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Affideresti tuo figlio alla machinetta del caffé?

05 Aprile 2006

Affideresti tuo figlio alla machinetta del caffé?

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Per vincere l'ansia dei genitori, in Giappone si sperimentano sistemi di monitoraggio dei bambini attraverso chip Rfid e reti di rilevazione che sfruttano distributori automatici e veicoli di servizio

Chiunque abbia dei figli è periodicamente soggetto a crisi d’ansia più o meno forti legate al benessere e della sicurezza dei pargoli. Naturale quindi che la tecnologia trovi sempre nuove applicazioni nel campo del controllo e supervisione del comportamento dei nostri eredi. Nei paesi europei, ad esempio, il cellulare viene dato in dotazione a età sempre minori, negli Stati Uniti un buon numero di scuole installano metal detector per evitare che i ragazzi portino in classe coltelli, pistole o artiglieria pesante, e ora anche a Londra si inizia ad adottare misure analoghe.

In Giappone, invece, ci si affida alle macchinette distributrici di bevande e merendine. Mentre da noi i figli vengono accompagnati a scuola dai genitori (in genere purtroppo in macchina) e negli Stati Uniti si va con lo scuolabus (modalità introdotta negli anni ’70 come misura per favorire l’integrazione razziale), in Giappone i bambini vanno normalmente a scuola da soli fin dalla più tenera età (5-6 anni), a piedi o con i mezzi pubblici. Nonostante la società giapponese ci possa parere sicura, il livello d’ansia è forte anche lì, favorito da cupi episodi di aggressioni o accoltellamenti di studenti in transito.

Per questo motivo, negli ultimi tempi, il paese del Sol Levante è stato teatro di una serie di sperimentazioni sul monitoraggio a distanza degli studenti in transito. La prima e più mediatizzata sperimentazione ha visto l’inserimento di chip Rfid (ricordate? quelli col diavolo dentro) all’interno degli zainetti di un centinaio di alunni di una scuola di Osaka. Per le strade della città sono poi state modificate un certo numero di macchinette distributrici, laggiù diffusissime, per renderle in grado di interfacciarsi con il chip.

Il risultato: man mano che il pupo progredisce nella sua marcia verso la scuola (o nel rientro a casa) viene progressivamente avvistato e il suo passaggio comunicato via email o sul cellulare dei genitori – con luogo, ora e (volendo), anche foto – forse domani con un video, in stile Camera Café.

In un altro esperimento, invece, i bimbi indossano un braccialetto Rfid/WiFi, il cui segnale viene rilevato dagli access point della rete Internet wireless della città di Yokohama. Per aumentare la copertura del sistema, lettori Rfid wireless sono inoltre stati impiantati a bordo di veicoli che percorrono frequentemente la zona (mezzi adibiti alle consegne, per esempio). Ogni volta che uno di questi veicoli si avvicina ad uno dei bimbi col chip, un sintetizzatore vocale avvisa il guidatore, in modo che questi presti ulteriore attenzione a non investire il portatore di chip.

Inoltre, dato che i braccialetti sono dotati di un panic button che lo studente può usare per richieder assistenza, il sintetizzatore del veicolo può avvisare l’autista che nelle sue vicinanze c’è un bimbo in difficoltà, permettendo così all’autista di accorrere in soccorso. Contemporaneamente, in caso di chiamata d’emergenza, viene inviato al cellulare dei genitori un messaggio d’allarme con tanto di mappa, perchè possano precipitarsi sul luogo; e viene anche allertata la società di vigilanza privata che pattuglia la zona del test.

Terzo (ma ce ne sono anche altri) esperimento è quello della regione di Kansai dove un consorzio di operatori ferroviari ha incorporato un diabolico chip Rfid nel biglietto dei propri treni. In questo modo, quando lo scolaro timbra il biglietto del treno, parte il solito Sms ai genitori.

Sugli aspetti collegati alla privacy esistono due posizioni contrapposte. O meglio ci sarebbero, non si trattasse dell’ordinatissimo Giappone. Un primo modo di vedere le cose è quello di ritenere tutto in regola, dato che il chip Rfid trasmette esclusivamente un numero di serie, che solo la centrale operativa può accoppiare all’identità del portatore. Se anche quindi i dati trasmessi via radio fossero intercettati non potrebbero essere di alcun interesse per l’hacker a radiofrequenza. L’altro modo di vedere le cose vede invece questa tecnologia come altamente lesiva della propria privacy. E del diritto di marinare la scuola ogni tanto.

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