica a materializzarsi l’etichetta intelligente, il lettore RFID, il carrello smart che ci permette di esplorare il prodotto bel al di là della sua etichetta, sopperisce ancora una volta il cellulare intelligente, attaccato ad internet. Un cordone ombelicale che ci alimenta e rassicura anche quando siamo in movimento, che ci permette di condensare le fasi di questi complessi processi d’acquisto. E di esplorare prodotti e prezzi anche quando siamo nel negozio – andando a verificare la concorrenza. Ma un nuovo modello sta venendo proposto per evitare proprio questa emorragia dal punto vendita; una integrazione tra la fisicità e un modello di “online” basato sul servizio ma all’interno di un walled garden, per tenerci dentro e ridurre la tentazione di confrontare online quel che fa la concorrenza.

Da Intel arriva ad esempio un concetto di Totem, di strumento digital-interattivo da inserire nel negozio per affiancare il commesso, per permettere l’outsourcing al cliente di una serie di attività come la presentazione del catalogo prodotti, il consiglio sull’abbinamento, la verifica della disponibilità del prodotto in stock, integrando l’esplorazione digitale del prodotto con una successiva, contigua possibilità di provarlo fisicamente; e magari permettere l’acquisto “online” in modo da dover andare alla cassa con uno scontrino già pronto e velocizzare la coda, specialmente in periodo di saldi (ci siamo, prepariamoci alle scene di delirio di quanti hanno tagliato il budget di Natale o hanno regalato un buono per un capo d’abbigliamento che sarà acquistato fisicamente durante la stagione dei ribassi).

C’è poi da domandarsi, specialmente in uno scenario dove tutti butteremo via i bellissimi ma piccoli iPhone e simili, per andare in giro con tablet o iSlates, quanto senso avrà per il negozio metter giù soldi e spazio per chioschi virtuali quando la stessa cosa si potrà ottenere buttando in outsourcing ai clienti la tecnologia? Noi vi diamo il wifi e l’applicazione, voi ci mettete la vostra gradita visita al negozio e il vostro tablet o netbook; saremo gentili, vi diamo anche qualche bancone su cui appoggiarvi ed accamparvi, navigare, esplorare, decidere, picchiare alacremente sui tasti.

Allora la sorpresa che ci riserva il futuro sarà forse quella di avere negozi che visti da fuori somiglieranno a furiosi barcamp?

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