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Guarda mamma, senza mani!

22 Settembre 2006

Guarda mamma, senza mani!

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La telepatia elettronica per controllare mentalmente computer e dispositivi elettronic, sembra essere a portata di mano. Anzi, niente mani: basterà metterci la testa

Io sono, è cosa nota, un fervente sostenitore dell’Internet mobile, dell’accesso in Rete su device portatili. Da sostenitore incondizionato devo però arrendermi di fronte all’evidenza dei suoi limiti, legati non solo al tema degli esorbitanti costi di accesso, ma anche alle limitazioni fisiche dei device che utilizziamo. La potenza dell’Internet Mobile sta nel poter essere tenuto in tasca, usato con una sola mano, consultato mentre camminiamo o mentre siamo in un negozio per poter subdolamente comparare i prezzi.

E se anche i dispositivi palmari stanno imboccando la strada di schermi di qualità e dimensione sufficienti per un ragionevole uso del web, resta – letteralmente – il tasto dolente del dispositivo di input Qwerty. La tastiera (e i sostitutivi del mouse) sono infatti il limite forse più forte per uno spigliato uso di Pda e simili, come ben sa chi usa le microtastiere incorporate nei Pda. Tastiere esterne, IrDA o Bluetooth da collegare ai palmari sono una buona soluzione (ne uso spesso una) ma richiedono una superficie solida e stabile, precludendone l’uso in fase di deambulazione metropolitana.

Se ci pensiamo bene, la tastiera è solo un intermediario tra la nostra mano e il cervello del palmare. E la mano un intermediario tra il nostro cervello e la tastiera. In un’ottica di disintermediazione si sta quindi studiando di saltare questi passi intermedi e di cortocircuitare le correnti elettriche dei nostri neuroni con quelle del microprocessore. La ricerca in questo campo (per molti aspetti sponsorizzata dai militari, ricordate l’esperimento dei neuroni di topo che facevano volare un F-14?) sta prendendo una piega sempre più civilizzata e prossima all’implementazione operativa sul campo. L’obiettivo è quello di poter permettere al nostro cervello di controllare direttamente il dispositivo: una straordinaria innovazione in termini di libertà e qualità di vita per molti disabili, un’ulteriore “recupero di efficienza” per gli executive dal minuto contato, un salto di qualità per i gamers hard core.

La punta più avanzata della ricerca è oggi rappresentata dalla sperimentazione condotta dalla Brown University, istituto in cui è stato impiantato un piccolo dispositivo all’interno del cervello di un quadriplegico di 55 anni. Questo gadget è in grado di “leggere” le correnti elettriche e ritrasmetterle all’esterno sotto forma di segnali. Con questo impianto bionico, il paziente è riuscito (in tempi molto rapidi) a controllare il movimento de cursore sullo schermo di un Pc, a gestire un braccio robotico, usare videogiochi. E, cosa forse di maggiore utilità pratica, a fare zapping sul televisore (video).

Se per ora si tratta di un primo passo importante, ma confinato nell’ambito della ricerca, è facile intravedere un futuro ricco di affascinanti prospettive per i neurodevice, apparati che si interfacciano con il sistema nervoso; partendo da un iniziale impiego in persone affette da problemi al midollo spinale o al cervello, per arrivare un domani a uno scenario dove forse tutti ci metteremo in testa un ‘idea meravigliosa (non sopra, ma proprio dentro).

Secondo i ricercatori, il chip in testa già oggi potrebbe permetterci di scrivere alla velocità di 15 parole al minuto (più o meno quello che riesco a fare sul mio Treo quando scrivo gli articoli in metropolitana) – figuriamoci quello che potrebbe fare tra qualche anno, visto il tipico trend esponenziale di sviluppo delle tecnologie… anche se tremo al pensiero di permettere all’umanità di poter scrivere le cose alla velocità con cui le pensa. Coniugando infatti la velleità logorroica di molti produttori di contenuto/blogger/editorialisti e la scarsa propensione a pensare prima di parlare – dimostrata dalla maggior parte della popolazione mondiale – c’è da domandarsi se sia davvero un bene permettere di scrivere alla velocità del pensiero.

Comprensibilmente, il potenziale di mercato per soluzioni che prevedano un’operazione neurochirurgia potrebbe rivelarsi un tantino limitato. All’orizzonte si affacciano, per nostra buona sorte, proposte meno invasive. Sony ha già depositato un brevetto (per uso videoludico) di un dispositivo in grado di trasmettere sensazioni dal device al cervello, di evocare immagini, suoni, odori attraverso l’uso di segnali ultrasonici. L’Università di Tubinga sta d’altra parte lavorando al processo inverso, ovvero usare una serie di sensori cutanei per controllare un dispositivo senza bisogno di infilarci roba in testa alla Johnny Mnemonic.

Si approssima dunque un futuro in cui andremo in giro attrezzati di un elegante rete di elettrodi posti in testa – possibilmente mimetizzati in una retina da vamp anni ’20 o da un impeccabile Borsalino biodigitale (immaginate il mercato per i creatori di moda). Potremo permetterci di colloquiare con i nostri gadget e computer senza bisogno di muovere fisicamente alcuna parte del nostro corpo. Bloggeremo camminando, consulteremo il web giocando a ping pong, chatteremo telepaticamente con l’amante mentre ascoltiamo la fidanzata noiosa… le possibilità sono infinite. Quanto a me ho una paura tremenda che nessuno mi staccherebbe più da Word of Warcraft mentre faccio finta di ascoltare contrito le rimostranze della mia commercialista.

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