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UMTS: Urgono Modestia e Tariffe Sensate

03 Dicembre 2002

UMTS: Urgono Modestia e Tariffe Sensate

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Promesse non mantenute, pubblicità ingannevoli, tariffe irrealistiche complottano per far affondare l'UMTS e l'accesso cellulare a Internet per mano dei suoi stessi timonieri.

Vi siete mai trovati in autostrada dietro a un TIR che serpeggia tra le corsie, a chiedervi se il conducente vi sta tormentando in stile Duel o se ha avuto un colpo di sonno e da un momento all’altro carambolerà fuori strada portandovi con sé? Questa è la sensazione che provo quando considero la situazione dell’UMTS e della telefonia mobile in generale nel settore della trasmissione dati, ossia quello che alletterebbe maggiormente noi Internettari.

A volte, infatti, sembra che gli operatori cellulari ci prendano per fessi, per il gusto di vederci abboccare a ogni loro mossa. Ricordate lo strombazzatissimo WAP? Doveva essere una rivoluzione, si è rivelato un generatore di sbadigli. Probabilmente il vostro cellulare è abilitato al WAP, ma ditemi in tutta onestà quand’è stata l’ultima volta che avete usato questa funzione. Risposta: per prova, subito dopo aver comprato il telefonino e poi mai più. Ho indovinato?

Adesso ci riprovano con il “nuovo WAP” a colori (perbacco, questa sì che è un’innovazione) e con i “fotofonini” o come diavolo si chiamano quei cellulari con fotocamera digitale integrata. Per carità, non prendetemi per un retrogrado: ho anch’io il mio bravo cellulare (ne ho quattro, per la verità) e una fotocamera digitale, e mi farebbe comodo portarmi addosso un unico aggeggio che combini le due funzioni. Il guaio è che stanno cercando di spacciarci per fotocamere apparecchi la cui qualità è, volendo essere generosi, quella di una webcam.

La foto col trucco

Non lasciatevi ingannare dagli spot televisivi: lo spot Vodafone Omnitel con il suo Sharp GX10, che ha una risoluzione massima di 288×352 pixel (un ottavo di uno schermo di PC), mostra immagini qualitativamente impossibili da realizzare con quell’apparecchio, specialmente in condizioni di scarsa illuminazione. Lungi dal mostrare la bellona che avete abbordato, nella realtà rischiate di far credere agli amici di aver colto un ectoplasma durante una seduta spiritica.

Non che TIM se la cavi meglio: il Nokia 7650 usato per la sua réclame ha sì una risoluzione superiore (640×480 pixel), ma come osserva giustamente Telefonino.net è comunque praticamente impossibile usarlo per congelare un movimento rapido come la caduta in acqua raffigurata; figuriamoci se poi un’immagine a quella risoluzione è stampabile a tutta pagina su un giornale senza i “quadratoni” tanto familiari a chi prova a ingrandire troppo una foto digitale. Viene da chiedersi chi sia il vero Mascalzone di cui parla lo spot.

Intendiamoci, la fotocamera integrata nel cellulare non è inutile: possono esserci molte situazioni in cui un’immagine, anche se mossa, sfocata e sgranata, è meglio di mille parole. Però è meglio non farsi illusioni e non farsi allettare dalla pubblicità, perché i cellulari attuali non sono assolutamente in grado di sostituire una vera fotocamera digitale. Se pensate di poter lasciare a casa la macchina fotografica e portarvi soltanto un foto-telefonino in vacanza o a un sopralluogo di lavoro, preparatevi a una delusione.

SMS, gallina dalle uova d’oro

In realtà gli operatori stanno cercando di ripetere con le foto e la trasmissione dati il miracolo economico degli SMS. L’SMS, infatti, è la gallina dalle uova d’oro del GSM; ha margini di guadagno altissimi, al punto che per alcuni operatori gli umili SMS rappresentano da soli fino al 20% dell’utile.

Il motivo diventa subito evidente se si confronta un SMS con una telefonata cellulare. L’SMS impegna la rete soltanto per una frazione di secondo, ma si paga mediamente quanto un minuto di voce. Oltretutto, mentre i bit della voce devono arrivare a destinazione subito, in tempo reale e senza perdere pezzi per strada e devono quindi avere un trattamento assolutamente prioritario, quelli dell’SMS no: quando arrivano, arrivano (se arrivano), e se si vuole la conferma di ricezione si paga il supplemento, mentre nella telefonata a voce la conferma è implicita nella risposta dell’interlocutore.

L’SMS è una cartolina recapitata a dorso di mulo, fatta pagare quanto un libro consegnato tramite Postacelere. Visto in questi termini, il suo prezzo apparentemente modesto è cionondimeno un autentico furto per il consumatore, che si traduce in una miniera di soldi per gli operatori. Non stupisce che si promuovano tanto i servizi basati sui messaggini.

Chiedendo un euro per mandare una foto, come fa TIM, o anche mezzo euro come fa Vodafone Omnitel, si vuole ripetere lo schema di profitto dell’SMS. Grazie alla compressione JPEG, infatti, una foto da cellulare è un file da circa 200 kilobyte (nel caso peggiore) che si può recapitare senza l’urgenza del tempo reale.

Facendo due conti, chiedere cinquanta eurocent per spedire una foto senza urgenza ma accontentarsi di una dozzina di centesimi per un minuto di traffico voce è come far pagare un giretto in biplano più di una trasvolata in Concorde. È quindi evidente che questi servizi non sono tariffati in proporzione al rispettivo consumo di risorse, ma in base al prezzo più alto che il mercato è disposto a sopportare. Un criterio sanissimo per il bilancio di un operatore, almeno finché i consumatori non se ne rendono conto.

Addormentati al volante

Esagerare un pochino le prestazioni del proprio prodotto è una prassi scorretta ma tutto sommato naturale per qualsiasi imbonitore che sappia il fatto suo; se riesce a camminare sulla lama di coltello che separa la bugia che irrita il cliente dall’iperbole colorita che lo accattiva, è un sintomo di talento commerciale che verrà premiato da buone vendite. Si possono dunque perdonare gli operatori se magnificano i loro telefonini-fotocamera: fanno soltanto il loro mestiere di venditori.

Quello che invece fa pensare che gli operatori si siano addormentati al volante del TIR in corsa è la politica tariffaria dei servizi di trasmissione dati, sia nell’attuale forma del GPRS, sia nell’UMTS prossimo venturo.

Prossimo venturo, beninteso, ammesso che non ci siano altri ritardi, visto che per esempio H3G (alias “3“) a novembre 2001 aveva dichiarato “l’UMTS decolla entro il 2002” e anzi contava di avere quattrocentomila utenti paganti nel Regno Unito: non adesso, ma l’anno scorso. Siamo a fine 2002, e di utenti paganti non se ne vedono proprio. E H3G non è l’unica ad avere qualche problemino: TIM ha prima detto che sarebbe partita con l’UMTS entro fine anno, poi si è accorta di non avere telefonini UMTS da vendere. Ma sono certo che è un dettaglio trascurabile.

Attualmente la trasmissione dati tramite cellulare, quella che ci consentirebbe di collegarci a Internet ovunque e perdere finalmente il guinzaglio della linea telefonica fissa, è penalizzata da un concetto di base: farla pagare in base al traffico di bit mandati e scaricati.

Di primo acchito questa sembrerebbe essere un’idea geniale: dato che il problema di Internet tramite cellulare è sempre stata la lentezza (e lo è tuttora anche con il GPRS), non si paga il tempo ma il numero di byte. È più onesto e corretto verso i clienti.

Il guaio di questo approccio è che può funzionare in una rete proprietaria chiusa e sorvegliata, ma non in una rete aperta come Internet. Se devo pagare per tutti i byte che ricevo, mi tocca pagare anche i byte degli spammer. Improvvisamente lo spam diventa non solo un fastidio, ma un danno.

Se qualcuno decide di mandarmi, bontà sua, un simpatico comunicato stampa di cui non mi importa un fico secco (tipicamente, due megabyte contenenti cinque righe di testo e 1,99 megabyte di logo aziendale), sono comunque io a pagare per riceverlo. Tolte di mezzo le varie promozioni, un megabyte costa 5 euro su rete GSM (GPRS) e 2 euro sulla rete UMTS di H3G. Dieci euro per ricevere spam aziendale? Vista così, la tariffa a traffico non è più così geniale.

C’è di peggio. Con una tariffazione di questo tipo, se un malintenzionato mi manda pacchetti di dati per sondare le difese della mia connessione cellulare e cercare di entrarmi nel PC, sono di nuovo io a pagare per questo traffico non solo indesiderato, ma addirittura ostile. Un port probing persistente da Rete fissa non costa nulla all’attaccante, ma può appiopparmi in breve tempo una bolletta salatissima; e anche se il mio firewall respinge gli attacchi, il traffico generato lo pago lo stesso.

Paranoia? No, non è un’ipotesi: è già capitato agli utenti GPRS dell’operatore T-Mobile negli Stati Uniti. T-Mobile, sbadatello, non aveva pensato a questo scenario e non aveva installato un firewall (ora lo ha fatto). Davvero addormentato al volante. Chissà gli altri come sono messi?

Dov’è la killer application dell’UMTS?

Se non si può far pagare il traffico dati cellulare né a tempo né a kilobyte scambiati, che altre formule restano? Non molte: una macchinosa tariffa basata soltanto sui byte trasmessi ignorando quelli ricevuti, che mal si adatterebbe al normale uso di Internet (molti dati ricevuti, pochi trasmessi), e una tariffa flat, che sicuramente farebbe gola agli utenti ma intaserebbe l’etere, che a differenza del cavo è una risorsa intrinsecamente limitata e non espandibile se non installando microcelle a ogni angolo di strada, con costi proibitivi.

Questa combinazione di ritardi, politiche commerciali miopi e tariffe irrealistiche, insieme alla concorrenza del “quasi-cellulare” offerta dal WiFi nei luoghi pubblici, ha un triste risultato: l’UMTS rischia di perdere la sua killer application per il settore professionale, ossia la trasmissione veloce di dati, e ridursi a un mercato di nicchia dedicato a chi può permettersi il salasso delle videotelefonate (l’unica cosa che il GSM attuale non consente), la cui qualità, utilità e presa sul pubblico sono ancora tutte da dimostrare.

Non va dimenticato, infatti, che la videochiamata su rete fissa è disponibile da tempo (le prime versioni commerciali risalgono addirittura al 1964), ma di videotelefoni in giro se ne sono visti ben pochi. Persino le videoconferenze aziendali non hanno sostituito i viaggi di lavoro. Passata la novità, insomma, la videotelefonata non piace.

E tolta la trasmissione dati e la videochiamata, a che cosa serve l’UMTS? A una sola cosa: gestire un maggior numero di utenti voce a un minor costo rispetto al GSM. Ma senza motivazioni forti alla migrazione, senza killer application, il passaggio dell’utente medio dal GSM all’UMTS è uno scenario a lungo termine. Peccato che le società che hanno acquistato licenze UMTS si siano talmente indebitate (gli operatori europei hanno speso oltre 120 miliardi di euro, di cui dodici solo in Italia) che attendere il lungo termine non è fattibile.

Davvero l’intero castello di carte rischia di cadere? Il ragionamento che sento fare dagli operatori è che non è possibile, sono stati spesi troppi soldi per mollare tutto adesso. Certo, certo. Mai sentito parlare di Iridium?

L'autore

  • Paolo Attivissimo
    Paolo Attivissimo (non è uno pseudonimo) è nato nel 1963 a York, Inghilterra. Ha vissuto a lungo in Italia e ora oscilla per lavoro fra Italia, Lussemburgo e Inghilterra. E' autore di numerosi bestseller Apogeo e editor del sito www.attivissimo.net.

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