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Se il disordine è digitale, ne guadagnamo tutti

23 Maggio 2007

Se il disordine è digitale, ne guadagnamo tutti

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Il nuovo, importante libro di David Weinberger esalta i benefici della conoscenza miscellanea e dell'assenza di tassonomie rigide. Ma l’intelligenza collettiva ha i suoi rischi

Basta con il vecchio sogno di un razionalismo tanto assoluto quanto inesistente. Obsoleta è l’idea aristotelica di un ordine preciso e armonico per spiegare il mondo. Un concetto, pur se meraviglioso e accettato per secoli, oggi fa decisamente paura. E assai lontano da quel disordine e overload di conoscenza che va affermandosi sulle ali del digitale. Un trend inevitabile che, fatto più importante, va finalmente tirando giù un velo di Maya ben più universale. La verità è che il mondo, in ogni sua forma e aspetto, è un gran bel caos, e va benissimo così.

È quanto chiarisce David Weinberger nel libro Everything Is Miscellaneous: The Power of the New Digital Disorder, fresco di stampa negli Usa e prenotato da un editore italiano. Un testo decisamente importante e che sembra destinato a calcare le orme del bestseller internazionale The Cluetrain Manifesto, apparso nel 1999 e più volte ristampato, dove Weinberger affiancava Christopher Locke, Rick Levine e Doc Searls. Ampliando concetti discussi in quel volume e, soprattutto, nel successivo Small Pieces Loosely Joined: A Unified Theory of the Web (2002), stavolta l’affondo di Weinberger si fa ancora più deciso: il valore dell’informazione sta nel miscuglio e nella disorganizzazione continua, il mondo gira sulla decentralizzazione e la collaborazione, Carl Linnaeus, Aristotele e altri grandi del passato avevano torto marcio. O quanto meno, vengono smentiti dalle nuove tassonomie del XXI secolo.

Al botanico svedese si deve la moderna classificazione scientifica, che divide le piante in 24 classi in base alle loro caratteristiche riproduttive, riprendendo il metodo tassonomico concepito poco più di un secolo prima dallo svizzero Bauhin. (Di Linnaeus ricorre in questi giorni il 300° anniversario della nascita, e a lui dedica un ampio servizio National Geographic). Il suo Systema Naturae è una struttura ad albero, lineare e prevedibile, una mappa «che ha senso quando la vede tutta insieme». Analogamente ad altri tentativi di sistemare la conoscenza umana, come la tavola degli elementi chimici messa a punto dallo scienziato russo Dmitrij Mendeleev sul finire del XIX secolo o il sistema (proprietario) decimale per l’indicizzazione delle biblioteche ideato nel 1876 da Melvil Dewey. Questo ha subito ampie revisioni (l’ultima nel 2004), ma guida tuttora la Library of Congress, per fare un bell’esempio, con tutti gli squilibri del caso: oggi contiene qualcosa come oltre 130 milioni di testi e ogni giorno ne arrivano quasi settemila di nuovi che vanno schedati, catalogati e sistemati al posto giusto sugli scaffali.

Rispetto invece al grande filosofo greco e rivolgendosi soprattutto al pubblico estraneo al marketing, Weinberger sostiene tra il serio e il faceto che «l’intero libro non è un altro che una tesi contro Aristotele». Ovvero contro l’idea che esista un ordine unico e giusto per le cose del mondo, recintato da precise definizioni. Nel corso dei secoli, quest’errore di fondo ha portato all’assunto che solo «poche fonti autorevoli e altamente qualificate» possiedano la conoscenza, e da qui al potere dei regimi. Al contrario, l’enorme scibile umano veicolato da Internet, e anzi quest’ultima in quanto tale, è fondamentalmente roba nostra, proprietà di tutti, chiarisce un post nel blog che accompagna il libro: «Everything Is Miscellaneous riguarda il significato che diventa nostro». (Blog da non perdere per gli approndimenti, le critiche e alcuni stralci del libro).

Il punto è che passando al terzo tipo di ordine, quello digitale, tutte queste classificazioni hanno davvero poco senso. È quanto chiarisce la prima metà del libro, pur sottolineando l’importanza di questi percorsi a livello storico-concettuale per quanto concerne il primo e il secondo ordine delle cose, cioè le merci fisiche e l’informazione cartacea. Ma quando si salta sul treno dei bit&bytes, vigono quattro maggiori principi organizzativi capaci di trasformano in modo radicale il modo di pensare, usare e indicizzare i contenuti. Eccoli, in estrema sintesi: creare filtri in uscita, non in entrata sul flusso dell’informazione e lasciar andare ogni controllo (sono gli utenti a decidere e a fare il mix giusto, non più editor o gatekeeper, massima trasparenza e responsabilità collettiva), mettere le foglie su quanti più rami possibile e considerare ogni voce un metadato (il ricorso a liste plurime e interconnesse, le nuvole di tag e gli agganci sociali per ogni esigenza). Da qui, il discorso procede per gli altri quattro capitoli sulle modalità d’implementazione di tali principi, e soprattutto sulle implicazioni che vanno e andranno producendo, a partire dalla Rete ma con chiari effetti sulla società in generale.

Tutto chiaro? Be’, pur condividendo le tesi Weinberger a tratti l’ottimismo e la disinvoltura appaiono eccessivi, come evidente è il rischio di parlare alla solita cyber-elite o al grande marketing e alla mega-imprenditoria (settori in cui si muove da anni l’autore). L’autoreferenzialità scorre evidente. Né mancano i salti da un tema all’altro senza percorso logico, o vari assunti dati per scontati, cose che tendono a far scemare la conoscenza del lettore, anziché aumentarla. Oltre al fatto che, ad esempio, il sistema di Wikipedia è tutt’altro che caotico ma assai ben curato e strutturato grazie all’uso sagace del codice. Mentre, più in generale, tutta questa diffusa partecipazione dei singoli online rimane tutta da dimostrare, anzi è noto come moltissimi se ne stiano solo a guardare.

Innegabile, infine, che casi quali Digg, Wikipedia, YouTube, o la genesi dello stesso World Wide Web di Sir Berners-Lee, con le attuali propaggini tese verso il Web Semantico, rivelino successo e verità del miscellaneo. Lo stesso dicasi in sostanza per il mondo degli atomi, anche se per motivi di fisicità gli esseri umani hanno sudato alla grande per metterlo in ordine sin dai tempi più antichi. Chi non apprezza certe librerie o negozietti d’antiquariato, o i tipici mercatini delle pulci, con riviste, oggetti e vestiti affastellati più o meno a caso, e dove oltre l’apparenza del disordine si celano diversi livelli di significato? Ecco, lì sta il senso e il divertimento. Spetta a ognuno di noi rovistare e smucinare per trovare quello che maggiormente ci preme. O anche decidere di arricchire il disordine imperante, ribaltando quel che sta sotto o lasciando nel mucchio qualcosa di nostro.

Così va il mondo digitale. Attenzione però a non fidarci troppo di quest’intelligenza collettiva, abbracciandola senza riserve o accecati dall’autoreferenzialità. Potremmo scoprire che si è trasformata in una cocente delusione, altrettanto diffusa e collettiva.

L'autore

  • Bernardo Parrella
    Bernardo Parrella è un giornalista freelance, traduttore e attivista su temi legati a media e culture digitali. Collabora dagli Stati Uniti con varie testate, tra cui Wired e La Stampa online.

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