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Ddl intercettazioni, tanti dubbi sulla rettifica

12 Giugno 2009

Ddl intercettazioni, tanti dubbi sulla rettifica

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L'inclusione dei «siti informatici» tra i mezzi su cui ricade l'obbligo di rettifica apre più problemi di quanti ne risolve. Chi è responsabile dei contenuti? Come lo si contatta? E soprattutto: che senso ha rettificare su un mezzo che consente la modifica e l'emendamento dei testi?

Il disegno di legge sulle intercettazioni, appena approvato alla Camera e ora in arrivo al Senato, introduce norme di portata rilevante rispetto alla disciplina vigente. L’intero testo legislativo solleva diversi punti critici. In particolare ha destato interesse la previsione che, integrando la legge sulla stampa, menziona i «siti informatici» tra i mezzi per cui è previsto l’obbligo di rettifica entro 48 ore. Sfiorando vecchie polemiche sulla definizione di testata telematica, il testo lascia però aperti innumerevoli dubbi interpretativi e rischia di vedersi reso inefficace dalle sue stesse debolezze sia in fatto di comprensione delle caratteristiche tecnologiche sia in quanto a formulazione giuridica.

Le regole per la stampa

La legge sulla stampa dispone, come noto, gli adempimenti a cui sono soggette le pubblicazioni nel nostro ordinamento. La disciplina del settore, entrata in vigore nel 1948 e ideata dall’assemblea costituente, è stata nel tempo integrata da altri provvedimenti di legge. Tra questi – per quanto riguarda lo specifico delle testate telematiche – la legge 62 del 2001, che ha esteso alle pubblicazioni telematiche gli obblighi di quelle cartacee. La legge del 2001 è stata accompagnata sin dalla sua genesi da polemiche dovute alla vaghezza dei termini con cui il legislatore all’epoca espresse gli obblighi di registrazione presso i tribunali per le testate telematiche, sollevando legittimi dubbi su che cosa dovesse essere ritenuta una testata telematica e che cosa no, e se anche i siti amatoriali fossero soggetti agli stessi obblighi.

Sebbene la dottrina sia pressoché uniforme nel ritenere che solo le testate telematiche che intendano avvalersi delle provvidenze stanziate per la stampa abbiano l’obbligo di registrazione presso il tribunale, si è registrato almeno un caso di interpretazione difforme della disciplina di settore. Si tratta della nota sentenza resa dal tribunale di Modica secondo la quale qualsiasi sito, anche un blog, dotato di testata identificativa, che si occupi di attualità e che abbia periodicità regolare nelle pubblicazioni sia soggetto a tale obbligo. Nel caso deciso dal tribunale di Modica la mancanza di registrazione ha qualificato il sito come stampa clandestina e sottoposto il gestore al relativo reato.

Dall’applicazione della legge stampa a un sito, però, discendono obblighi diversi e ulteriori rispetto alla registrazione, soprattutto nel caso in cui si verifichi la commissione di un reato attraverso la pubblicazione dei contenuti nella pubblicazione. Per chiarire tale ipotesi, l’esempio classico è quello della diffamazione commessa con il mezzo della stampa: nel caso in cui il reato di diffamazione sussista, due figure diverse dall’autore dell’articolo, il direttore o il vice direttore responsabile della pubblicazione, rispondono – fuori dai casi di concorso con l’autore dell’articolo stesso – di un reato specifico e collegato al ruolo che essi rivestono nella gestione della pubblicazione. Si tratta delle previsioni contemplate dall’articolo 57 e seguenti del codice penale che, nel sancire in capo a tali soggetti l’obbligo di controllare che attraverso le pubblicazioni di cui hanno responsabilità non vengano commessi reati, prevede la loro imputabilità ogni volta che omettano di effettuare tale controllo e che quindi, per il tramite della loro negligenza, il reato venga commesso.

Un’infelice scelta lessicale

Nel ddl intercettazioni, in particolare, l’obbligo di rettifica è esteso ai «siti informatici». Proprio la terminologia prescelta – siti informatici e non, per esempio, testate telematiche – ha sollevato critiche e timori in merito all’effettiva portata della disposizione. È legittimo chiedersi se la terminologia utilizzata dal legislatore possa interferire con l’interpretazione corrente che esclude l’applicazione della legge sulla stampa e dei relativi obblighi ai siti amatoriali o ai siti che comunque dall’intervento del 2001 sono stati, se pur con difficoltà ermeneutiche, ritenuti esclusi. Se la legge sulla stampa dovesse essere applicabile indiscriminatamente a tutti i «siti informatici», infatti, le conseguenze non riguarderebbero solo l’estensione dell’obbligo di rettifica a qualsiasi pubblicazione sul web, ma potrebbero comportare o aprire questioni interpretative verso la registrazione presso il tribunale e la presenza di figure quali direttore e vice direttore responsabile anche per i siti che testate telematiche non sono.

L’articolo 18 del ddl, integrando l’articolo 8 della legge stampa, prevede che «Per le trasmissioni radiofoniche o televisive, le dichiarazioni o le rettifiche sono effettuate ai sensi dell’articolo 32 del testo unico della radiotelevisione, di cui al decreto legislativo 31 luglio 2005, n. 177. Per i siti informatici, le dichiarazioni o le rettifiche sono pubblicate, entro quarantotto ore dalla richiesta, con le stesse caratteristiche grafiche, la stessa metodologia di accesso al sito e la stessa visibilità della notizia cui si riferiscono». L’articolo 8 della legge stampa a cui fa riferimento il ddl è quello che si occupa di disciplinare il diritto di rettifica e prevede espressamente quali siano i soggetti che debbono adempiere a tale obbligo. Si tratta del direttore o del vice direttore responsabile. È legittimo pensare che la disposizione del ddl, che non costituisce un articolo indipendente ma si limita a integrare una norma preesistente, si riferisca a una struttura editoriale complessa che ha, per previsione di legge, tali soggetti e che prevede in capo a loro specifici ed espressi obblighi di controllo. Se la pubblicazione avviene sul web, questo avviene nel caso di una testata telematica soggetta a registrazione; tutti gli altri “siti informatici” dovrebbero, pertanto, essere esclusi dal focus della nuova disposizione. Se tale interpretazione sistematica dovesse essere ritenuta prevalente all’atto di applicazione della legge, il disposto del ddl intercettazioni potrebbe rimanere relegato a una infelice scelta lessicale.

Chi è il responsabile dei contenuti?

A conforto di tale interpretazione c’è, comunque, un ulteriore argomento di portata estremamente pratica. Come si fa a individuare la persona a cui deve essere effettuata la richiesta di rettifica nel caso specifico di un “sito informatico”, in mancanza di una disposizione di legge che renda obbligatorio al gestore dei contenuti di un sito di identificarsi? E, se del caso, quale tipo di identificazione sarebbe necessaria? Nome e cognome e un indirizzo fisico o anche un nickname/pseudonimo con una semplice email? Mentre per la stampa tradizionale e la radiotelevisione le leggi impongono l’individuazione e la pubblicazione di indirizzi fisici e di soggetti che hanno istituzionalmente (anche in via indiretta) l’obbligo di ricevere e pubblicare le rettifiche, ciò non è previsto per i siti che non siano testate telematiche o che rientrino tra quello i cui titolari sono soggetti alla disciplina sul commercio elettronico e agli obblighi di informazione ivi previsti. Nessuna legge impone che a ogni “sito informatico” debba corrispondere in indirizzo fisico, tantomeno una mail, né l’individuazione di una figura che abbia responsabilità di controllo sui contenuti che vengono pubblicati per il tramite del sito che gestisce. E potremmo passare ore a disquisire su che cosa voglia dire “gestire” o “controllare” un “sito”, visto che il web contemporaneo è più una piattaforma che modularizza contenuti creati da diversi soggetti che una struttura monolitica come, invece, una testata giornalistica o televisiva.

E infatti, se adottiamo la generalità dell’espressione “siti informatici”, la corretta individuazione di chi deve adoperarsi per pubblicare la rettifica è un problema che si pone per un blog, per un social network, per un forum, per un wiki, per un sistema di feed Rss commentabili e così via. A nulla vale l’invocazione del Whois per i domini di primo livello poiché, anche a volere limitare tecnicamente la disposizione a questi ultimi, il titolare del dominio potrebbe non essere la persona fisica che ha accesso ai contenuti del sito, e perché è comunque possibile registrare un dominio senza che appaia l’indirizzo dell’assegnatario.

L’incertezza del destinatario

Se si avvalorasse l’ipotesi dell’estensione della disciplina della rettifica ai “siti informatici” generalmente intesi, come dovrebbe fare la parte offesa a esercitare tale diritto nei confronti di un normale sito amatoriale? Quale la prova diabolica per capire a chi indirizzare la rettifica? Ammesso e non concesso che esista una casella email pubblicata sul sito, come avere la prova legale – offerta ad esempio da una raccomandata – che la richiesta di rettifica è stata inviata? Manca la certezza del destinatario, perché la presunzione legale di appartenenza a un determinato soggetto di una casella di posta c’è solo per la posta elettronica certificata. Non può certamente farsi lo stesso discorso che vale per un nome e cognome con una via e un codice di avviamento postale per un direct message su Twitter. Tornando ancora alla comunicazione via email, il funzionamento dei diversi provider che offrono servizi mail non è garantito, con la conseguenza che una richiesta di rettifica potrebbe essere, ad esempio, riconosciuta come spam e mai letta. E ancora: alla ricezione di una mail, come fa l’ipotetico gestore del sito ad accertarsi che si tratti di una mail inviata dal titolare e non da un buontempone?

In sintesi, sia da un punto di vista giuridico-sistematico, sia da un altro più eminentemente pratico, appare difficile che un tribunale possa applicare la disposizione in materia di rettifica a un sito, a meno che il futuro o la casistica specifica non veda prevalere l’orientamento del tribunale di Modica e preveda integralmente l’applicazione della legge stampa anche alle pubblicazioni telematiche che, in via generale, non vi sarebbero soggette.

La cura peggiore del male?

C’è da chiedersi se, nel web, il diritto di rettifica abbia diritto di asilo o debba essere ritenuto inapplicabile, vuoi per un difetto di adeguamento legislativo, vuoi per importanti conseguenze pratiche che le estensioni ipotizzate comporterebbero. Il web è certamente un medium nuovo e diverso dai mezzi tradizionali come giornali radio e televisione, ma ha innegabilmente un ruolo di informazione e di divulgazione presso il pubblico di notizie che possono essere considerate false o, se in modo particolare riferite a un soggetto, lesive della sua reputazione. Come regolare la materia e permettere l’esercizio di un diritto che l’ordinamento riconosce?

A dirla tutta, le leggi già prevedono che a richiesta del magistrato i contenuti eventualmente diffamatori vengano rimossi. Ed è ragionevolmente più efficace auspicare che nel web si operi una rimozione invece che una rettifica. La rettifica ha un suo senso nei mezzi di comunicazione tradizionali. Ha, cioè, lo scopo di porre rimedio a un fatto accaduto nel passato e che si è perpetrato attraverso mezzi fisici, “analogici”, che per loro natura non possono essere modificabili. È impossibile, per fare un esempio chiaro, pretendere che venga rimosso un articolo pubblicato su un giornale cartaceo uscito ieri o un anno fa. L’unica soluzione è rettificare sul giornale di dopodomani. Sul web una reputazione lesa sarebbe meglio tutelata da una rimozione o correzione, anziché da una rettifica che interviene entro i due giorni seguenti la richiesta e che, quindi, ha la potenziale attitudine di continuare a ledere la reputazione della persona offesa. Senza considerare il fatto che la rettifica potrebbe addirittura aumentare la potenzialità lesiva dell’articolo originale, in quanto può essere letta da un’audience che non aveva avuto conoscenza del contenuto lesivo.

Se il problema è ineliminabile sul cartaceo o su qualsiasi altro mezzo di comunicazione trasmesso con un palinsesto in un determinato momento della giornata, sul web dunque la situazione è profondamente diversa. E, potremmo aggiungere, non lo è solo perché la tutela dell’offeso si può ottenere con la rimozione dell’evento che lo ha leso, ma anche perché nel web è molto più semplice per l’offeso ribattere a una falsa notizia prendendo la parola attraverso un proprio sito, blog, social network o addirittura commentando – laddove possibile – a margine del contenuto stesso. Non resta, comunque, che seguire l’iter del ddl e osservare quali saranno le reazioni della giurisprudenza rispetto all’evoluzione del diritto di rettifica in rete.

L'autore

  • Elvira Berlingieri
    Elvira Berlingieri, avvocato, vive tra Firenze e Amsterdam. Si occupa di diritto delle nuove tecnologie, diritto d'autore e proprietà intellettuale, protezione dei dati personali, e-learning, libertà di espressione ed editoria digitale. Effettua consulenza strategica R&D in ambito di e-commerce e marketing online. Docente, relatore e autore di pubblicazioni in materia, potete incontrarla online su www.elviraberlingieri.com o su Twitter @elvirab.

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