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Abboriggeno, se non ti localizzi non esisti

02 Ottobre 2009

Abboriggeno, se non ti localizzi non esisti

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Avete notato la rapida diffusione di decine di applicazioni e servizi che ci permettono di far sapere al mondo dove siamo? Seconda domanda: e perché mai?

Amo iniziare i miei pezzi con una banalità. O una citazione apocrifa. Allora partiamo con entrambe: «Con il cellulare siamo passati dalla civiltà del come stai alla civiltà del dove sei». Questa tendenza, con l’arrivo di oggetti come l’iPhone e dell’irrompere dei social network, si sta adesso esasperando. Pare impossibile (o almeno ci si sente in colpa) non fare sapere a tutto il mondo dove siamo. E, collateralmente, che cosa diavolo ci stiamo facendo. Il che normalmente, non importa a nessuno.

La nuova ventata di sub-hype del macro-hype dei social-mobile-network-etc sono le applicazioni che ci permettono di far sapere al mondo molto esattamente (grazie Gps) dove ci troviamo. In modo che il killer che ci sta cercando da tempo veda semplificata la vita (sua, ovviamente). Salvo poi lamentarci degli attentati non solo alla nostra incolumità, ma anche alla privacy. La quale, per fare una breve digressione, deve allora essere ridefinita come il diritto a mantenere riservati tutti i fattacci nostri che non intendiamo scientemente o scioccamente sbandierare ai quattro venti e a rendere reperibili universalmente ed eternamente su un qualsiasi motore di ricerca (legislatori, rivedete di conseguenza la 196/2003!).

Facendo un rapido conto, mi rendo conto che passo un bel po’ di tempo a localizzarmi e a condividere le mie coordinate – ammazzando nel contempo le batterie del melafonino. Partendo da oggetti come Brightkite, passando per Google Latitude ed arrivando a Facebook Where ed includendo MobNotes. Senza dimenticare di perdere tempo anche su ShareLocal; nauticamente su Blumapia, terrestremente ancora con Instamapper, BuddyBeacon, G-spot, Trackr!, FindMe, Sent.fm, Glympse, Fireeagle di Yahoo!, GeoLife (il social network location-based che si mashuppa con Microsoft Virtual Earth) e un pacco di altri.

Ognuno con le sue specificità, le sue particolarità, i suoi usi migliori (per fortuna non tutti disponibili nel nostro mercato) in modo da essere certi dell’impossibilità per amici e conoscenti di ignorare dove siamo. E questo solo per parlare dei sistemi per parlare con la community, non considerando le mille applicazioni e modi di farlo sapere a una persona per volta (e adesso non cominciate tutti a scrivermi segnalandomi enne applicazioni che ho dimenticato di citare: vorrei dedicare almeno un dieci per cento della mia vita a cose che non siano il farvi sapere dove sono). La condivisione della posizione sembra dunque essere una nuova frontiera, anche del business: tanto che Nokia ha appena sborsato un pacchetto di soldi per acquistarsi Dopplr.

Dal punto di vista dei markettari questa sarebbe una magnifica occasione per profilarci e stenderci con mirate botte di geomarketing (si veda questo mio precedente articolo) ma proprio la mole di dati rischia di mettere a terra con la sua ricchezza ogni tentativo in questo senso, tanto che forse la saturazione dell’informazione pare oggi essere un’ottima difesa dall’avvento di programmi di comunicazione personalizzati stile Minority Report (noi comunicatori aziendali tendiamo ad odiare la complessità… tendenza che sarà purtroppo però di breve durata, con l’arrivo di una generazione di Digital Natives cresciuta a pane e complessità).

Il fenomeno però mi inquieta più che altro dal punto di vista sociologico. Se si tratta di un business (mobile) la cosa può avere un gran senso. Ma se non si tratta di business? Sappiamo che i quattro terzi/sette noni/dieci dodicesimi (scegliete voi la frazione che più vi aggrada) della conversazione twitter-like in rete è composta da un blatericcio sensa senso e senza interesse. Idem per i messaggi geolocalizzanti. *Sono a casa* (mamma e moglie ringraziano). *Esco di casa* (ringraziano i ladri). *Sono a prendere un caffè* (non si dimentichi di aggiungerci un bel chissenefrega e due pasticche di dolcificante). *Sono in piazza del Duomo* (turisticamente vostro?). *Sono al due di via Roma* (la persona con cui avete appuntamento sa finalmente dove diavolo siete finiti). *Sono all’aperitivo “must” della città* (dimenticandosi di aver detto alla fidanzata di essere blindati giorno e la notte in un business meeting). *Sono al bar* (traduzione: se qualche bella gnocca/gnoccolone mi vuole, sa dove trovarmi. Acchiappo mobile? Auguri).

Non lo so.. dato che lo faccio anch’io, in quale di queste categorie mi devo incasellare? E mi domando, cos’è quest’ ansia? E, sopratutto, riuscirò un giorno a usare una applicazione sola per ammorbarvi con le mie coordinate? Posizionarci su una mappa ci dà la prova di esistere, in un qualche luogo? Speriamo, così facendo, di incontrare meno casualmente persone che casualmente siano vicine a noi e che magari non vediamo da tempo? Non avendo più nulla da dire, diciamo una qualsiasi cosa a tutti, in tutti i modi? Citando l’immortale Corrado Guzzanti : “abboriggeno…”.

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