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Google e l’algoritmo per trovare i ristoranti

16 Luglio 2009

Google e l’algoritmo per trovare i ristoranti

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Una metafora per il web che verrà. E qualche idea su un algoritmo per la semplificazione immediata della vita di tutti i giorni, che deve ancora venire

Il web indubbiamente è una gran bella cosa. Utile, utilissimo, Ma non è perfetto, anzi. E ho un’idea o due di cosa potrebbe renderlo migliore. Partiamo da una piccola storia personale, se permettete. Coinvolto mio malgrado in un ritorno dal week end con code epocali, decido di fermarmi a mangiare al ristorante anche per cena. Già avevo fatto un buon pranzo, in un ristorante scoperto grazie al potere delle smart crowd e dei social netwok (ho postato una richiesta di suggerimenti cui il mio network ha risposto con buoni consigli) – integrata da una verifica online delle proposte fatte dai miei “amici”.

Essendo però ora bloccato con famiglia in un’area di servizio in una torrida autostrada, ho pensato bene di usare il potere dell’iPhone e dei servizi geolocalizzati, cercando se vi fosse un discreto ristorante nei dintorni. Tento in primis l’opzione vegetariana, per soddisfare al meglio le preferenze della mia signora. Trovo, controllo: chiuso la domenica – e ce n’è solo uno, scovabile in rete, nel raggio di cinquanta chilometri. Allargo la ricerca a “ristorante”: viene giù una lista abbastanza abbondante di locali nei dintorni. Di tutto e di più. Dovrei prendermi il tempo di esaminare la lista, di valutare i suggerimenti della Rete, di investire un po’ di tempo. Ieri, quando ho deciso in quale ristorante andare a pranzo ho potuto investire un’oretta per la ricerca. Qui, in macchina, con famiglia affamata e ora di cena che incombe, ho bisogno di fare più in fretta.

Provo alla voce “indiano”: trovo un buon numero di segnalazioni parto e vado verso il più vicino. Arrivato di fronte fuggo – non essendo particolarmente interessato a cenare in uno squinternato ristorante simil-indiano ma che offre anche il kebab, la pizza e probabilmente anche campioni di cucine misto indigeribili di svariate culture. Morale: lascio stare il 2, 3 o 4.0, vado in centro, parcheggio, mi incammino in piedi sperando in bene (e, per la cronaca, incappo in un ristorantino da 10 e lode o quasi, con grande soddisfazione).

La differenza tra un link e un buon link

Questa storia mi ha lasciato, se non una morale, un pensiero. O meglio una comparazione – con quello che è Google. Google (ma non solo lui) ha costruito una immane fortuna economica e di pubblico su un semplice principio: la differenza tra un link e un buon link. Ha costruito un algoritmo potente per definire il ranking – per capire automaticamente quanto è valido, rispetto ad una nostra ricerca, un sito, un contenuto, rispetto a tutti gli altri. E proporcelo per primo, per semplificarci la vita, per toglierci lavoro. Io vorrei esattamente questo per i ristoranti, i negozi, gli alberghi e mille altre cose. Vorrei un sistema che sapesse fare la differenza tra un ristorante e un buon ristorante. E che sapesse propormi in un ordine gerarchico i risultati. Per darmi, in pochi secondi, se non la migliore soluzione almeno una soluzione che posso sempre ritenere ragionevolmente buona.

Nel mondo reale, quello fisico, questo già si fa da eoni: si chiamano non motori di ricerca ma guide dei ristoranti, dove una redazione si prende il mal di pancia (a volte letterale) di provare, recensire, ordinare gerarchicamente. E di condensare il risultato in un device spesso comodo e assolutamente tascabile – che a differenza del Kindle non ha bisogno di batterie. Un device che uso spesso quando faccio viaggi veri, generalmente sotto forma di Lonely Planet o di suoi capitoli ( lo sapete che si possono comprare solo alcuni capitoli, pagando e scaricando solo le città che ci interessano? Interessante sia dal punto di vista economico sia da quello del peso).

Il mio pasto, in pasto a Google Labs?

Mi domando se un giorno, fra le mille diavolerie che i Google Labs stanno sfornando (tra l’altro City Tours, l’embrione di una guida turistica mashuppata con Google Maps)  mi sfornerà una applicazione mobile che in pochi secondi mi dica dove andare a mangiare nelle vicinanze, stando tranquillo che mangerò ragionevolmente bene e/o spenderò ragionevolmente poco. E se invece di Google lo farà qualcun altro, mi va bene lo stesso. Un device, o meglio un sistema di intelligenza artificiale: un algoritmo che trasformi dati qualitativi in quantitativi, traendo da mille informazioni, recensioni, consigli sparsi in milioni di siti qualcosa che sia un distillato. Una verità che non sia magari la verità ultima (così come non lo sono mai i siti proposti nel ranking di Google) ma sia una verità abbastanza buona e soprattutto immediata per quando non ho il tempo di andare verso la perfezione. Che non mi costringa ad accedere ad una mole di informazioni e a valutarle, che mi eviti di fidarmi esclusivamente di single sources (come i numerosi siti di recensioni di ristoranti) sulla cui affidabilità spesso non metto la mano o che per disgrazia non coprono la zona in cui mi trovo. Una verità che non lasci a me la decisione, ma mi dia un parere, una raccomandazione forte, come è quella del primo sito nella pagina dei risultati di Google (parlo di risultati naturali, naturalmente).

L’aspetto interessante sarà vedere allora il nascere, così come è nata per il Seo, una intera industry di consulenti e specialisti dedicata all’ottimizzazione di ristoranti, osterie e trattorie per farli piacere non solo agli avventori, ma sopratutto a Google.

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