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Da Microsoft Surface Sphere al futuro immaginato

04 Agosto 2008

Da Microsoft Surface Sphere al futuro immaginato

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Tra business e ideologia, tra forma e finzione, le nuove interfacce a portata di tocco delle dita dimostrano che le persone stanno prendendo finalmente il controllo sulle macchine, con una naturalezza imprevista. Ma è proprio così?

Pochi giorni fa su questo stesso sito parlavamo della futura moltiplicazione delle tecniche di interazione fra uomo e macchina e dei dispositivi che dovrebbero renderle possibili in un prossimo futuro. Il mouse potrebbe forse non sparire, secondo alcuni analisti, ma certo venire a perdere la centralità che finora ha avuto: d’altra parte è una creatura degli anni ’60. A conferma delle attenzioni che i grandi gruppi stanno riservando alle nuove modalità di interazione con i computer, Microsoft ha presentato un paio di giorni fa al suo annuale Research Faculty Summit (una sorta di conferenza annuale organizzata dal suo dipartimento ricerche con esponenti accademici e istituzionali) un nuovo prototipo che sembra fatto apposta per scaldare le fantasie degli appassionati (e della stampa specializzata). Si chiama Microsoft Surface Sphere ed è un display a forma di palla (o, più elegantemente, di sfera) con le immagini che vengono proiettate sulla sua superficie dal di dentro e che possono essere manipolate grazie al sofisticato sistema Multitouch che era già stato presentato in quello che è il precursore di Surface Sphere, cioè Surface.

Se Surface non è altro che una superficie orizzontale come un tavolino da salotto, in cui le rappresentazioni digitali degli oggetti sono manipolabili con le mani, Surface Sphere è la… quadratura del cerchio, per così dire. O meglio, la cerchiatura della superficie. La medesima logica multitouch applicata a una sfera di meno di un metro di diametro. Il prototipo sfrutta tecnologie già esistenti modificate da Microsoft come il Magic Planet di Global Imagination e pare destinato, a quanto spiegato dalla stessa azienda di Redmond, ad ambienti pubblici ad alto tasso di interattività come musei, sale pubbliche, banchi informativi. Supporta con facilità interazioni con più persone attorno alla sfera e dispone di algoritmi di correzione della curvatura. Potrà essere usato anche per videoconferenze panoramiche.

Surface non era certo la prima dimostrazione di multitouch disponibile quando venne presentato. Altre società avevano mostrato prodotti simili, come la francese Intuilab con il suo DigiTable, o come la Perceptive Pixel di Jeff Han (sul cui sito trovate una dimostrazione con uno schermo a parete). Così anche il passaggio dalle superfici piane a quelle sferiche può trovare dei precursori: infatti il dispositivo non è dissimile ad alcuni “gadget” già in uso in alcuni musei della scienza e della tecnica, ed esiste anche un’altra dimostrazione del 2007 che lo ricorda, qui. Microsoft ha voluto presentare questo prototipo che non si annuncia ancora come prodotto, ma che serve soprattutto a fare comunicazione (“grande, sembra proprio una roba da fantascienza anni ‘60”, nota giustamente qualcuno). E forse l’aspetto più interessante è proprio questo: dall’iPhone (prima applicazione commerciale di massa) in poi, è tutta una rincorsa a inventare l’interfaccia del futuro, ma soprattutto quella in grado di scaldare la fantasia degli appassionati. Dopo anni in cui questo settore di ricerca è rimasto sostanzialmente rinchiuso nei laboratori delle grandi aziende, ora il marketing sembra aver scoperto che le nuove modalità di interazione naturali sono sexy, e che è giusto farle vedere, o almeno intuire, immaginare. In fondo, il vedo-non vedo (e comunque, per ora, non tocco…) è da sempre il principio base dell’erotismo.

Il diritto di toccare

A essere ancora più maliziosi, però, queste continue esibizioni intervallate ad annunci ad effetto sul prossimo futuro delle interfacce “naturali” potrebbero rispondere anche a un tentativo di captatio benevolentiae (del pubblico, ma non solo) in vista di battaglie ben più importanti: quelle per i brevetti. Sì, perché in ambito multitouch, la questione dei diritti è ancora in fase embrionale. Intendiamoci, nessuna delle aziende coinvolte può rivendicare la primogenitura dell’idea del multitouch, che pare vada a ricerche che risalgono addirittura ai primi anni ’80, dove si registrano esperimenti sul multitouch all’Università di Toronto con i lavori di Nimish Mehta e, quasi contemporaneamente, ai laboratori della Bell, quando Murray Hill ha pubblicato quello che le cronache riportano essere il primo paper sull’argomento (datato 1983). Le ricerche, i prototipi e le applicazioni commerciali di nicchia sono da quel momento talmente tante che è inutile riassumerle qui. Chi è interessato faccia più proficuamente riferimento all’eccellente sintesi di Bill Buxton che proprio alla Microsoft lavora.

Se sul concetto del multitouch non si possono probabilmente avanzare pretese di brevetti, su specifiche tecniche di multitouch, o su alcune sue applicazioni, alcune richieste di brevetto risultano effettivamente pendenti. Jeff Han ha presentato una richiesta di brevetto su applicazioni multitouch derivanti dalle sue ricerche. Ma anche Apple, nel febbraio 2008, ha chiesto il brevetto su alcune gesture multitouch implementate nel suo iPhone. Ad esempio il pinch, ovvero il movimento di due dita appoggiate alla superficie che si allontanano o avvicinano, per ottenere uno zoom, e altri gesti che si possono compiere con due o più dita.

Ma Apple ha anche chiesto il brevetto su un ipotetico vocabolario di gesti multitouch.
Se le venisse riconosciuta la licenza (o le licenze), gli altri produttori di interfacce multitouch si troverebbero di fronte ad un bivio: seguire lo standard, cioè la convenzione sviluppata da Apple, dietro pagamento di congrui diritti, o implementare nuovi gesti per gli stessi effetti? Ci troveremo in futuro a fare il pinch per uno zoom sull’iPhone e il triplo sguish sul Nokia per la stessa funzione? Come si vede la questione è tutt’altro che accademica. E Apple ha già acquisito alcuni brevetti legati al multitouch attraverso l’acquisizione nel 2005 della società Fingerworks che operava nel settore (ma in nicchie di mercato) già dal 1998 e che ne deteneva un paio. Se qualcuno di voi ritiene che brevettare un simile gesto sia sleale, beh, non ditelo a coloro che l’avevano già usato o pubblicato in precedenza, come Myron Krueger nel 1983 e Bruce “Tog” Tognazzini nel 1992/96. E se invece ritenete il tutto ridicolo perché sarebbe come brevettare il doppio-click, beh, in effetti avete ragione.

Solo che Microsoft l’ha fatto. Con il numero di brevetto 6727830 del 27 aprile 2004. Okay, va bene, forse abbiamo un po’ esagerato: il brevetto riguarda il modo di premere alcuni tasti sui dispositivi portatili come i palmari, piuttosto che il doppio click con il mouse. Ma c’è poi molta differenza? Quanto è lecito brevettare modalità di interazione abbastanza generali o addirittura scoperte da altri e che potremmo tutti trovarci obbligati a usare un giorno per poter vivere con la tecnologia in maniera quantomeno accettabile?

Sedurre è offrire un’idea di mondo possibile

Nel dubbio, le interfacce innovative si fanno sexy. Sorridono, furbe, e mostrano la faccia migliore, la più ammiccante. Lasciano intuire un futuro da fantascienza a portata di mano, è il caso di dire. In modo che, nel dubbio, diventiamo più benevoli per poterle un giorno possedere. Forse non solo noi, ma anche gli uffici brevetti. Lo stesso Wired riconosce infatti come la popolarità sia spesso uno dei criteri che possono decidere l’assegnazione di un brevetto. Esporre pubblicamente il proprio stato di avanzamento lavori su un argomento ancora oggetto di regolamentazione e in attesa di brevetti, è anche un modo per accreditarsi e influenzare, dunque, possibili decisioni in merito. In ogni caso, questo prototipo (in assenza di prodotto annunciato) ci dice che anche Microsoft ha scoperto il lato “sexy” dell’interfaccia, e che ci tiene a comunicarlo. È infatti ormai noto che la dimensione estetica di un’interfaccia influenza anche la tolleranza dell’utente ad eventuali errori.

Ma è solo scoperta dell’estetica? Le interfacce comunicano in realtà all’utente una possibile idea di sé. Comunicano possibili usi, abilitano, creano ruoli. Le interfacce che mostrano, magari attraverso abili filmati condotti da disinvolti esperti, la manipolazione naturale, senza intermediari meccanici, o quelle che tentano di riconoscere i movimenti naturali sembrano suggerire un’idea di controllo dell’uomo sulla tecnologia, di virtualità dominata e integrata con la fisicità. Promettono insomma un modo d’essere, un rapporto con la tecnologia finalmente risolto, dove con estrema leggerezza e naturalezza possiamo spostare, ridurre, interagire in maniera fluida con un mondo ricreato, virtuale ma anche fisico, che si sposa con il nostro. Queste interfacce, mostrate prima che usate, ci annunciano che le persone prendono finalmente il controllo sulle macchine, con una naturalezza prima imprevista. Non più piccole finestre sullo schermo (semplici boccate d’ossigeno in un mondo ancora sostanzialmente opaco), ma oggetti che manipoliamo, finalmente, leggeri come fili d’erba.

Dietro le ragioni del business, dunque, si inizia a delineare un’ideologia. Nel senso di un sistema di valori e di rappresentazioni che inducono credenze, aspettative, idee di sé e del proprio rapporto con il mondo. E se questa è l’ideologia, la nuova estetica del futuro, perché identifica e sublima in una narrazione un conflitto presente fra noi e gli oggetti che usiamo, è chiaro che un’azienda come Microsoft non può rimanerne fuori, ancor prima di avere un prodotto sullo scaffale. Le forme non seguono più la funzione, ma la finzione. È un business importante, di cui intravvediamo solo l’inizio.

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