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Per una nuova retorica dell’innovazione

03 Aprile 2006

Per una nuova retorica dell’innovazione

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In campagna elettorale è tutto un parlare di nuove tecnologie e Ict, spesso male e a sproposito. Occorre ripartire da tre punti fermi: l'assunzione di responsabilità, il coraggio di innovare e la capacità di identificare le specificità in ogni settore

Il prossimo appuntamento elettorale sta portando a una vera e propria escalation la comunicazione di vision, filosofie e programmi. Da questo fenomeno il tema dell´innovazione non è certo escluso, anzi; tende ad essere presente – con una frequenza quasi imbarazzante – in moltissime comunicazioni politiche. Senza entrare nel merito (né voler azzardare un giudizio) sulle strategie di comunicazione degli opposti schieramenti, vorrei condividere qualche riflessione che aiuti a riportare la cultura dell´innovazione – e non il suo “doppio” fantasmatico rappresentato dagli slogan politici – al centro del dibattito economico e politico e – si spera – dei futuri programmi politici.

Di innovazione si parla oramai da troppo tempo. È sempre più difficile assistere a convegni, dibattiti, monologhi, articoli in cui non si affermi (con la naturalezza che si può permettere solo chi si occupa del tema da lungo tempo) quanto è importante l’innovazione e quanto l’Italia sia indietro. È come se, almeno parlandone, si avesse l’impressione di fare qualcosa. Certamente tutti concordano che un´efficace politica sull´innovazione possa essere una ricetta importante contro il declino, o meglio per rilanciare la crescita economica e sociale e riaccendere l´entusiasmo dei giovani, degli imprenditori, dei lavoratori, dei servitori dello Stato a lavorare insieme per un progetto di sviluppo.

Ma una autentica riflessione sull´innovazione richiede di partire da alcuni punti fermi. Il primo è una concreta assunzione di responsabilità. Nel dibattito sul declino non si sente quasi mai che qualcuno dica «ammetto le mie responsabilità», «mi rendo conto di avere sbagliato», «ho sottostimato alcuni fenomeni». Oltretutto i profeti del declino non sono figure comprimarie: sono economisti, imprenditori, giornalisti, politici. Figure che determinano (non solo commentano) lo sviluppo economico del nostro Paese. Non si capisce a questo punto chi sia responsabile del declino. Dare la colpa solo alle variabili esogene (congiuntura, il terrorismo, i “comunisti”) sa tanto di meccanismo difensivo (direbbero gli psicologi) o di furbata (direbbero i consulenti di comunicazione). Eppure c´è una vera e propria corsa a trovare cause esogene o il capro espiatorio. Non può però esistere piano di sviluppo credibile che non sia costruito su una sana valutazione del presente, che metta in luce non solo le nostre sfortune, ma anche i nostri errori, le nostre errate valutazioni.

Il secondo punto fermo è la volontà profonda di innovare. Il sindaco Veltroni usa spesso una bellissima frase: Roma ha voglia di futuro. Questo desiderio, che deve diventare autentica pulsione, non è motivato solo da obiettivi economici o politici; è un atteggiamento, una postura dell´anima, una Weltanschaung; ed è anche una consapevolezza: il futuro è per definizione incerto. Innovare vuol dire accettare di sbagliare, di fallire; vuol dire essere consapevole di poter diventare incompreso, se non socialmente scomodo. Questo è un aspetto fondamentale dell´innovazione che viene spesso trascurato. In Italia chi fallisce (non parlo naturalmente della bancarotta fraudolenta) è un reietto, è uno che va emarginato. Negli Stati Uniti è uno che ha più esperienza degli altri, che si è confrontato con i veri problemi (e forse ha avuto anche un po´ di sfortuna).

Il terzo punto fermo è che non esiste un modello unico di innovazione. Ogni settore produttivo richiede un modello specifico. Per modello di innovazione intendo la definizione di una serie di variabili specifiche: i modelli organizzativi più efficaci, gli strumenti finanziari più opportuni, le tecniche e le leggi per tutelare e soprattutto valorizzare la proprietà intellettuale, i meccanismi per il trasferimento tecnologico verso chi è consapevole di averne bisogno, il ruolo dell´utente/consumatore/produttore, le possibilità offerte dalla domanda pubblica di prodotti e servizi. Vi sono poi alcuni settori – ad esempio l´Ict – che sono un aggregato di diversi mercati; anzi sono veri e propri mercati trasversali che attraversano moltissimi settori produttivi. È quindi difficile – se non impossibile – parlare di innovazione Ict. Ci si deve piuttosto chiedere come l´Ict possa aiutare la crescita di specifici settori: ad esempio il settore biomedicale, quello delle costruzioni, il turismo.

D´altra parte l´invenzione è un fatto tecnico, prestazionale. L´innovazione, invece, è innanzitutto un fatto economico e culturale, prima che tecnico; l´innovazione diventa utile ed efficace solo se viene accettata e assimilata, se vi sono dei consumatori disposti a spendere per utilizzarla. Il leader innovatore è colui che è in grado di trascinare le masse verso progetti ambiziosi ma incerti nella loro definizione, riuscendo a far “materializzare” a chi li segue il futuro desiderabile. Non è un plagiatore, poiché parte da evidenze sperimentali anche se minute – i cosiddetti segnali deboli – a cui riesce però ad attribuire valori emozionali e concretezza straordinarie. È questa capacità di produrre simboli che lo rende capace di ottenere risultati considerati dai più irraggiungibili. È lui che ci può liberare da questo “intontimento da declino”. Come ha notato il grande storico Krzysztof Pomian, «la secolare trasformazione del mondo da passatista a futurista si manifesta soprattutto nel riorientamento temporale delle credenze fondatrici di senso» e solo i leader hanno la forza per creare e diffondere nuove credenze.

Bisogna ricordarsi infine che sono tre le tipologie di destinatari a cui una azienda (o una istituzione) deve comunicare l´innovazione, e ciò rende questo processo particolarmente complesso. Al consumatore finale bisogna spiegare il perché di una novità, come funziona, come si utilizza, tenendo presente che i nuovi prodotti sono sempre più complicati e l´informazione eccessivae la stanchezza cognitiva sono mali contemporanei. Al business man l´azienda deve comunicare il proprio know-how tecnico, le potenzialità dei suoi prodotti, proteggendo nel contempo il proprio patrimonio intellettuale per evitare degli usi impropri. I mercati, infine, vanno convinti delle potenzialità innovative dell´azienda, che non si misurano dalle performance attuali quanto dalla capacità di cogliere le future opportunità.

La comunicazione dell´innovazione deve però anche mettere coraggio. Il futuro incerto mette sempre paura. Un modo efficace per spingere l´innovazione è incoraggiare i potenziali innovatori. La cosa può sembrare buffa ma è molto importante. A Milano nel 1838 venne creata una struttura che aveva l´obiettivo di diffondere e potenziare l´innovazione. Con le parole in voga a quei tempi, il suo obiettivo era «migliorare le arti utili e le manifatture della provincia di Milano», e venne chiamata per questo Cassa d´incoraggiamento per le arti e mestieri.

Andrea Granelli è presidente e fondatore di Kanso, una società di consulenza che si occupa di innovazione e customer experience. Inoltre è membro di eEurope-Advisory Group della Commissione Europea per l’attuazione della Società dell’informazione, della Fondazione Cotec, del Comitato di Valutazione del CNR e del consiglio scientifico della scuola di design Domus Academy. È inoltre presidente del Distretto dell’Audiovisivo e dell’Ict di Roma e dirige l’Istituto di Economia dei Media della Fondazione Rosselli. Nella sua attività professionale ha creato molte aziende e lanciato diverse iniziative: tin.it, TILab, Loquendo, un fondo di Venture Capital di 280 milioni di dollari basato a New York, l’Interaction Design Institute di Ivrea, l’Esposizione permanente di tecnologia presso i chiostri di S.Salvador a Venezia e il laboratorio Multimediale dell’Università La Sapienza di Roma. Ha diverse pubblicazioni nel campo delle tecnologie digitali e dell’innovazione, tra cui Comunicare l´innovazione (Il Sole 24 Ore Libri, 2005), Brevettare? La proprietà delle idee nel terzo millennio (Medusa Edizioni, 2005) e Il sé digitale. Identità, memoria, relazioni nell´era digitale (Guerini e associati, 2006).

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