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Caso Armani.it: e se Golia avesse ragione?

07 Gennaio 2004

Caso Armani.it: e se Golia avesse ragione?

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Gli utenti della Rete sono solidali in massa con Luca Armani, finito in tribunale contro la multinazionale della moda di cui condivide il cognome per la proprietà del dominio Armani.it. Finito lo sciopero della fame, resta una sentenza che lo condanna a cedere il dominio e pagare migliaia di euro. Disservizi per tutti

Avviso ai naviganti: probabilmente mi odierete per quello che sto per dire. Mi dispiace, ma lo devo dire lo stesso, perché per quanto mi sia sforzato di studiare e analizzare il caso Armani.it, non posso fare a meno di considerarlo un sommo esempio di latitanza del buon senso in entrambi i contendenti, ma più da parte di Luca che del più celebre Giorgio.

Riassumo il pasticciaccio iniziato anni addietro: Luca Armani ha un timbrificio in quel di Treviglio (Bergamo) e nel 1997 decide di aprire un sito Web per pubblicizzare la propria attività, chiamandolo “Armani.it”. Quando la Giorgio Armani SpA si affaccia a Internet, scopre che il nome di dominio Armani.it è già stato acquistato e utilizzato da Luca, e nel 1998 lo investe con il rullo compressore dei suoi avvocati. Così ora Luca si trova condannato in primo grado a rifondere a Giorgio 13.526 euro più IVA e balzelli assortiti, a pubblicare a proprie spese la sentenza sul Corriere della Sera e su Internet Magazine e a pagare 5.000 euro al giorno per ogni giorno di ritardo nell’esecuzione della sentenza.

Luca inizia uno sciopero della fame “per affermare il mio diritto ad esistere, il mio diritto al pieno possesso del mio cognome”, come dice in una lettera aperta, e si appella contro la sentenza. Questo gesto estremo induce alla mobilitazione anche il senatore Cortiana e il popolo di Internet, perché la sentenza in favore di Giorgio Armani SpA viene vista come un esempio della “prepotenza sempre più oppressiva delle multinazionali senza limiti né morali né legali”.

Luca ha sospeso lo sciopero della fame il 31 dicembre scorso e a metà gennaio dovrebbe partire la procedura d’appello, per cui la vicenda è ancora in evoluzione, ma approfitterei di questo momento di pausa per fare un passo indietro e riesaminare il tutto con un po’ di distacco.

La commedia degli errori

A tutti, me compreso, piace vedere Davide che combatte contro Golia, al punto che spesso non hanno molta importanza le eventuali ragioni della lotta. Ma è facile trovarsi a gridare “dagli alla multinazionale” senza chiedersi se per caso la multinazionale possa aver vagamente ragione. È facile ridursi alle semplificazioni mentali alla Joey di Friends: “multinazionale male, piccolo artigiano bene”, per poi andare a fare la spesa all’ipermercato snobbando il salumiere di quartiere.

Ragioniamo un attimo, e facciamolo usando il buon senso invece delle disquisizioni legali che potete leggere nella sentenza pubblicata da Luca nel suo sito. Luca Armani ha un’attività di nome “Timbrificio Luca Armani”. E come chiama il proprio sito Web? Lo chiama “timbrificioarmani.it” o “timbrificiolucaarmani.it” o “lucaarmani.it“? Nossignore. Lo chiama “armani.it”.

Lasciando da parte l’istintivo parteggiare per il contendente più debole, non vi sembra una scelta un po’ imprecisa e imprudente? Suvvia, è difficile che un utente della Rete digiti “www.armani.it” alla ricerca di un buon timbrificio; è immensamente più probabile che lo digiti alla ricerca dei prodotti dello stilista. Se lo scopo di un nome di dominio è farsi trovare, registrare “armani.it” non lo raggiunge affatto per Luca, mentre lo raggiungerebbe chiaramente per Giorgio.

Soprattutto, usare “armani.it” per un timbrificio quasi sconosciuto crea un danno alla Rete, perché induce un’ovvia confusione. Se digitate “armani.it” nel vostro browser, vi aspettate di trovarvi nel sito di un timbrificio bergamasco? Appunto. Sorprende che questo non sia stato evidente a Luca quando ha scelto il nome di dominio conteso. Sorprende che Luca non si sia reso conto che il più celebre Giorgio ovviamente non avrebbe gradito e si sarebbe scatenato un conflitto.

Sorprende anche che Luca abbia insistito registrando il domain name “rmani.it” (che non è il suo cognome), in modo da poter creare un ingannevolissimo [email protected] (che sembra il nome di un sito ma non lo è) e costituendo una società di nome “Armani Internet Solution Team Srl”, successivamente rinominata “Armani.it Srl”, come dichiara sul proprio sito. Se fossi malizioso, direi che questi sono classici sintomi di un tentativo di cybersquatting: la registrazione di un nome di dominio celebre per poi rivenderlo all’omonima multinazionale in cambio di un congruo pacco di soldi. Ve l’avevo detto che mi avreste odiato.

Temo che questo sospetto, insieme al precedente della causa persa contro il signor A.R.Mani (che ha registrato armani.com), sia una delle ragioni per le quali la Giorgio Armani SpA, a quanto mi risulta, ha caricato subito i cannoni legali invece di iniziare, come avrebbe suggerito il buon senso, con una semplice letterina a Luca in cui lo si avvisava che forse non si era reso conto di creare una gran confusione in Rete usando Armani.it per identificare il suo timbrificio, e che la cosa si poteva risolvere in via amichevole, magari offrendosi di pagare le spesucce di riregistrazione: una cosa del tipo “tu Luca ti prendi TimbrificioLucaArmani.it, che è la tua ragione sociale, o un altro nome più attinente, e io mi prendo Armani.it, così non si fa casino in Rete, e la cosa finisce lì. Pago io, che tanto far così mi costa meno che cinque anni di causa”.

In questo sta l’errore di Giorgio Armani SpA: scagliandosi contro Luca con il grossolano maglio della legge invece di trovare una composizione elegante alla vicenda, e saltando anche la normale procedura di risoluzione delle dispute sui nomi di dominio di fronte alla Naming Authority italiana, ora ne ricava un danno d’immagine difficile da sanare, per non parlar del fatto che si trova ancora oggi, a distanza di quasi cinque anni, con Armani.it tuttora intestato a Luca, quando la Naming Authority avrebbe risolto la cosa entro un paio di mesi. Bella mossa, clap, clap, clap.

Questione di cognomi

Molti utenti e opinionisti della Rete hanno difeso Luca perché appunto si chiama Armani di cognome e quindi avrebbe diritto a un nome di dominio corrispondente al proprio cognome tanto quanto Giorgio (e anzi assai di più, si legge tra le righe, di una schifosa prepotente multinazionale piena di dané). E il diritto al nome “è un diritto assoluto della personalità ed è di rango costituzionalmente superiore rispetto al diritto riconosciuto ad un’azienda all’uso esclusivo del proprio marchio registrato”, secondo il commento di Manuel Buccarella, giurista di Newglobal.it.

Ma è proprio questo il punto: anche tutti gli altri Armani hanno lo stesso diritto assoluto. E allora come la mettiamo? Cos’ha Luca di speciale per cui gli altri 903 Armani d’Italia che trovo in Pronto.it si debbano veder negato il nome di dominio “armani.it”? E che c’entra @rmani.it col suo cognome?

Appellarsi alla convenzione del “chi primo arriva meglio alloggia”, o first come first served, che pure è stata per anni alla base dell’assegnazione dei nomi di dominio, è comunque un atteggiamento prepotente che non tiene conto delle esigenze della collettività degli utenti della Rete. Comunque la si giri e a prescindere dalle sottigliezze della legge, è indubbio che assegnare “Armani.it” a un timbrificio, anche se il titolare si chiama Armani di cognome, è un disservizio verso chiunque navighi in Internet.

Certo, mi si può accusare di predicar bene ma razzolar male, dato che ho anch’io un sito il cui nome è costituito dal mio cognome, proprio come Luca. Ma se qualcuno degli altri Attivissimo sparsi per il mondo (ce ne sono, ce ne sono, non fate gli spiritosi) chiede ospitalità, o se c’è una ditta che detiene “Attivissimo” come marchio, non ho problemi a farmi da parte e accogliere tutti in coabitazione, ciascuno con la propria sottosezione del sito, senza litigare. Di certo non mi metto a svilire una forma di protesta civilissima come lo sciopero della fame, che andrebbe riservata a lotte ben più nobili che una disputa su un domain name.

Il tritacarne del tribunale

La cosa tragicomica di tutta questa faccenda è che salvo miracoli, ormai si è messo in moto un meccanismo che è sfuggito di mano a tutte le parti coinvolte. Giorgio Armani Spa si trova da cinque anni senza accesso a un nome di dominio prezioso per la propria attività, Luca Armani si trova sommerso di spese da pagare, e il tribunale non può che applicare suo malgrado le sanzioni spropositate della legge.

Tutti insieme appassionatamente verso il precipizio, insomma. Dubito vi sia modo di evitare un finale vergognoso per tutti, ma mi permetto lo stesso di proporre una soluzione salomonica lanciatami da un amico che non ama la notorietà: magari la si può riciclare per la prossima disputa, visto che anche i giuristi internazionali sono in disaccordo tra loro in materia.

Se un nome di dominio è conteso, non lo si assegna a nessuno dei contendenti, ma a un curatore super partes: vi si mette una pagina Web di semplice smistamento, che punta ai siti dei vari aspiranti titolari. Questo è quello che ha già fatto saggiamente Luca Armani presso Armani.it, aggiungendovi una simpatica foto natalizia della propria famiglia. Peccato che Luca si sia dimostrato anche stavolta incorreggibilmente impreciso nella scelta del domain name per la sua attività: il suo nuovo sito si chiama www.timbrificio.com. E chi lo trova più?

L'autore

  • Paolo Attivissimo
    Paolo Attivissimo (non è uno pseudonimo) è nato nel 1963 a York, Inghilterra. Ha vissuto a lungo in Italia e ora oscilla per lavoro fra Italia, Lussemburgo e Inghilterra. E' autore di numerosi bestseller Apogeo e editor del sito www.attivissimo.net.

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