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Il robot cammelliere contro lo sfruttamento

31 Agosto 2006

Il robot cammelliere contro lo sfruttamento

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Per liberare i bambini impiegati come fantini nelle corse dei cammelli, sta arrivando un fantino robot. Ma dei bambini, che ne sarà?

Nei paesi del Golfo, le corse dei cammelli sono uno sport importante, tradizionale, apprezzato dalle classi più benestanti e dalle famiglie regnanti. Purtroppo però, per una evidente legge fisica, quanto meno peso debbono portare gli animali tanto più velocemente possono correre: e per questo motivo, sempre tradizionalmente, si impiegano bambini come fantini. Per di più bambini importati dall’estero (se non proprio rapiti), spesso di quattro anni o poco più, troppo spesso trattati poco umanamente – quando non tenuti in schiavitù da padroni per nulla umani.

Era dunque inevitabile che, di fronte a una situazione che vede decine di migliaia di bambini sfruttati in questo modo, gli attivisti dei diritti umani si mobilitassero per cambiare la situazione. E la loro azione è stata utile: il Qatar, ad esempio, ha recentemente proibito l’uso dei bambini-fantini, vietando l’impiego di giovani minori di 16 anni e 45 chili di peso (per evitare il ricorso alla denutrizione competitiva). Oman, Arabia Saudita e altri paesi seguono su questa pista.

Ma lo spettacolo deve continuare, e i cammelli correre veloci con poco peso sulla groppa. A questo scopo i vertici del Qatar hanno a suo tempo individuato nella soluzione robotica la strada per salvare bambini e cammelli e, con il coordinamento della Qatar Industrial Development Bank, è stato definito l’obiettivo del progetto: sviluppare un robot in grado di avere la velocità, il peso, l’aerodinamica necessaria per sostituire completamente un bambino in groppa a un cammello. il progetto è stato assegnato a una piccola società svizzera di robotica, la K-Team, che in pochi mesi di duro lavoro e con un investimento di oltre un milione di dollari ha tradotto in realtà il fantino cammelliere.

Il robot, in grado di affrontare le elevate temperature desertiche, pesa poco più di 25 chilogrammi, è alto una sessantina di centimetri e ha un costo accessibilissimo: poche migliaia di euro al pezzo (contro le centinaia di migliaia di euro di valore di un buon cammello corridore). Costruito antropomorficamente (ma solo a metà: è privo infatti degli arti inferiori, inutili per la guida di un cammello da corsa), è in grado di brandire un frustino con cui incentivare l’animale e di reggere le redini con l’altra mano, il tutto coordinato da un processore Linux-powered che gestisce anche la telemetria (del cammello) e completato da un ricevitore Gps.

Per quel prezzo, però, non aspettatevi un’intelligenza artificiale, una rete neurale o una capacità di decisione autonoma: il robot non è che un mero esecutore. Durante la gara, infatti, i cammelli verranno inseguiti da una pattuglia di fuoristrada (con aria condizionata), ognuno contenente il guidatore (dell’auto) e il guidatore (del cammello). Quest’ultimo, armato di un radiocomando, manovra la frusta e le redini con un joystick, potendo inoltre avere una lettura in tempo reale dei dati vitali del cammello.

Se tutto va bene si prevede che nel 2007 buona parte delle gare di cammelli nei paesi del Golfo potranno avere robot in groppa ai cammelli, aprendo un mercato di oltre 2.000 robot e un valore di alcune decine di milioni di dollari – sempre che i robot non evolvano. È invece prevedibile esattamente il contrario. Una volta diffusi nella loro versione base, è facile prevedere che i proprietari delle scuderie richiederanno robot sempre più sofisticati in grado di dare quel margine competitivo in grado di assicurare al proprio animale la vittoria sugli altri animali a tecnologia più bassa.

Tra le prossime evoluzioni in programma, la visione artificiale (una videocamera incorporata nel robot, che fornisce una visione soggettiva al guidatore remoto e volendo anche a una regia televisiva dell’evento) e il riconoscimento vocale, in modo che il fantino non venga solo stimolato dal telecomando ma possa anche essere orientato attraverso i consigli e gli improperi del guidatore (allo stato attuale i fantini bambini indossano un radiotelefono attraverso il quale possono essere adeguatamente indirizzati e motivati).

Si apre a questo punto un problema non tecnologico: cosa farsene dei bambini resi ridondanti dall’introduzione dell’automa. Il rischio, come spesso avviene in operazioni umanitarie superficiali, è che, una volta risolto il problema eclatante, ci si disinteressi delle conseguenze successive. Quello che pare stia già succedendo è che gli ex fantini vengono risbattuti a casa loro (spesso nel depressissimo Sudan) a morire tranquillamente di stenti, lontani dagli occhi dell’opinione pubblica che pensa invece di aver compiuto un’azione meritoria. Fortunatamente è stato raggiunto un accordo tra gli Emirati e l’Unicef, in virtù del quale i bambini rimpatriati godranno di un programma di aiuto biennale per rimettersi in salute e reintegrarsi nel paese d’origine. È da sperare che questo programma venga davvero posto in atto con l’impegno e le risorse adeguate: in caso contrario, come talvolta succede, un progresso tecnologico promosso per migliorare le condizioni dell’umanità potrebbe finire per ottenere esattamente il risultato opposto.

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