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Un tribunale ordina ai provider di bloccare l’accesso a un sito revisionista

17 Giugno 2005

Un tribunale ordina ai provider di bloccare l’accesso a un sito revisionista

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Il Tribunal de grande instance (TGI) di Parigi, applicando la legge per la fiducia nell'economia digitale del 22 giugno 2004, ha intimato agli Internet provider d'oltralpe di impedire l'accesso in Rete a un sito Internet a carattere revisionista

I principali fornitori d’accesso ad Internet presenti sul mercato francese (tra cui France Télécom Services, Free, AOL France, Tiscali Accès, Télé 2 France, ecc.) hanno dieci giorni di tempo per “attuare ogni misura atta ad impedire l’accesso a partire dal territorio francese” ad un sito Internet a carattere revisionista: Aaargh. Così ha deciso il Tribunal de grande instance di Parigi. Il procedimento era iniziato l’8 marzo scorso, avviato da otto associazioni antirazziste.

“Questa decisione non ci soddisfa”, commenta Stéphane Marcovitch, delegato generale dell’AFA (Associazione dei provider francesi), che non esclude di ricorrere in appello contro l’ordinanza appena emessa. E prosegue: “Di quale selezione si parla? Se si tratta di filtrare puramente e semplicemente l’indirizzo di un sottodominio (del tipo xxx.com/yyy), i provider non sono in grado farlo!”.

Da un punto di vista tecnico, infatti, gli ISP francesi hanno abbandonato da diversi anni l’utilizzo dei proxy per ragioni di costi di manutenzione e per accelerare la consultazione del Web da parte degli internauti.

“Un’altra soluzione sarebbe di filtrare tutto al livello dell’indirizzo IP – spiega il delegato generale dell’AFA -. Ma questo comporterebbe danni collaterali estremamente gravi. Saremmo infatti obbligati a impedire l’accesso a tutti i siti ospitati dal medesimo fornitore di hosting del sito sotto accusa. E non oso immaginare cosa accadrebbe quando un sito illegale si appoggia a un servizio di hosting gratuito. Sarebbero allora decine di migliaia i siti a cui saremmo costretti a negare l’accesso”.

Infine, un’ultima opzione consisterebbe nel filtrare il sito sotto accusa a livello dei DNS. “Ma in questo caso l’editore del sito perseguito potrebbe rivalersi sul provider”, precisa Marcovitch. “Si tratta, in ogni caso, di una condotta che rimette in questione l’obbligo di neutralità dei provider, così come è definito nel Codice delle poste e telecomunicazioni”.

Critico anche il commento di Gérard Kerforn, incaricato delle questioni Internet per il Mrap (Movimento contro il razzismo e per l’amicizia tra i popoli): “Non dobbiamo trasformare gli ISP nei soli attori della regolamentazione di Internet. E non deve succedere che si operi, in sostanza, un trasferimento di responsabilità dagli editori dei siti a contenuto illegale verso i fornitori d’accesso ad Internet. Temo che, con la decisione che è stata presa dal TGI di Parigi, non ci sia un effetto destabilizzante nei confronti degli editori, che sono i veri responsabili. Quest’ordinanza porta una risposta tecnica per un dibattito che richiede, invece, una vera risposta politica”.

Il responsabile del Mrap teme che la decisione del TGI di Parigi non riesca a imporsi su una interminabile lotta tra associazioni antirazziste e una miriade di siti negazionisti e revisionisti che, per sfuggire alla giustizia, passerebbero da un provider ad un altro.

“La giustizia ha appena aperto il vaso di Pandora, rischiando di favorire una valanga di domande e di controversie sul contenuto ospitato dagli ISP”, conclude Stéphane Marcovitch.

L'autore

  • Annarita Gili
    Annarita Gili è avvocato civilista. Dal 1995 si dedica allo studio e all’attività professionale relativamente a tutti i settori del Diritto Civile, tra cui il Diritto dell’Informatica, di Internet e delle Nuove tecnologie.

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