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Le affissioni personalizzate di Mini

23 Febbraio 2007

Le affissioni personalizzate di Mini

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Se guidi la popolare utilitaria BMW e hai il portachiavi Rfid, negli Stati Uniti i cartelloni pubblicitari pubblicano messaggi su misura per te

Immaginatevi la scena. Bella giornata. Aria tiepida che vi scompiglia i capelli mentre guidate la vostra macchina scoperta. A lato dell’autostrada i soliti cartelloni pubblicitari. Uno in particolare, con un grande display. Vi aspetta al varco e quando vi avvicinate, il messaggio cambia e compare: «Salve Roberto. Bella giornata per guidare col tetto abbassato». Oppure: «È uno di quei giorni che dovresti passare in barca a vela». O ancora: «Perchè non telefoni a Stefania e la porti a fare un giro?». E magari vi fa pure gli auguri di buon compleanno.

Se vi chiamate Roberto, vi piace andare in barca e la vostra compagna si chiama Stefania, penserete di trovarvi a Washington nel 2054 e di essere entrati nel fantastico mondo di Minority Report, il film di fantascienza che forse più di ogni altro ha saputo darci un’immagine del futuro della comunicazione personalizzata. Oppure, molto più probabile, siete a San Francisco nel 2007, state guidando una Mini e vi hanno dotato di un portachiavi Rfid (con il vostro consenso).

L’affissione che vi parla in modo personalizzato (ma solo se appartenete all’esclusivo club dei possessori statunitensi di Mini) è l’ultima iniziativa di BMW, che sta esplorando in questo modo nuove strade di creare buzz, tribal feeling, viral generation (e aggiungete pure le altre marketing buzzword che più vi sembrano adeguate).

Oltre 4.500 proprietari della leggendaria macchinetta sono stati infatti reclutati nei meandri della Rete, in quelle oscure chat room frequentate da proprietari e appassionati della piccola autovettura, e coinvolti in un programma di tecnomarketing. Hanno accettato di rivelare i propri piccoli segreti al marketing aziendale (o almeno di passare un po’ di informazioni personali), attraverso la compilazione di un questionario posto sul sito web dell’azienda. Tra i dati richiesti, nome, professioni, passatempi preferiti, soprannome della propria automobile (pare sia infatti abbastanza diffuso tra i possessori di Mini l’uso di affibbiare al veicolo un nomignolo).

In cambio, i guidatori hanno ricevuto un portachiavi, personalizzato attraverso l’inserimento del solito, diabolico, chip Rfid – quel piccolo circuito elettronico che strilla la nostra identità attraverso onde radio di corta portata. L’esatto opposto del concetto di privacy.

Contemporaneamente, oltre ad immettere i dati degli happy few in un database, l’azienda bavarese ha provveduto a installare grandi cartelloni pubblicitari a San Francisco, New York, Chicago e Miami, dotandoli di un gigantesco display e di un sensore in grado di rilevare l’avvicinarsi di uno dei guidatori “schedati”, in modo da permettere al sistema di riconoscere il bersaglio da 150 metri di distanza, predisporre un simpatico messaggio personalizzato e emetterlo. Gratificando così il target specifico della comunicazione e facendo sapere al resto del mondo che uno degli happy few Mini sta transitando nei paraggi.

Il concetto strategico della campagna è infatti totalemente basato sulla particolare personalità del target Mini (o sull’immagine che Mini vuole dare di sé… ma chissà se è nato prima il branding o il consumatore che ha uno stile di vita compatibile con quella marca).

La chiave di volta è la generazione di quel caldo senso di affetto e riconoscenza derivante dallo scoprire che l’azienda cui hai cacciato un pacco di dollari (tra i 18.000 e i 26.000) ti parla, si ricorda delle tue preferenze e racconta al mondo i trivia della tua vita. Con una strizzata d’occhio ammiccante, coerente con il posizionamento un po’ irriverente che la Mini ha adottato negli Usa sin dal suo lancio americano del 2003 e che ha contribuito non poco al suo successo. In un mercato infatti, dove le cilindrate si misurano a litri e le carrozzerie in metri, una macchinetta formato tascabile non solo non ha causato l’ilarità generale ma è pure riuscita a vendere 40.000 vetture all’anno. E vedremo cosa succederà ora con l’arrivo della seconda generazione della piccola vettura tedesca.

Vedremo poi anche il futuro del progetto di comunicazione basato sui cartelloni a messaggio variabile e su misura: un primo test sarà la resistenza del sistema a tentativi di hackeraggio dai risultati potenzialmente intriganti («Il signore con la Mini rossa in seconda fila ama travestirsi da donna e farsi frustare con un pollo di gomma»).

Il test decisivo per il futuro della campagna sarà la valutazione dei risultati ottenuti in termini di brand image e di altri “intangibili” della marca, e dell’accettazione da parte del pubbilco di questo sistema. Per ora, i cartelloni che ci riconoscono resteranno operativi un anno, e poi si vedrà se azzerare il programma, ripeterlo o coprire il mondo con affissioni che sanno chi e cosa siamo (a condizione che si guidi una Mini).

Mini non è nuova a iniziative di comunicazione ad alta visibilità negli Usa (basti ricordare le vetture piantate sulle gradinate dello stadio di football come se fossero spettatori, in un’indimenticabile esibizione di Guerilla Marketing – per nulla low cost). Anche quello dell’affissione personalizzata è indubbiamente un progetto di comunicazione ad alto impatto, forse troppo: non poche amministrazioni statali e locali si stanno infatti preoccupando delle capacità di media sempre più interattivi e creativi di attrarre l’attenzione del guidatore sul messaggio, distraendola dalla carreggiata e dal traffico circostante.

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