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Metti una pecora nel tuo motore

18 Luglio 2005

Metti una pecora nel tuo motore

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Un additivo di origine naturale potrà aiutarci a limitare le emissioni nocive dei motori diesel. Ma la polemica è in agguato: nel processo chimico, gli ovini giocano un ruolo di primo piano

Quello dell’inquinamento è uno dei problemi con cui la nostra società dovrà convivere per il prossimo futuro, trovando modi ingegnosi per (far) inquinare di meno pur cercando di mantenere un’immutata qualità di vita.

In assenza di invenzioni miracolose e risolutive dovremo perseguire una strategia di piccoli passi, di innovazioni marginali che sommate l’una all’altra ci consentiranno di limitare i danni all’ambiente.

In questo senso, una delle aree più delicate e sensibili è quella dei trasporti. Difficilissimo persuadere la gente ad andare a piedi (e per forza, con l’aria inquinata che si respira…), ben che vada si riesce a convincere le persone a passare al trasporto pubblico.

E proprio su questi mezzi si sta concentrando l’attenzione delle amministrazioni metropolitane: con decine o centinaia di mezzi continuamente in esercizio, l’impatto sull’ambiente, specialmente in termini di emissioni inquinanti e di irrespirabilità dell’aria cittadina, non è di certo irrilevante.

Oltre all’introduzione di mezzi alimentati a gas o sperimentalissimi mezzi a idrogeno, è iniziata da poco nel Regno Unito la prova di un innovativo e semplice sistema antinquinamento per i motori diesel, destinato a combattere l’emissione di ossidi d’azoto attraverso l’impiego di un additivo di origine naturale, anche se non proprio “verde” in senso letterale.

I temibili ossidi d’azoto e la scoperta della Chimica Organica

Incolori e inodori, ma micidiali, gli ossidi d’azoto causano le piogge acide e danno origine allo smog fotochimico. Irritano le mucose, infiammano le vie respiratorie, possono causare l’asma e, ad alte dosi e/o dopo esposizioni prolungate, possono perfino portare ostruzioni dei bronchi ed edema polmonare. Insomma, una roba di cui si fa volentieri, molto volentieri a meno. Ma che i motori a combustione interna producono senza farsi troppi problemi.

Una strada per combatterli si basa su una reazione di riduzione selettiva catalitica, che prevede l’iniezione di (NH2)2CO, meglio nota come Urea. Una molecola dalla storia nobile e filosofica: una sostanza abbondantemente presente negli esseri viventi, fu il primo composto chimico organico ad essere sintetizzato dall’uomo (Hilarie Rouelle, 1773).

Riuscire a creare artificialmente una sostanza normalmente presente negli esseri viventi dimostrò, in modo dirompente, che le forme di vita obbediscono alla chimica “normale”, che non esistono influenze spirituali, divine o eteree nei processi della vita, e che l’uomo è in grado, con il suo ingegno e la sua razionalità, di replicare esattamente i processi della natura. E di lì nacque la scienza della Chimica Organica.

Chiusa la parentesi storica e tornando al nostro processo disinquinante, l’aggiunta di urea nei catalizzatore dei gas di scarico fa si che gli ossidi di azoto si disossidino, dando origine all’emissione di azoto gassoso (notoriamente inerte) e vapore acqueo (sempre che il sistema non si sregoli e inizi a emettere ammoniaca…).

Dove sta lo scandalo? Nella Pecora…

Fino qui, tutto tranquillo. La sperimentazione (condotta, tra gli altri, da Mercedes) di questa tecnica proseguiva senza troppo rumore… fino al giorno in cui una compagnia di trasporto pubblico di Winchester (UK) ha dotato uno dei suoi mezzi di linea di questo innovativo dispositivo. Utilizzando, come additivo, forniture di urea di origine biologica.

In questo caso, infatti, l’urea è stata ottenuta dalla raffinazione dei sottoprodotti metabolici emessi in forma liquida dagli ovini nel corso delle proprie funzioni.

Smentendo i rumors circolati, l’azienda di autotrasporto ha rassicurato il pubblico, escludendo l’alloggiamento di una o più pecore nel retro del bus come sorgente integrata dell’additivo. L’azienda ha inoltre escluso anche l’ipotesi che in futuro i passeggeri vengano chiamati a fare la propria parte, integrando il lavoro delle pecore.

I primi dati disponibili indicano che l’utilizzo di questo additivo di origine animale non ha un impatto olfattivo sull’ambiente circostante. In effetti, personalmente, sono disposto a crederci: la mia fiducia nei confronti dell’industria dei carburanti alternativi è molto cresciuta da quando ho iniziato a usare un carburante biodiesel, composto al 10% di olio vegetale riciclato (proveniente dalla frittura di pesci, calamari e marisco in genere) che non genera, all’uscita del tubo di scarico, alcun odore di ristorante bordo mare ma un normalissimo, rassicurante, aroma d’inquinamento da idrocarburi.

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