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Meo: «Naaw, la rete che si crea da sé»

14 Giugno 2006

Meo: «Naaw, la rete che si crea da sé»

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Da una collaborazione tra Politecnico di Torino e IPWorld nasce il Nuovo Apparato Autoconfigurante Wireless, una tecnologia per creare reti senza fili a basso costo: basta disseminare punti di accesso sul territorio per portare connettività ovunque. Angelo Raffaele Meo, direttore del Dipartimento di Automatica e Informatica del Politecnico, spiega come

Quello digitale, sta diventando un mondo definito nella sua struttura portante da due elementi (ex naturali): la terra e l’aria, digital version. Da una parte il cavo terrestre, potente e veloce, ancorato agli scavi e al cemento, capace di veicolare megabyte di informazioni con un semplice zip di fibra. Tecnologia potente, ma costosa. Dall’altra il wireless – senza cavo appunto, fatto d’aria – che più facilmente evoca il sogno di una connettività ubiqua e inavvertita, vera e propria commodity del cittadino digitale. Tecnologia magari meno potente ma straordinariamente pervasiva.

Terra e aria, cavo e wireless: partire dall’uno o dall’alto sembra quasi influenzare direttamente la discussione sul futuro delle tecnologie, e sulle sue priorità. Il cavo terrigno – e l’intricato non risolto dibattito sulla network neutrality lo dimostra – produce, in qualche modo, azioni di chiusura. Si progettano network di nuova generazione, con centri luminosi e velocità ottiche e strabilianti – e le grandi compagnie di telecomunicazioni chiedono, a risarcimento dei costi, una qualche forma di pedaggio per il passaggio dei contenuti che generano valore economico. L’aereo wireless, al contrario, ispira in genere tutt’altra progettualità: come fare a portare la Rete ovunque e a chiunque, in zone non coperte da banda larga, per esempio.

Una diversità solo concettuale, perché – ovviamente – tra cavo e wireless il rapporto è di necessaria simbiosi: il segnale wireless si propaga a partire, prima o poi, da una connessione via cavo. Il punto è semmai su cosa è meglio puntare, su quale elemento tecnologico scommettere per risolvere alcuni problemi della società digitale (e non). Per esempio: il digital divide, e la gestione delle emergenze. Due problemi che a pensare a come risolverli una volta per tutte c’è da mettersi le mani nei capelli – o nelle tecnologie. Eppure in molti ci hanno provato e ci provano: di recente diverse province italiane hanno finanziato grossi progetti di copertura di vaste porzioni di territorio con tecnologie WiMax. Jeff Jarvis, subito dopo il disastro di Katrina ha lanciato l’appello per un Recovery 2.0, perché il Web non era pienamente preparato a gestire emergenze come quella.

Forse meglio partire dal più piccolo, allora – da una tecnologia che crea le basi. Da piccoli singoli nodi che si parlano tra loro. Semplici, flessibili, poco costosi. Che riescano a fare rete. Forse è da questo che è partita l’idea, tutta italica, di N.A.A.W., acronimo che sta per Nuovo Apparato Autoconfigurante Wireless. Piccoli, e che fanno rete. La tecnologia, appena presentata, ha obiettivi ambiziosi: portare ovunque, senza limiti geografici o infrastrutturali, reti di comunicazione wireless che si configurano automaticamente. Tecnicamente si tratta di un dispositivo di tipo “network appliance” composto da access point basati su software open source, facilmente implementabili, in grado di autoconfigurarsi e “vedersi” tra di loro. Piccoli e solidi: 14×14 centimetri di base, per 2 centimetri di altezza, e senza parti interne in movimento. Installabili praticamente ovunque: arredo urbano, veicoli di ogni tipo ecc.

Tecnologiche molliche di Pollicino che trovano da sole la strada verso la connettività. L’idea è affascinante, Apogeonline ne ha parlato con il prof. Angelo Raffaele Meo, a capo del Dipartimento di Automatica e Informatica del Politecnico di Torino, che insieme alla finanziatrice IPWorld, impresa Hi-Tech con sede a Milano, ha progettato questa tecnologia dalle innumerevoli potenziali applicazioni.

A proposito di applicazioni, professor Meo, c’è, ad esempio, il problema del digital divide – cioè il gap infrastrutturale tra chi è dotato di connettività e chi ne è invece tagliato fuori. In Italia il 20% della popolazione vive in zone non coperte da banda larga, ma il cavo, a volerlo portare ovunque, costa.

Il cavo implica un investimento fisso, anche se, globalmente, porta più bit. Le soluzioni wireless, proprio perché si appoggiano all’etere, non hanno bisogno di investimenti iniziali molto grossi, e sono quindi particolarmente idonee all’installazione di reti in zone montane, per esempio – dove posare dei cavi può essere complicato ed è di sicuro molto costoso. Il N.A.A.W è una tecnologia pensata per essere il più possibile flessibile e adattabile alle varie situazioni, proprio perché non c’è una architettura standard. Non c’è un access point fisso a cui si collegano le diverse macchine. È una rete molto configurabile, che crea da sé la sua stessa infrastruttura, anche in situazioni disagevoli.

Viene in mente il recente caso dell’allagamento di New Orleans dopo il passaggio dell’uragano Katrina. Un caso in cui le infrastrutture di comunicazione si scoprono fragili: crollano, s’annacquano, s’infiammano, si rompono. Dopo pochi minuti, le reti di ogni tipo erano quasi tutte fuori uso, e le poche ancora attive incapaci di sostenere il flusso di informazioni necessario a coordinare le operazioni di soccorso.

Nelle situazioni che rendono di fatto inutilizzabili le infrastrutture di comunicazione fissa, un tipo di soluzione wireless risulta estremamente utile. Qualche volta l’unica fattibile.N.A.A.W. è in grado di operare in condizioni climatiche estreme, funzionare a batteria o, se serve, agganciarsi a un segnale satellitare per irradiare connettività. In più è progettata per bypassare automaticamente i nodi che eventualmente non dovessero funzionare. C’è stata una attenzione specifica, in fase di progettazione, per gli usi possibili in situazioni di emergenza diffusa. I risultati dei test da noi svolti sono molto confortanti, la banda trasmessa è notevole, così come la capacità che ha questa rete di configurarsi automaticamente e in pochissimo tempo.

C’è anche la possibilità che gli access point siano assemblati in case rinforzati e quindi disseminati tramite piccoli paracadute sul territorio.

Questa è una opportunità che può servire in molti casi. Basta un elicottero che getti a terra un po’ di macchine e poi queste macchine creeranno da sole una rete funzionante. Un’opportunità che può essere sfruttata dalla Protezione Civile, ma anche da Ong che lavorano in paesi dove, per esempio, le infrastrutture di rete non ci sono ancora. Oppure, una rete così ottenuta può servire al monitoraggio di acquedotti, valanghe, dissesti idro-geologici, vulcani ecc., portando la connessione laddove serve.

Oltre che a interlocutori istituzionali, N.A.A.W. si rivolge anche al consumatore finale. In questo caso il costo è un fattore importante per il suo successo…

Se un valore aggiunto è infatti la riconfigurabilità della rete, l’altro è proprio il costo. Usando software completamente open source, si riesce a risparmiare rispetto ai prodotti proprietari, intrinsecamente molto costosi. Un access point che costa mille euro, noi possiamo realizzarlo a meno di 200 – usando codice open source, e utilizzando soluzioni hardware a basso costo.

Hardware open-source, l’ha chiamato, in una intervista al Manifesto.

Basta intendersi. L’hardware è messo a disposizione di tutti sulla Rete – e però viene venduto, com’è logico che sia. Qualche volta gli schemi sono tutti disponibili, quindi è anche un hardware che si può liberamente riprodurre. Per ora noi usiamo prevalentemente dell’hardware di mercato di basso costo, ma in prospettiva pensiamo di puntare decisamente sull’hardware open source. Ad esempio, di alcune delle Cpu che usiamo sono noti gli schemi Hdl, e sono quindi a disposizione della comunità.

Ci sono dei limiti alla costruzione di questa bolla wireless con gli access point di N.A.A.W.?

L’unico è il campo di frequenze utilizzabile. Purtroppo a oggi è limitato. Noi vorremmo uno spettro aperto senza licenze, un open spectrum. Poter liberamente andare sull’etere e trasmettere ciò che si vuole trasmettere, rispettando ovviamente alcune regole generali. Questo è un discorso di prospettiva, per ora dobbiamo usare le frequenze che sono state lasciate libere dai comitati di standardizzazione, che non sono illimitate.

L'autore

  • Antonio Sofi
    Antonio Sofi è autore televisivo e giornalista. Consulente politico e sociologo della comunicazione, ha un blog dal 2003 ed è esperto di social network e nuovi media.

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