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Dati pirateria BSA, fantasia al potere

11 Giugno 2003

Dati pirateria BSA, fantasia al potere

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Il nuovo rapporto BSA sulla pirateria software considera pirata chiunque non compri applicazioni commerciali. Non ridete

La Business Software Alliance, l’associazione internazionale antipirateria che rappresenta le grandi società di software, ha da poco pubblicato un rapporto sulla pirateria informatica nel mondo che annuncia con soddisfazione un calo nel 2002 rispetto ai dati dell’anno precedente. È soltanto un calo dell’un per cento, ma sempre calo è. Il documento sembra insomma indicare che grazie alle vigorose campagne contro la duplicazione abusiva del software, il mondo sta diventando pian piano più onesto.

Il rapporto è ricco di cifre e dettagli, come la classifica dei paesi più colpevoli (al primo posto il Vietnam, col 95%) e più virtuosi (guidati dagli USA, col 23%) e i dati per l’Italia (47% di pirateria, in aumento rispetto al 2001) e le relative perdite economiche, nelle quali è la Cina a primeggiare, con 2,4 miliardi di dollari. Il dato saliente, presentato in prima pagina, è che la pirateria a livello mondiale è calata del dieci per cento dal 1994, anno di inizio dei rilevamenti BSA.

Come in ogni depliant adornato di dati statistici, però, l’aspetto più interessante non è dato dalle cifre, ma dai metodi usati per generarle. In effetti viene spontaneo chiedersi come diavolo si fa a sapere quanti programmi vengono piratati; dopotutto la pirateria è per definizione un tema sul quale i colpevoli sono tendenzialmente reticenti a fornire dettagli. È improbabile che ci siano distinti intervistatori che passano nelle aziende a dire “Salve, sono della BSA, quante copie pirata di software avete?”.

Dietro le cifre

Il rapporto della BSA descrive accuratamente il metodo adottato. Innanzi tutto, per “pirateria” la BSA intende qui esclusivamente “pirateria di software applicativo per ufficio”. Pertanto, una copia pirata di un videogioco, per esempio, non rientra nell’analisi. È comprensibile: dopotutto la BSA rappresenta il business software. I produttori di videogiochi si paghino la loro indagine, se la vogliono.

In secondo luogo, sfrondando i paroloni del rapporto, emerge che BSA ha risolto il problema del pirata sfuggente creando il concetto di “fabbisogno” di software. Il suo ragionamento è questo: un’azienda ha bisogno di software per ufficio per usare i propri Pc; ergo, se nelle aziende di un paese vi sono tot computer, dovrebbero essere vendute altrettante copie di software per ufficio. Dalla differenza fra copie previste e copie effettivamente vendute si estrae la percentuale di copie pirata.

Non è difficile ottenere un valore abbastanza preciso del software venduto: è un dato fornito dalle società produttrici che fanno parte della BSA. Determinare questo “fabbisogno”, invece, è un altro paio di maniche. BSA ha fatto una stima delle vendite di nuovi Pc, una stima di quanti di questi Pc sostituiscono vecchi computer e quindi non richiedono nuovo software, e una stima della quantità di software che deve essere installata su un Pc per ufficio, basata su ricerche di mercato svolte esclusivamente negli USA. Queste stime sono state poi corrette da due uplift factors per tenere conto della stima delle vendite di software effettuate da società non appartenenti alla BSA in USA e nel resto del mondo.

Avrete notato la parola ricorrente: stima. Orbene, non occorre essere geni della statistica per capire che proclamare riduzioni dell’un per cento basate su una catena di stime come questa richiede una certa disinvoltura. Come ben sappiamo, persino un exit poll, che ha fattori di gran lunga meno imponderabili, ha margini di errore superiori al punto percentuale. Pertanto, con tutto il rispetto per i ricercatori della International Planning and Research Corporation che hanno svolto l’indagine per la BSA, infangare l’Italia dicendo che la pirateria è in aumento, quando l’aumento è del due per cento (dal 45 al 47%) e quindi presumibilmente entro i margini di incertezza, è un insulto che rischia di essere fondato sul nulla.

Ho contattato telefonicamente BSA Italia, che mi ha detto che un margine di errore c’è sicuramente, ma non ha saputo dirmi a quanto ammonti. Pertanto la controtendenza dell’Italia potrebbe essere un mero errore statistico.

Ma i dati BSA verranno invece citati in lungo e in largo come se fossero graniticamente assoluti, senza alcuna indicazione di questo margine di incertezza. Lo so, il manager stressato di oggi non vuole perdere tempo con dettagli e decimali: vuole la semplificazione, l’executive summary, la presentazione PowerPoint. Solo che quando la semplificazione arriva a questi livelli, diventa facilmente il contrario della realtà, e il manager prende decisioni basate sostanzialmente sul vuoto pneumatico. Tanto varrebbe affidarsi al mago Otelma.

E l’open source?

L’approccio della BSA ha anche un’altra conseguenza interessante. Siccome stabilisce che se un computer usato in ufficio non ha installato software venduto legalmente, ha giocoforza installato software piratato, per la BSA chi usa software open source (per esempio OpenOffice.org al posto di Microsoft Office) o freeware è classificato nella categoria degli abusivi.

Pertanto, per esempio, i quattordicimila PC dell’amministrazione comunale di Monaco che stanno per essere migrati a Linux e applicativi d’ufficio open source verranno conteggiati come pirati. Lederhosen e bende sull’occhio non si abbinano granché bene, ma i tedeschi dovranno farci il callo.

È vero che il rapporto della BSA parla anche di software open source, ma lo fa soltanto una volta, limitandosi a dire che uno degli uplift factor include “stime relative al software open source”. Ecco la di nuovo, quella parolina ricorrente: stime. Chissà cos’altro c’è dentro quei misteriosi uplift factor.

Dato che non ci sono statistiche significative sulla diffusione del freeware e del software open source, i già traballanti conticini della BSA vengono insomma completamente invalidati. Parliamoci chiaro: non c’è modo di sapere quanti di quei quarantasette italiani su cento classificati come corsari del computer stanno usando software alternativo liberamente distribuibile. Non è affatto detto che stiano tutti usando copie pirata di Microsoft Office. Non ho dubbi che molti lo stiano facendo; ma il loro numero non è affatto quantificabile con “un alto livello di affidabilità” come invece asserisce il rapporto BSA.

Siamo insomma di fronte al paradosso che se il software open source prende piede in un paese e sostituisce le copie pirata del software commerciale, per la BSA la percentuale di pirati in quel paese aumenta. Forse c’è qualche piccolo problema metodologico da risolvere.

Umorismo involontario

Di fronte a questa apparente cecità nei confronti del fenomeno open source e delle sue implicazioni sui metodi di stima della pirateria software, è ironico giocherellare con i servizi di Netcraft.com e scoprire che proprio la BSA, paladina del software commerciale, usa software open source. Il suo sito infatti gira su Apache, che a sua volta gira sul sistema operativo FreeBSD. Entrambi sono prodotti open source non commerciali.Apache è usato anche dai siti di alcuni membri della BSA, come Adobe Systems, Autodesk, Borland e Macromedia. Sono dunque anche loro “pirati” nelle statistiche del rapporto BSA?

L'autore

  • Paolo Attivissimo
    Paolo Attivissimo (non è uno pseudonimo) è nato nel 1963 a York, Inghilterra. Ha vissuto a lungo in Italia e ora oscilla per lavoro fra Italia, Lussemburgo e Inghilterra. E' autore di numerosi bestseller Apogeo e editor del sito www.attivissimo.net.

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