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«La progettazione è un continuo divenire»

06 Marzo 2007

«La progettazione è un continuo divenire»

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Scrive.it è stato una delle prima iniziative di nuova concezione in Italia. Con Claudio Cicali, il suo creatore, approfondiamo la realizzazione di spazi partecipativi, i modelli di aggregazione dei dati e i vincoli che chi lancia servizi sociali in Italia deve affrontare. Ottimismo e creatività restano le armi più importanti

In poche parole, chi sei e di quali progetti web 2.0 ti stai occupando in questo periodo?

Sono da sempre un informatico, la cui storia professionale parte dal lontano 1988. Abito a Bologna, dove faccio il libero professionista. Mi occupo principalmente di progettazione e sviluppo di soluzioni web based. In particolare, per quanto riguarda progetti web 2.0, ho presentato tempo fa Scrive.it e recentemente FaiNotizia per Radio Radicale, più qualche altro lavoro ancora in cantiere.

Che cos’è Scrive.it e quale tipo di servizi fornisce?

Scrive.it nasce, come tanti progetti dello stesso tipo, da un’esigenza personale: quella di “collezionare” ovvero storicizzare da qualche parte i film che vedevo, i libri che leggevo o i cd che ascoltavo. Creare da questo un sito web dove chiunque poteva fare la stessa cosa è stato un tutt’uno. Il grande valore è dato dal fatto che, tramite Scrive.it, il semplice storicizzare può creare anche informazione. Prima di andare a vedere un film, posso vedere se qualche mio amico l’ha visto, oppure posso mettere un film che un mio amico ha visto e gli è piaciuto nella mia wish list personale. Tutto questo ovviamente senza alcun lavoro di redazione.

Quanti utenti e quanti film ci sono in questo momento?

Il sito è partito nel settembre 2005 e adesso conta circa 7.000 segnalazioni e 350 utenti. Cresce lentamente, ma costantemente ricevendo circa 1.000/1.500 visitatori univoci al giorno.

Quali credi siano i principi tramite cui è possibile incentivare e facilitare la partecipazione degli utenti in sistemi simili? Insomma qual’è il segreto di Scrive.it?

La partecipazione si può incentivare puntando su due aspetti: semplicità/immediatezza di utilizzo e la capacità di coprire una nicchia ben specifica. Ho cercato questi due aspetti, con Scrive.it e spero di poterli mantenere anche se le richieste di nuove feature da parte degli utenti si fanno spesso pressanti. A differenza di altri servizi, non cerco però necessariamente di creare una comunità, almeno per adesso. Un altro aspetto è quello di permettere di poter semplicemente esportare (e in diversi modi) le proprie informazioni collezionate sul sito. Dunque, badge javascript da inserire sul proprio blog, export in formato csv, o in hReview e naturalmente feed Rss.

Non credi che le dinamiche sociali, il trovare amici con interessi e problemi comuni sia una parte importante dell’esperienza utente nei siti web 2.0?

Credo che sia una conseguenza naturale di una delle definizioni che più si adattano al web 2.0, ovvero quello di essere molto focused. In questo senso ho piacere a frequentare un sito dove mi trovo subito a mio agio.

Allora perchè non sfruttare a livello di progettazione questa tendenza naturale degli utenti?

Il fatto è che la progettazione dei sistemi di questo tipo, è in continuo divenire, così come è in continuo divenire il tipo di contenuto che essi producono. Progettare nei minimi dettagli un sito web 2.0, anche tenendo conto di tutte le possibili esigenze, è un po’ una contraddizioni in termini. Alcune feature di Scrive.it, pensate fin dall’inizio, non sono mai state usate, per esempio.

Come capire allora a priori che cosa funziona e che cosa no? E, innanzitutto, è possibile?

No, secondo me non è possibile. Infatti parlando di questo aspetto progettuale, sono solito presentare questo punto come un ostacolo sui probabili investimenti. Nessuno ti potrà mai dire se un’esperienza web 2.0 funzionerà perché per funzionare deve generare contenuto da sola, deve crearsi autonomamente una base di utenza interessante. Ciò è difficile da prevedere.

Per te, per Scrive.it, che cosa c’è di fortemente rivoluzionario nel web 2.0?

Il tipo di informazione che si genera. Non più informazione diretta (tipo: lista degli alberghi di Firenze), ma informazione indiretta (indice di gradimento degli alberghi in base alle esperienze dirette). Le informazioni di questo tipo, semplicemente clusterizzate, possono poi a loro volta intrecciarsi con informazioni (magari della stessa base di utenza) ma su tutt’altro argomento. Per cui nuova informazione e nuovi metodi di aggregazione della stessa.

Fammi qualche esempio.

L’esempio più banale, per dire, è scoprire, in base alla frequenza dei tag usati per categorizzare i film, quale genere piaccia di più o più sia visto: thriller al primo posto, amore al secondo. Questo tipo di informazione emerge “da sola”. Inoltre in questo modo posso creare un sistema che mi permetta di raggruppare persone con gusti simili, persone che guardano cioè spesso lo stesso tipo di film (usando la loro frequenza sui tag per esempio). Tutto questo, fintanto che non si sa come le persone useranno i tag sul tuo sito (e se li useranno) è difficilmente progettabile.

Secondo te quanto il web 2.0 è una questione tecnologica e quanto un processo sociale e culturale? Perchè sta prendendo piede proprio ora?

Direi che è una questione sociale favorita da eventi tecnologici. Il fatto che si parli di social network, per esempio, è di per sé emblematico. Direi invece che questo fenomeno stia prendendo piede ora perché le tecnologie che permettono questa fusione-cyborg tra uomo e rete iniziano a darci questa possibilità. È però ancora presto, prestissimo, per capire la portata di questa estensione. Saràtutto più semplice, quando ci potremmo togliere di torno questi cavi, così obsoleti.

La portata è anche una portata economica? È possibile fare soldi con i servizi del web 2.0 o si tratta solo di una nuova possibilità di scambio e comunicazione?

Beh, in questo senso è come chiedere se si fanno soldi costruendo strade. Si stanno creando le basi per un concetto di utilizzo della rete più “normale”, meno “altro”. Il giornale non è un pezzo di carta ma è un media assai più pervasivo. Come dicevamo prima, la faccenda è al momento in divenire e anche grossi player si trovano ancora in difficoltà nello stabilire un business model vincente o almeno autosufficiente. Dunque suggerisco ottimismo dato che quello che vediamo non potrà scomparire solamente perché non trova sostentamento economico. Sarà l’economia a doversi riadattare alle nuove regole della comunicazione. Per il momento, occorre pagare lo scotto di essere un po’, passami il termine, i pionieri.

Negli Stati Uniti però i servizi web 2.0 esistono da anni e qualcuno sta iniziando a monetizzare. In Italia pensi sarà possibile? E se si, con le stesse modalità?

Il problema, in questo caso, è la dimensione della base di utenza, credo. Pensare un business model in Italia, su queste tecnologie, è un po’ difficile. Rimangono ovviamente sempre le solite possibilità: pubblicità, vendita dei dati, account pro a pagamento, ma ho la sensazione che in Italia il numero di potenziali clienti sia ancora troppo basso. Una possibilità, proprio nell’ottica web 2.0, è tuttavia quella di generare interesse condividendo in maniera intelligente i dati che si generano. Per esempio, potrei creare un servizio che interessa sia la persona comune (e che genera contenuto quali tag, recensioni, valutazioni, eccetera), sia piccole o media società commerciali, che investono economicamente sul servizio. Il vino, per esempio, è un ottimo candidato: si possono usare i pareri degli utenti per aumentare il “rating” del sito, in modo da attirare sponsorizzazioni. Ovviamente finché gli utenti sono pochi e pigri ciò è difficile.

O per aggregare informazioni utili a terze parti, come i produttori di vino…

Sì e così ti ho svelato la mia prossima idea.

Che cosa sta cambiando invece nel modo di proporre servizi sul web? Penso ai cicli di rilascio del software, all’apertura delle Api, all’utilizzo di standard, alla possibilità di esportare ed importare dati in applicazioni concorrenti.

Sono assolutamente convinto dell’importanza di questi cambiamenti e di questo si sta accorgendo anche Microsoft. I formati aperti e la massima agilità nella comunicazione stanno per esempio diventando un imperativo assoluto. Le tecnologie proprietarie, quelle che creano lock-in, sono sempre più guardate come cancri da eliminare. Altro discorso è quello del ciclo del software. Si va sempre più verso le tecniche agili o estreme, ovvero tecniche che non solo non subiscono, ma favoriscono la continua modifica dei requisiti. Come sappiamo, uno dei motti del web 2.0 è il go beta – release often, ovvero rilasciare prima possibile qualcosa da far provare agli utenti, per poi lavorare sempre a cuore aperto.

Come è possibile andare verso questa direzione di dinamicità, apertura e attenzione alla qualità in Italia? Più cicli di sviluppo non significano costi maggiori per le aziende?

In Italia la software house standard è ancora pensata come una struttura molto tradizionale, con quadri dirigenziali vecchio stampo. Questo comporta una situazione che è esattamente l’opposto di quella del web 2.0, ovvero una non-dinamicità, una paura del rilascio.

Come fare un passo in avanti in tal senso?

Dando la possibilità ai giovani di 20/25 anni di creare attività produttive moderne. 4 o 5 persone molto preparate che producono software la cui qualità si assesta nel tempo. Al momento i giovani di quell’età non hanno minimamente intenzione di creare un’attività. Quello che cercano è un lavoro fisso. Ho insegnato in alcune classi di giovani di 20/23 anni e ti assicuro che è un po’ desolante.

Che cosa possono fare invece le aziende oggi sul mercato? Come posso cambiare internamente sulla scia dei principi del web 2.0?

Investendo sulla comunicazione e creando siti che non siano solo una vetrina con tante mani che si stringono, pay-off tutti uguali o filmati in Flash. È inoltre importante investire, anche poco, nello sviluppo interno di progetti (penso ai wiki o ai blog aziendali, per esempio). Fare in modo di usare Internet come strumento di lavoro senza limitarsi solamente all’utilizzo di Google e alle email. E infine richiedere consulenze. Sembra una battuta, ma in realtà è anche vero che i boss non sono capaci di misurare la loro limitatezza.

Allora, in concreto, che cosa serve per accrescere la consapevolezza delle aziende italiani e degli stessi operatori del settore sulle opportunità introdotte dai nuovi strumenti del web? Per esempio, se ne parla abbastanza?

Concretamente, serve creare la cultura di questi strumenti, capire che non si tratta di “sofware che si compra”, ma di veri e propri approcci più orientati alla Rete, intesa non solo come Internet ma anche come interrelazione tra le parti. Ho frequentato tutti i BarCamp che si sono tenuti in Italia, ma per ora non ho visto nessuno che potesse sembrare un manager di qualche azienda curiosare nei dintorni o fare domande o interviste per cercare di capire che cosa succeda. Il problema è: come interessare a qualcosa qualcuno che non è interessato? È difficile dimostrare la bontà di uno strumento, che non è un software dove clicchi e “funziona”. Non puoi andare da un manager e presentare il web 2.0, quando poi egli ti dirà “Ah web 2.0? Gmail!” (se va bene).

Esistono esempi di servizi particolarmente interessanti e innovativi in Italia a tuo avviso? Qualche nome?

Mmh. Domanda di riserva?

Però tu stai realizzando delle idee per nuovi servizi. Credi quindi ci sia qualcosa si possa fare. Giusto?

Un bel servizio, anche se è comunque limitato alla sfera blog, è Blogbabel. Quello che mi dà ancora l’entusiasmo necessario è proprio il credere che in questo momento occorre mettere un piede tra lo stipite e la porta. In Italia per questi servizi siamo ancora, credo, in una sorta di far west. Ognuno può farsi una casa dove vuole, senza chiedere il permesso a nessuno. Quando penso ad un servizio raramente mi chiedo: ma esisterà già?. L’e-commerce, secondo me, sta per avere una seconda giovinezza. Gruppi d’acquisto, produttori locali, slow food sono tutte realtà, anche economicamente interessanti, che potrebbero largamente beneficiare dei nuovi servizi del web 2.0.

Invece come vedi il mercato fra 5 anni? Si sarà consolidato? Il web 2.0 sarà per esempio patrimonio comune anche all’interno delle aziende?

Non so se sarà sufficiente il web 2.0 a dare un’accelerata importante a tutta la questione dell’adozione delle nuove tecnologie. In Italia il mercato delle telecomunicazioni ha ancora troppi limiti, sia economici, che burocratici e legali. Se guardo indietro a 5 anni fa, non vedo un gran cambiamento. Non conosco la realtà e il mercato che non sia italiano, per cui non so bene come potrà essere lo sviluppo altrove. Una cosa che in 5 anni spero si possa verificare in Italia è un ampliamento del rapporto dello Stato con il cittadino. Spero tanto in sanità 2.0. Qualche cambiamento strutturale non ci sarà prima dei 10 anni, credo.

Per chiudere come vedi Scrive.it, le tue altre iniziative ed il tuo ruolo fra 5 anni? Diventerai una sorta di social web architect?

Spero, in questo tempo, di metter su (o entrare a far parte di) un team di volenterosi entusiasti e di creare un network di siti di questo tipo che magari possa permettermi di viverci. Non ti nascondo che l’idea di essere un architetto sociale non mi dispiace affatto. Spero anche nelle consulenze da poter dare ad alcune delle aziende di cui si parlava prima.

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