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Conversazioni con la sonda spaziale

10 Luglio 2008

Conversazioni con la sonda spaziale

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Phoenix, il robot artificiale della Nasa su Marte, racconta le sue giornate con Twitter. Comunicazione informale e poco costosa o primo passo per lo sviluppo di macchine che comunichino con una personalità artificiale?

Per le agenzie coinvolte nel programma spaziale americano, la comunicazione col pubblico è sempre più una priorità, un elemento che determina il loro successo forse quanto il raggiungimento degli obiettivi scientifici. In un clima di taglio di fondi e di fare di più con meno, l’interesse del pubblico è un fattore importante nel determinare quale progetto e quale ente avrà i soldi per continuare. Chi ha visto Apollo 13 (il film) si ricorda del clima descritto, di una società che non seguiva più in Tv le missioni lunari, tanto che per mancanza di audience il programma Apollo fu cancellato anticipatamente.

Per evitare questo rischio, gli addetti ai lavori stanno cercando di sviluppare progetti di comunicazione destinati alle persone, sempre più engaging. Dopo lo straordinario successo di interesse del primo robottino su Marte (vi ricordate? Sojourner…) che seppe usare molto bene un Internet ancora tutto sommato agli albori, dopo una comunicazione ben confezionata per i due rover Spirit e Opportunity che ancora adesso scorazzano sulla superficie di Marte (dovevano durare 90 giorni, sono quattro anni e mezzo che ci danno dentro, complimenti a chi li ha progettati), è ora il turno di un’altra sonda marziana a farsi viva.

Phoenix – così chiamata perché sorta sulle ceneri di una precedente, fallita, missione – è onestamente una roba noiosissima per l’uomo della strada. Non va in giro, non compie imprese epiche (oddio, se lo chiedete a uno scienziato vi spiegherà quanto è interessante e fondamentale sapere se c’è ghiaccio su Marte e conoscere la composizione del suolo…). Tutto quello che sa fare è fare foto, scavare da ferma con una paletta e analizzare i campioni presi. Ma sa fare una cosa innovativa: sa parlare in prima persona. Su Twitter.

L’idea di Rhea Borja, Media Relations Officer al Jet Propulsion Laboratory è stata quella di costruire una sorta di personalità artificiale per la macchina… nel senso che è Veronica McGregor, manager dello stesso ufficio, a impersonare la sonda, tenendo aggiornato il mondo non (solo) con le consuete release stampa per addetti ai lavori ma anche con un linguaggio più fresco, sintetico, umano. Sparando fino a 10 messaggi al giorno su Twitter, in cui la macchina (virtualmente) dà informazioni, aggiorna, risponde alle domande del pubblico… e si abbandona alle emozioni. Con messaggi quali «Are you ready to celebrate? Well, get ready: We have ICE!!!!! Yes, ICE, *WATER ICE* on Mars! w00t!!! Best day ever!!» o «And the great news is, the soil shaking finally worked! I’ve got an oven full of Martian dirt to analyze, and a lot of happy scientists», riesce a parlare in modo più avvincente.

Risultato: il numero delle persone che segue le imprese del robottino e interagisce è piuttosto alto, con oltre 27.000 “ascoltatori”, senza poi contare quelli che seguono la pagina di Facebook messa su dal JPL. Un pubblico giovane, tecnofilo, ma che oggigiorno è più interessato all’esplorazione del proprio iPod che a quella dell’universo che ci circonda. Un pubblico che potrebbe trovare noioso interagire con la Nasa, porre le proprie questioni e curiosità a un ente, ma che può trovare normale e affascinante parlare (anche se solo metaforicamente) con una macchina, specialmente se dotata di tratti caratteriali simpatici, divertenti, contemporanei.

E sono spesso persone che non sono particolarmente appassionate di spazio, non sono dei tecnici, sono solo persone che apprezzano una bella storia, apprezzano avere uno spiraglio attraverso il quale origliare quello che succede su Marte, avere uno sguardo sul dietro le quinte, prima che lo pubblichino sui giornali, sapere in tempo reale come sente, che cosa pensa, che cosa combina quel robottino piantato sul gelido polo marziano, con brevi messaggi accessibili anche dal cellulare, dal palmare, da dovunque.

Fatto non disprezzabile, per la sua natura di sinteticità e di informalità, un flusso di Twitter è infinitamente più semplice, rapido e meno costoso da gestire di un sito o di un blog. Poco sforzo, un bel risultato. Di conseguenza, dato il successo di pubblico è prevedibile che si sia solo all’inizio di un trend di comunicazione che vedrà le macchine “famose” (o destinate a diventarlo) assumere una propria personalità, un carattere, tanto che si potrebbe pensare alla nascita di un nuovo tipo di consulente di comunicazione, che disegni a tavolino i tratti caratteriali delle macchine che faranno l’impresa. E forse, in un futuro non lontano,sarà la tecnologia stessa a incorporare questi fattori, togliendo la delega della personalità ai comunicatori umani e incorporandola direttamente nel sistema operativo. Un area, quella delle personalità e delle emozioni sintetiche, che ha fatto strage nel mondo della letteratura fantascientifica e che sta venendo pesantissimamente indagata per la vera killer app: quella dei robot di compagnia, di oggetti seducenti. Sì, perché sia nell’artico marziano sia in salotto (o altrove), un robot che mostra emozioni sembra avere un agghiacciante (su Marte Phoenix passerà l’inverno a 125 sotto zero) potenziale di mercato.

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