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L’Europa di qui a cinquant’anni

31 Luglio 2006

L’Europa di qui a cinquant’anni

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Quello europeo è il miglior esempio di ciò che potremmo definire continentalismo: un'unione non soltanto economica e politica, ma soprattutto psicologica e legata a nuove consuetudini. Ancor prima che multiculturalismo, è coabitazione pacifica all'interno di un mosaico nuovo. Sulla strada tra iperlocalismo e globalizzazione, l'interlocutore è la società civile

«Per essere un buon profeta», diceva McLuhan, «non predire mai nulla che non sia già accaduto». E per farlo in modo efficace, avrebbe aggiunto, basta soltanto osservare attentamente il presente. Ciò nonostante, 50 anni sono un’eternità. Specialmente se si considera che 50 anni fa l’Europa si stava appena riprendendo dalle ferite più orrende della sua storia. Eppure, esaminando il contesto più generale e le tendenze principali della geopolitica sin da quel periodo, potremmo decifrare la trama e azzardare una proiezione speculare: l’Europa è il risultato attuale e il miglior esempio di ciò che potrebbe essere definito continentalismo. Si tratta di uno stadio intermedio tra nazionalismo e globalizzazione: il continentalismo è un effetto dell’elettricità. È il mondo visto e condiviso via satellite. È anche grazie ai bollettini metereologici e agli sport trasmessi alla televisione che la coscienza europea ha potuto diffondersi. Per essere europeo, uno deve pensare europeo, e per farlo si deve avere presente, seppur vagamente, uno spazio geografico mentale che è rafforzato ogni giorno da notiziari e immagini del continente che mostrano l’Europa agli europei e ricollocano le nazioni in un’unica entità spaziale. A poco a poco, l’Europa si è sviluppata come un’entità geografica autonoma seguendo le orme dei satelliti e spingendo i propri confini fino agli oceani.

Le comunicazioni globali, ora accessibili persino alle fasce più indigenti grazie alla telefonia mobile, stanno lanciando il pianeta, Africa inclusa, in un massiccio cambiamento di scala. Superando qualsiasi frontiera, perfino quelle biologiche, l’elettricità sta facendo implodere il mondo su se stesso. L’elettricità è tanto nei nostri corpi quanto fuori di essi, nelle reti del mondo. Questo impulso all’integrazione sta portando le persone, i mercati e le culture all’interno di un unico ambiente di agende quasi autoregolanti e talvolta in contrasto tra loro. Il continentalismo sta accadendo ovunque: coinvolge non solo l’Europa ma anche altri continenti e ampie zone interconnesse. Nuovi attori politici come l’Asean o il Mercosur o il Nafta traggono beneficio sia dalla loro vicinanza sia dal presentarsi uniti sulla scena globale. È interessante notare come tali associazioni abbiano cercato di migliorare le condizioni economiche – e sociali – delle nazioni coinvolte, pur senza minacciare le identità locali. L’Europa, con il suo mosaico di culture e di lingue, è un esempio di formazione politica che non ha precedenti nelle nazioni, negli imperi o nelle colonie. Solo le religioni possono unire una tale diversità in una forma organizzata.

Il continentalismo non è solo una questione di economia, ma anche, e forse principalmente, una questione di psicologia. Forse più che un’entità politica, è un insieme di consuetudini, un modo di riconoscere e condividere o adottare uno stile di vita. Questa entità psicologica è un agente attivo. L’impatto del modello europeo sullo smantellamento dell’Impero Sovietico che ha avuto inizio a Berlino è un buon esempio di come una psicologia continentale possa accelerare il cambiamento persino in presenza di circostanze totalmente impreviste. Non sono state soltanto le persone a Est e a Ovest del muro di Berlino ad averlo abbattuto, è stata l’Europa. La sola pressione psicologica di un vicino così prossimo e così vasto ha dato avvio a un’imponderabile concorrenza di corrispondenze istantanee che hanno influenzato gli eventi e paralizzato la risposta sovietica. Lo stesso fenomeno è accaduto in Romania: sono state la pressione ambientale e la diffusione della psicologia europea a scatenare la rivolta contro Ceausescu e a integrare e assorbire velocemente il Paese. Fra cinquant’anni, la Russia sarà probabilmente del tutto integrata in Europa. Allo stesso modo, nel contesto attuale, l’Europa sta giocando un ruolo moderatore supportato dalla sua stessa massa critica (più di 450 milioni di persone) ma con la minima pressione militare. Proprio mentre impara a gestire tali frizioni senza il ricorso alla forza (a differenza degli Stati Uniti), l’Europa sviluppa una risposta flessibile più efficace e salutare che punitiva nei suoi rapporti con i Balcani internamente o con il Medioriente all’esterno. L’Europa placa i Balcani e smorza il conflitto iracheno attraverso la sua mera presenza e forse, grazie all’esempio della sua pazienza, convincerà infine i belligeranti che sarà meglio seguire il suo esempio e calmarsi.

Questo è ciò che l’Europa sarà ancora di qui a 50 anni, ma è quasi certo che il continentalismo porterà alla globalizzazione piuttosto che a un confronto tra continenti come era stato pronosticato da Orwell o, su un piano diverso ma comparabile, da Samuel Huntington nel cosiddetto scontro di civiltà. La domanda allora è quali sarebbero il posto, il ruolo e l’identità dell’Europa in un contesto amministrativo ed etico globalizzato? Le tendenze che si stanno definendo dell’Europa di oggi mostrano non solo che si sta chiaramente muovendo dal nazionalismo verso una vera integrazione continentale (pur considerando la competizione sviluppata da Inghilterra e Francia), ma anche che essa sta rapidamente imparando a passare da una presenza teorica all’universalismo («la democrazia siamo noi») a un multiculturalismo pragmatico.

L’Europa è uno studio del multiculturalismo e una coabitazione pacifica all’interno di un mosaico. È più vicina al modello canadese piuttosto che a quello statunitense del melting pot. Ma, in puri termini numerici e di diversità, deve rispondere a una sfida molto più grande che non il Canada. All’Europa si chiede di trascurare le barriere culturali, come si può vedere nel dibattito sull’entrata della Turchia nell’Unione. Ciò è sicuro che accadrà non appena turchi e greci si accorderanno sullo spartizione di Cipro su una base continentale piuttosto che nazionale. L’entrata a forza dell’Islam nell’Unione, oltre alla crescente presenza di turchi e nordafricani nei paesi europei, è giustificata dal fatto che la Turchia utilizza un sistema di scrittura non sacro. L’alfabeto romano introdotto da Kemah Ataturk è il ponte secolarizzatore che rende la Turchia traducibile in termini europei. Una volta che un paese a maggioranza musulmana sarà pienamente integrato nel panorama europeo, esso giocherà per il mondo il ruolo che la presenza francese sta giocando per il Canada: quello di stabilire e sostenere l’unità all’interno di un’entità geografica enorme attraverso un approccio autenticamente multiculturale. L’Europa farà un buon lavoro se continuerà a intrattenere e incentivare i legami con la Cina e con il mondo arabo, agendo da moderatore e introducendo il suo modello di sovrastruttura globale che non sarebbe né più né meno vincolante dell’Unione Europea, ma fornirebbe delle regole di gioco comuni a livello globale.

L’unica strada per il nazionalismo è di essere rimpiazzato dal regionalismo, se non dall’iperlocalismo quando lo Stato non sia più l’unica o la principale autorità corrispondente, ma laddove ce ne sia anche un’altra, sebbene di tipo diverso, a livello federale. Le decisioni che interessano un territorio devono essere prese per e dal territorio stesso, cioè a livello locale. In questo modo, le relazioni devono scavalcare il livello nazionale per raggiungere quello federale. Chi è dunque l’attore logico, a livello della gente? La società civile è il prossimo grande attore sulla scena politica, il primo a essere realmente proporzionato con il pianeta – e realmente distribuito. È costituita da attori locali interrelati a livello globale, operanti così attraverso sinergie distanti piuttosto che all’interno di formazioni gerarchiche. La società civile è l’interprete politico proteiforme e il portavoce delle decisioni che verranno alla fine prese a livello globale federale all’interno di un processo istituzionale probabilmente comparabile a quello che avviene oggi a Bruxelles e a Strasburgo. Con l’Unione Europea in qualità di prima entità politica a riconoscerlo ufficialmente, sarà più facile che gli europei assumano la guida nella definizione e nella promozione della società civile. In cinquant’anni, la società civile, un sistema di valori nato e cresciuto all’interno dell’esperimento europeo, sarà la figura politica principale del pianeta.

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