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Il podcasting salverà le star della radio?

31 Ottobre 2006

Il podcasting salverà le star della radio?

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Le radio libere, quelle libere veramente, fatte di entusiasmo, passione, amore per la musica e voglia di sperimentare. Poi il boom economico, accompagnato da emittenti redditizie, dj stipendiati, innovazioni tecniche e la necessità commerciale di correre pochi rischi. Ora la tecnologia sembra riaprire il discorso

Non so se vi siete mai trovati a parlare di radio con un qualcuno che è stato davanti al microfono negli anni ‘70/‘80. Beh, che sia ancora un professionista dell’etere o semplicemente un ex speaker dilettante della radio di quartiere, è probabile che a un certo punto abbia tirato fuori un tema che sembra essere caro a tutta la categoria: la nostalgia per i tempi in cui “ci si portava i dischi da casa”. Lo so, potrebbe sembrare un classico “si stava meglio quando si stava peggio” in salsa radiofonica, ma spesso è un sincero rimpianto per gli anni in cui le radio erano libere, ma libere veramente: da certi schemi, da certe costrizioni, ma soprattutto da certe logiche aziendali.

Per molti anni la radiofonia in Italia, in particolare quella privata, è stata un’attività caratterizzata da entusiasmo, passione, amore per la musica e voglia di fare, affiancati da pochissima programmazione, scarsa attitudine al ritorno economico, bassissima selezione all’ingresso. Le prime radio private partivano con pochi mezzi e un background di esperienze praticamente inesistente: le porte erano aperte, spesso spalancate, a chiunque avesse voglia di fare e la necessaria faccia (o meglio voce) tosta. Qualunque proposta, musicale o artistica, poteva fare breccia presso gli improvvisati direttori artistici delle emittenti.

Appassionati di generi musicali di nicchia, aspiranti conduttori, comici o giornalisti potevano presentarsi e proporre un programma o una rubrica. A furia di bussare prima o poi qualcuno li avrebbe fatti entrare. Tanto di pagare i conduttori e i dj esordienti (ma non solo) non se ne parlava, un angolino nel palinsesto, magari di notte o nel fine settimana, lo si trovava sempre, e un tizio qualsiasi che andava in diretta e in voce era comunque meglio del “bobinone” di sola musica che si usava per coprire i buchi del palinsesto.

Più Pc, meno dj

Ma le cose erano destinate a cambiare. Tra gli anni Ottanta e i Novanta, anche in Italia alcune emittenti radiofoniche, nazionali ma anche locali, cominciarono a diventare realtà in grado di fatturare cifre consistenti, iniziando di conseguenza a stipendiare conduttori e dj, investendo in frequenze e tecnologia. Per molti era un sogno che diventava realtà: la passione si trasformava in un mestiere, il passatempo in una scelta di vita, la bizzarra avventura in una posizione stabile e spesso ambita all’interno dello show-business. Ma ogni medaglia, anche la più luminosa, ha il suo rovescio. Trasformare una scommessa in una fonte di guadagno vuol dire anche ridurre i rischi, aumentare la pressione di chi deve intrattenere senza rischiare di perdere ascoltatori e, di conseguenza, sponsor e inserzionisti.

Ad un certo punto nell’Fm nostrana è stato tutto un fiorire di radio che trasmettevano solo grandi successi, i più grandi successi, il meglio del meglio, il successo più successo. Una pletora di emittenti animate da voci inappuntabili, ma soprattutto da tanta musica con meno interruzioni possibili (pubblicità esclusa, ovvio), palinsesti studiati non tanto per coinvolgere ed esaltare quanto per non disturbare, per accompagnare, per fungere da sottofondo discreto a quante più persone possibile. S’innalza il livello di professionalità, si abbassa quello di rischio. I primi a farne le spese sono stati i programmi più sperimentali e fuori dagli schemi, quelli dedicati ai generi musicali di nicchia, quelli tenuti da esordienti e da personaggi fuori dalle regole più consolidate della radiofonia. Via la musica meno radiofonica (termine trasformato in un sinonimo di “orecchiabile” o meglio “facile”), via gli accenti, via le incertezze, via, se possibile, l’improvvisazione.

A modificare la radio in questo modo non era solo la voglia di aziendalismo, ma anche l’innovazione tecnologica. Con la diffusione dell’informatica, anche una piccola emittente poteva permettersi un sistema di regia computerizzata, ed ecco che la volonterosa mano d’opera costituita dai dj esordienti perdeva valore: si prendono i brani di maggior successo, si inseriscono un Pc e si programma l’apposito software a trasmettere la giusta miscela di pezzi vecchi e nuovi, italiani e stranieri, di quel gruppo e di quel cantante, ovviamente intervallati, senza possibilità di ritardi, da jingles e spot pubblicitari. E così, mentre la qualità tecnica della radiofonia si alza, mentre la radio torna di moda e coinvolge grandi investimenti, grandi nomi e personaggio, il panorama in Fm si omologa e si appiattisce, e viene a mancare quella grande palestra aperta a tutti, che ha sfornato grandi talenti e buona parte dei nomi che ora affollano i palinsesti dei grandi network, ma anche delle Tv nazionali.

In diretta dalla mia cameretta

Ma la tecnologia toglie e la tecnologia dà, ed è a questo punto che va in onda Internet. Con la diffusione di connessioni più stabili e veloci, di nuove piattaforme e software semplici e gratuiti come Shoutcast, gli appassionati e gli amatori si sono riappropriati della radio, nella sua versione web. Come agli inizi delle radio libere, l’entusiasmo e pochi soldi bastano per iniziare. In fondo è richiesto solo un Pc, una connessione a Internet, cuffia e microfono: dotazione che spesso si ritrova in casa persino chi di non è un grande appassionato. Così sono nate come funghi emittenti web dedicate ai generi più disparati, dirette dal salotto di casa, giga e giga di Mp3 messi in ascolto, a disposizione di chiunque dimostri di gradire.

Ma all’inizio la mania della web radio è stata quasi esclusivamente musicale, riproducendo solo in parte quel furore, quel fervore e quella ricchezza che caratterizzarono le neonate radio private. Perché trasmettere su Internet è semplice, ma alle emittenti online mancano numerosi ambiti di ascolto delle stazioni tradizionali: una web radio si ascolta solo davanti a un Pc connesso a Internet, e quindi non si può sentire in auto, in bicicletta, facendo jogging, in spiaggia, sul luogo di lavoro… privata della mobilità che ha reso grande la mamma in modulazione di frequenza, la webradio stenta a decollare, e frustra le ambizioni di molti dj in erba, che si ritrovano privi di quei numeri e di quel contatto con vari tipi di ascoltatore che sono il sale di molta radiofonia.

Mancava ancora un passo, mancava ancora un aiuto dalla tecnologia: mancava il podcasting. Sì, perché se la difficoltà da parte degli amatori e delle loro emittenti domestiche di mettere in piedi un palinsesto consistente limita il numero dei potenziali ascoltatori e confina le trasmissioni nelle fasce orarie periferiche (nelle quali sia l’aspirante dj che l’aspirante ascoltatore possono trovarsi davanti al Pc), la possibilità di catturare lo streaming e metterlo a disposizione dell’ascoltatore indipendentemente dall’orario di trasmissione abbatte molte barriere e allarga a dismisura il pubblico. Non solo: il sistema podcasting, che prevede un ascoltatore “attivo”, che si abbona ai vari programmi e riempie il proprio Pc o il proprio lettore Mp3 di programmi radiofonici da ascoltare quando desidera, aiuta ancora di più il web-dj, che non deve più mettersi in competizione con una radio tradizionale, ma con i singoli programmi.

Il curatore del podcasting può concentrarsi sulla qualità e sull’originalità del suo prodotto, e metterlo online quando può. Sarà l’utente a costruirsi il proprio palinsesto ideale, mettendo insieme i pezzi più interessanti e le voci più amate. In questo modo ritorna la palestra ideale per conduttori, dj, giornalisti. Liberi dalle pressioni degli sponsor o dei direttori della programmazione, possono debuttare, mettersi alla prova, prendersi le proprie responsabilità. Fallire o riuscire, divertirsi o ambire.

Il podcasting e la radio ideale

Ma lo sviluppo del podcasting potrebbe influenzare la radiofonia del futuro non solo indirettamente, trasformandosi nel vivaio che una volta era costituito dalle radio private, ma anche restituendo all’originalità e alla creatività spazi che sembravano chiusi. Dopo una prima fase in cui in cui le radio sono sbarcate sul web usandolo semplicemente come un ripetitore senza limiti territoriali, trasmettendo in streaming quello che va già in onda in Fm, in un futuro potrebbe essere la Rete a influenzare i palinsesti e le scelte strategiche della radiofonia tradizionale. Immaginate una ragionevole diffusione del podcasting, con un numero sempre maggiore di utenti in grado di scegliere “pezzi” delle varie radio, per costruirsene una ideale, e plasmare l’enorme mole di trasmissioni in base a esigenze, gusti e disponibilità di tempo. La scelta dei grandi network di omologarsi su top 40 molto simili, di insistere sul medesimo target di “giovani-adulti” con potere d’acquisto, di creare un flusso musicale più attento a non disturbare che a esplorare, potrà rivelarsi vincente per un pubblico di podcaster e navigatori?

In un web in cui musica e video sono sempre più disponibili, sono ancora attraenti radio che trasmettono i successi più successi del momento (che posso avere quando voglio sul mio telefonino) o c’è forse bisogno di riscoprire la missione originale del dj, di quel personaggio che naviga nella marea di novità musicali disponibili per selezionarle e proporle all’attenzione di chi ha meno tempo e più necessità di filtrare le informazioni? Non a caso le prime radio a buttarsi nel mondo del podcasting sono state quelle poche che non si sono piegate completamente alla moda del flusso musicale accompagnato da voci neutre e notizie curiose (quelle notizie che il popolo del web conosce tramite mille fonti che non sono la radio), quelle che hanno mantenuto nel palinsesto alcuni programmi in grado di offrire una cifra stilistica riconoscibile, un prodotto, musicale o informativo, valido a prescindere dal momento della giornata in cui lo si ascolta.

È la rivincita dei dj di frontiera, dei giornalisti che fanno approfondimento, di chi ha scelto di presidiare territori che la radiofonia di massa a deciso di abbandonare in favore di praterie più comode e meno rischiose. È il momento di investire su programmi che, indipendentemente dall’orario della messa in onda originale o della copertura territoriale dell’emittente che li produce, possono risultare appetibili per tutta quella gente che ha scelto di intrattenersi ed informarsi con i file contenuti nei propri ipod e player Mp3. Potrebbe essere una grande rinascita dell’originalità, della creatività e della ricerca applicata al mezzo radiofonico. Una canzone di successo degli anni ’80 profetizzava che la tv avrebbe ucciso le star della radio. Sono passati più di venti anni, ora tocca ad internet cercare di riportarle in vita.

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