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Come oggi, quindici anni fa

22 Luglio 2008

Come oggi, quindici anni fa

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Come eravamo. Di quando il modem non era di serie, 16 megabyte di Ram erano tanti, il sito web costava un tanto a pagina e configurare la casella di posta elettronica era un'impresa da specialisti. C'era la Tariffa Urbana a Tempo, ricordate?

Questa mattina mi sono svegliato con una idea fissa: mi devo fare il sito personale. Sarei il primo tra gli amici ad averne uno. Ma non è una cosa che si decide così su due piedi. Devo farmi un po’ di cultura della rete, di come sono fatti i siti e devo mettere da parte un bel po’ di soldi per cominciare. Il primo ostacolo: devo cambiare il computer nuovo. Nel mio non c’è nessun posto dove attaccare il modem. E dire che l’ho comprato solo un paio di anni fa ed è un signor computer: Apple Macintosh LC III, detto pizza box per la forma a scatola per la pizza d’asporto del case. Ben quaranta mega di hard disk e quattro di Ram, 25 megahertz di processore, il lettore di floppy (anche se non sono più davvero floppy), la testiera, il mouse e un bel monitor da quattordici pollici a duecentocinquantasei colori. L’offerta comprendeva anche una stampante ad altissima qualità, StyleWriter II a getto d’inchiostro, bianco e nero. L’ho pagato la bellezza di quelli che sarebbero stati quasi duemila euro nel 2008. È tutto ciò di cui un vero geek del computer ha bisogno. Word e Photoshop 2.5 ci girano che è una meraviglia. Anche se solo uno alla volta. Ma Internet niente. O almeno così dice il mio rivenditore di fiducia.

Vada per un Mac Quadra 650, nuovo nuovo. Costa quasi il doppio ma ha 230 mega di hard disk. Mi chiedo cosa me ne farò di tutto quello spazio. E di tutta quella Ram, 16 mega, che a circa cinquanta euro a mega, fatevi un po’ voi il conto. Ma almeno ha una presa telefonica compatibile con il modem Roadster 28.8 che mi ha rifilato il rivenditore, per circa cento-centoventi euro del 2008. Uno scatolotto grande come una scatola da sigari, con una serie di lucine sopra che non si accendono mai nella sequenza che il manuale dice sia giusta.

Un amico mi segnala un fornitore di connessione il cui abbonamento costa più o meno il corrispondente di 8-10 euro al mese, al quale va aggiunta la Tut, la tariffa urbana a tempo che pagherò a Telecom. Per fortuna il fornitore di connessione è del mio distretto, altrimenti la connessione sarebbe diventata interurbana. Sono ancora rari i dischetti da 3,5″ con la configurazione automatica di Video On Line, il primo gestore con grandi ambizioni che fa pubblicità anche su Wired, una rivista nata da tre anni, con un’enorme reputazione. E soprattutto queste configurazioni automatiche non contemplano i Mac-user. Devo chiamare al telefono il fornitore di connessione. Sto circa due ore a configurare la connessione PPP per collegare il modem. Chiamo, spiego il problema, mi passano l’esperto Mac, mi spiega la procedura, scrivo tutto, metto giù (ho una linea sola), provo, non funziona, richiamo, spiego il problema, l’esperto cambia la procedura («proviamo così»), riattacco, riprovo. E avanti così con nelle orecchie i sibili, gli sdeng sdeng del modem che tenta di connettersi. Poi, nel pannello di controllo della connessione, appare la parola “connesso”.

La guardo come un cowboy beccato in mutande. Sono connesso ma non so che farci. Non c’è nessun programma per Internet sul mio computer. Ho paura a scollegare. Magari non si collega più. E invece stacco, spengo il modem e prendo un dischetto che c’era in regalo con Applicando di Aprile. Dentro ci sono alcuni programmi per Internet. E, incredibile, sono gratuiti. Incredibile non perché sono gratuiti: ci sono un sacco di shareware e freeware in giro. Incredibile perché, benché gratuiti, sono in grado di fare cose straordinarie. Uno è Eudora Light, la versione free di un ottimo programma per l’invio e la ricezione delle email, gli altri sono Mosaic e il neonato Nestscape Navigator, per navigare nel Www. L’installazione fila via veloce. Riavvio, riaccendo il modem, connetto, funziona. Mi accorgo che per la mail ci vuole una configurazione a parte. E avere un indirizzo di posta elettronica. Dovrei spegnere, richiamare, farmi dare le istruzioni («proviamo così»), scrivere tutto, riappendere, riaccendere il modem… ci penserò poi.

Avvio Netscape. Benvenuto. Grazie, ma ora dove vado? Da qualche giorno ho fatto incetta di riviste che parlano di Internet. Fanno un sacco di recensioni dei siti, con screenshot e tutto perché alla velocità con cui vanno i modem e con quello che costa la connessione è meglio andare a colpo sicuro. Ne acchiappo una, la sfoglio velocemente e mi lascio attirare dal sito dell’Ambasciata giapponese a Washington. Digito l’indirizzo lunghissimo e pieno di / e _. Pian piano appaiono le scritte su un tristissimo fondo grigio che mi ricorda che l’Internet se lo sono inventata gli ingegneri. Mi consolo pensando che se l’avessero inventata i designer sarebbe stata bellissima e inservibile. Le parole di un blu improbabile e sottolineate sono i link (secondo un precoce speciale sulla rete del settimanale Panorama, le parole collegate si “illuminano”). La pagina è poco più di un foglio di Word impaginato un po’ approssimativamente. La funzione Load Images è disattivata di default. Questa la dice lunga sulla lentezza di connessione. Tento il salto concettuale: dai giapponesi di Washington a un altro posto nel mondo con un solo click, voglio provare l’ebbrezza dell’impalpabilità del bit, la connessione senza corpo, in un attimo, meno di un attimo. Apro la rivista e scelgo Piaggio. In un lampo da Washington a Pontedera. Una cosa che nessun essere umano aveva mai neppure immaginato. Definire un lampo il lento apparire dell’unica immagine della home page di Piaggio è frutto di un generoso entusiasmo. Trenta secondi, quasi un minuto. È ammirazione pura quando osservo ciò che i designer hanno inventato in questo ambiente ostinatamente razionale. Hanno usato una foto di vacanze romane, Gregory Peck e Audery Hepburn sulla Lambretta per le strade di Roma. Ciò che rende elegantissima questa pagina è che hanno trasformato la foto in un puntinato a due soli colori: nero e grigio uguale allo sfondo, tanto che lo sfondo standard delle pagine Html sembra voluto. La foto vi si adatta. Ma a parte questo colpo di design il resto del sito è la solita minestra. Chi se ne frega del design in questo momento storico, il mio quantum leap personale ha funzionato e sono pronto a spaziare per tutto il mondo in pochi minuti. Con un po’ di pazienza per caricare le immagini. Riprendo la rivista cerco un altro sito. La connessione cade. Per oggi basta così.

Il giorno dopo è dedicato all’email. Un’altra processione di telefonate per riuscire a configurare Eudora e per ottenere il mio primo indirizzo di posta elettronica. Mi si apre la scarna videata del client di posta con InBox, OutBox e Trash. Deserta. Clicco su Invia e Ricevi (non ho mai capito perché li abbiano messi insieme: e se volessi solo ricevere senza inviare?). Ecco la prima mail. È la mail di benvenuto del fornitore di connessione. Una gentilezza del marketing, niente di più. Voglio ricevere una mail vera da un altro tizio@qualchecosa. Ma non conosco nessuno che abbia la mail. Cioè non conosco nessuno che abbia una mail e che si non possa raggiungere facilmente al telefono. Vorrei un giapponese, un americano… Passano i giorni scambiando mail inutili con vicini di casa finché con Doom scatta la svolta. Grazie al Quadra 650 ho potuto installare questo sparatutto storico che ha formato una generazione di spietati assassini. Con grande difficoltà sono arrivato all’ultimo livello. Ma mi fanno fuori tutte le volte. Sto cominciando a stufarmi. Vado su Altavista, il miglior motore di ricerca che conosco. Cerco Doom e mi spedisce su sito di studenti del Michigan che ne parlano. Copio la prima email che trovo e chiedo aiuto per la risoluzione dell’ultimo livello.

Il giorno seguente vivo il secondo quantum leap della mia personale storia con Internet. Il tizio mi risponde, una sola frase risolutiva. «Aim the brain.» Per chiudere con Doom è necessario colpire il cervello del mostro. Una sensazione di onnipotenza mi invade. Io, abituato a vedere i miei genitori a dividere il modo in urbane e interurbane, in attesa della richiamata della Sip per comunicare con i parenti del Brasile o dell’arrivo delle lettere Par Aviòn due o tre volte l’anno.

Da oggi la mia ossessione sarà far parte della Rete. Voglio anche io essere raggiungibile da un papuano a cui non viene la bagna cauda o da un cileno interessato alla gestione Nedo Sonetti del Torino Calcio. L’offerta per l’hosting sembra allettante: un anno di dominio, 10 mega di spazio sul disco, un indirizzo email. Un sacco di roba per soli 600 euro del 2008. Lo stesso amico che mi ha segnalato il fornitore di connessioni si è offerto di mettere su le pagine Html e mi fa un prezzo speciale: 100 euro a pagina. È così che si fanno preventivi per la Rete. Un tot a pagina. Pagine che si possono stampare su un A4: l’ossessione della corrispondenza con la carta sarà dura a morire. Costano care, ma l’amico mi dice che bisogna calibrare ogni bit di peso. Comunque ecco qui un sito tutto mio, confezionato in Adobe PageMill 1.0. Una pagina sola, una bella foto rigidamente squadrata, una Gif a 16 colori, un po’ di testo in Times nero, qualche link, l’email. Sono anche io protagonista della rete. Avrò milioni di amici e di potenziali clienti. E per avere una pagina sulla rete ho speso in tutto meno di cinquemila euro. Un vero affare. Non capiterà mai più una cosa del genere.

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