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I public media nell’era della partecipazione

22 Maggio 2006

I public media nell’era della partecipazione

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In un convegno ad Harvard si è discusso di come reinventare il broadcasting pubblico nell´era dei new media e del citizen journalism

«…Il pubblico vi è amico, il lettore è intelligente. Chi vi segue sta cercando di dare una mano. Vanno coinvolti nella conversazione». Questa la fotografia dell´attuale radio-tv pubblica statunitense, sintetizzata da Christopher Lydon, moderatore di uno dei panel tenutosi al recente Beyond Broadcast 2006. Un evento particolarmente succoso, centrato com´era sul tema dell´informazione pubblica alle prese con il magma digitale, ben illustrato dal sottotitolo: Reinventare i media pubblici nella cultura partecipativa. Svoltosi presso il Berkman Center for Internet & Society della Harvard Law School, il convegno si è infatti concentrato sulle opportunità che vanno aprendosi al mondo giornalistico con l´avvento di modelli innovativi basati sul web, tra cui podcast, video-blog, social network. Dove il punto cruciale rimane quello di (provare a) coniugare al meglio simili dinamiche onde creare un servizio pubblico più forte e vitale.

Non che una simile sfida non riguardi anche i grandi conglomerati privati alla Murdoch, anzi tutt´altro, ma il public broadcasting è considerato assai più responsivo alle esigenze dei cittadini oltre che tradizionale bene prezioso per la miriade di comunità locali sparse sul vasto territorio statunitense. Motivo per cui occorre evitare che «l´universo del public broadcasting rimanga un imbarazzo fatto di piccole nicchie», ha spiegato Jake Shapiro del Public Radio Exchange nella relazione d´apertura. Proprio l´eccessiva frammentazione dell´arena pubblica, insieme alla ricerca di business model nuovi ed efficaci, è stato al centro dei due giorni di dibattito che ha coinvolto programmatori, tecnologi, esperti di fianco a un nutrito gruppo di blogger, utenti e attivisti. Tra questi, Brendan Greeley (blogger-in-chief del programma Open Source del circuito Public Radio International) si è detto convinto che per sopravvivere i public media devono diventare sempre più simili alla blogosfera. «Questo è il ruolo dell´informazione pubblica, o almeno quello che dovremmo assumerci», ha sostenuto Greeley. «Prendere questo incredibile volume di contenuti, in parte affascinante, e trovare il modo di integrarlo nei valori della radio pubblica, che vuol dire cercare fonti originali, creare il contesto narrativo e presentarlo in modo che la gente possa farlo proprio e stabilirne la provenienza». Compito tutt´altro che semplice, ma che vanta già alcuni efficaci esperimenti sul campo. A cominciare dalla Minnesota Public Radio, maggior produttore di programmi all´interno del circuito nazionale NPR (National Public Radio) con quartier generale a St. Paul e un network regionale di 37 stazioni che oltre al Minnesota copre buone porzioni degli stati limitrofi, Wisconsin, South e North Dakota, Michigan, Iowa e Idaho.

Sotto l´egida del motto Share what you know (condividi quel che sai), da qualche tempo l´emittente ha dato concreto avvio all´integrazione del giornalismo partecipativo nella propria struttura tradizionale, grazie al progetto definito public insight journalism. «Abbiamo creato un database di ascoltatori disposti a fornirci informazioni, è il Public Insight Repository», segnala il dirigente Bill Buzenberg, facendo notare come quel database di ascoltatori-esperti comprenda già 18.000 persone. Spiegando che, ad esempio, se l´emittente deve preparare un servizio sull´assistenza sanitaria, per prima cosa contatta via email la lista di circa 900 professionisti e quant´altri coinvolti nel settore medico presenti all´interno di tale database. Dal gruppo arrivano prontamente centinaia di repliche, e almeno due redattori setacciano attentamente ogni email passando infine ai reporter le notizie giuste per costruire un servizio davvero ben fatto. «Questa è la rivoluzione in un rolodex» (sorta di agendina degli indirizzi in ufficio), conclude Buzenberg. Rivoluzione o meno, la pratica viene ampiamente utilizzata nei commentari radio, nei forum e altri ambiti online, in varie iniziative cittadine, nel costante sforzo di mescolare al meglio la voce del pubblico con la professionalità dei giornalisti in loco. Con il risultato di porsi sempre più come strumento fatto con e per la diversificata comunità che riesce raggiungere nell´etere radiofonico.

Analogo riscontro positivo sta ottenendo la sunnominata Open Source, una “conversazione” che va in onda quattro volte a settimana alla radio e “ogni volta che volete” sul relativo blog. Prodotta in collaborazione con l´Università del Massachusetts-Lowell, la trasmissione viene realizzata negli studi di WGBH Radio Boston da Christopher Lydon e Mary McGrath, i quali l´hanno concepita in modo da «invertire la tradizionale relazione esistente tra broadcast e il web: non siamo il programma di una radio pubblica dotato di una comunità web, piuttosto siamo una comunità web che produce una trasmissione radiofonica di un´ora. Ciò significa che facciamo affidamento su ascoltatori e a lettori – che David Sifry definisce “le persone già note come pubblico” – affinché ci aiutino a produrre il programma».

Ma pur con questi e altri pionieri ad aprire strade nuove, non mancano certo i problemi. A cominciare dalla situazione ben più complicata nell´ambito televisivo, dove la PBS (Public Broadcasting Service) per rimpinguare i risicati budget statali ha dato corpo a una vera e propria escalation di inserzioni pubblicitarie “trasversali”: non potendo accettare né trasmettere ufficialmente spot, si creano spazi ad hoc per sponsor e contributori vari. Pratica questa che, unitamente a una programmazione spesso troppo ammiccante alle news delle grandi reti private con cui deve comunque rivaleggiare, sta infastidendo non pochi “puristi” e facendo crollare gli indici di ascolto della PBS. Al cui interno, tra l´altro, il percorso dell´integrazione dal basso appare assai più lento e complesso. Lo stesso dicasi per la creazione di nuovi business model per i media pubblici che possano rinnovarsi per rispondere adeguatamente alle dinamiche innovative in atto: «Quasi tutti qui hanno presentato un modello basato o sulla beneficenza o sulla pubblicità. Francamente credo che abbiamo bisogno di modelli ben diversi», ha sottolineato Mark Cooper della Consumer Federation of America. E nessuno dei presenti alla Beyond Broadcast 2006 ha potuto dargli torto.

L'autore

  • Bernardo Parrella
    Bernardo Parrella è un giornalista freelance, traduttore e attivista su temi legati a media e culture digitali. Collabora dagli Stati Uniti con varie testate, tra cui Wired e La Stampa online.

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