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Processo Microsoft, giudice partorisce topolino

05 Novembre 2002

Processo Microsoft, giudice partorisce topolino

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L'esito del principale processo antitrust contro Microsoft è poco più di un blando "va' e non peccare più", condito da alcune piccole novità. Cosa cambia per l'utente finale?

Qualche contentino per i consumatori, nessun danno sostanziale per Microsoft, benché rea indiscussa. Questo, in breve, il risultato dell’ennesima tappa del processo antitrust contro la società di Redmond promosso dal governo federale statunitense.

Le drammatiche ipotesi di smembramento annunciate precedentemente sono state sostituite da un periodo di cinque anni di “libertà vigilata”, ironicamente sotto la sorveglianza quasi esclusiva di membri del consiglio d’amministrazione della stessa Microsoft, e da una sorta di decalogo che definisce meglio i comportamenti ammessi e quelli vietati.

Colpevole senza dubbio

Sembra una pena un po’ sottotono, considerato che il processo non ha posto alcun dubbio sul fatto che Microsoft si sia macchiata di comportamenti illegali per mantenere la propria posizione di predominio. I documenti del processo descrivono chiaramente, per esempio, quello che fece Microsoft per “togliere l’ossigeno” a Netscape e le “minacce” (questo è il termine esatto) fatte nientemeno che a Intel per farle interrompere lo sviluppo di un motore Java conforme alle specifiche originali di Sun, perché Microsoft temeva che Java rendesse meno indispensabile usare Windows.

Gli atti del processo non hanno esitazione anche nel ricordare che quando IBM rifiutò di desistere dal promuovere il suo sistema operativo concorrente (OS/2) e il proprio software, Microsoft le fece perdere milioni di dollari perché le rivelò i dettagli tecnici vitali di Windows 95 soltanto quindici minuti prima del lancio ufficiale del software Microsoft, quando tutti i produttori di computer concorrenti ne erano già al corrente e avevano pertanto potuto preinstallarli sulle proprie macchine pronte per la vendita.

Per questi e altri casi documentati di comportamento illegale, ora non è prevista alcuna sanzione né altra forma di correzione o compensazione. L’attuale provvedimento legale statunitense si limita a vigilare affinché episodi di questo genere non si possano più ripetere. In altre parole, nessuna punizione per i peccati passati e soltanto un regime di sorveglianza per il futuro: un sorprendente “va’ e non peccare più” consono più al perdono cristiano che all’aula di un tribunale.

Più facile trovare PC nudi?

Il “non peccare più” si articola in una serie di istruzioni specifiche. Per esempio, a Microsoft è fatto esplicito divieto di favorire un produttore di computer (OEM) rispetto a un altro soltanto perché quel produttore installa sui propri PC esclusivamente Windows o altro software in concorrenza con quello Microsoft.

Questa era una delle pratiche anticompetitive che più pesava sul consumatore, dato che rendeva (e tuttora rende) sostanzialmente impossibile acquistare un computer privo di Windows: una richiesta frequente non soltanto fra gli utenti Linux, ma anche fra quelli Windows che già detengono una licenza full per il sistema operativo Microsoft e desiderano migrarla a un nuovo computer. È un problema che interessa anche le aziende che hanno contratti corporate che danno il diritto di installare Windows su tutti i loro PC a prescindere dal loro esatto numero. Tutti si trovano obbligati ad acquistare, insieme al PC, un’ennesima licenza di Windows, che come ben sappiamo non è gratuita.

Questo comandamento, a prima vista, sembrerebbe indicare che d’ora in poi sarà più facile risparmiare acquistando PC senza Windows (i cosiddetti naked PC) oppure trovare altri sistemi operativi preinstallati accanto a Windows e addirittura avviabili dal BIOS. Ma fra i tanti cavilli legali si specifica che il divieto vale soltanto per i venti OEM più importanti in termini di vendita di licenze Windows. Una bella fetta di mercato, certo, che però non copre i piccoli OEM, che spesso operano nella fascia più economica dei PC, ossia proprio quella in cui il consumatore è più attento al risparmio e ha quindi maggiore interesse ad evitare la “tassa Microsoft”.

Maggiore modularità

Tutti i componenti di Windows dovranno essere disinstallabili o perlomeno nascondibili, con particolare riferimento al cosiddetto middleware: Internet Explorer, Outlook Express, Media Player e Messenger, per citare i più importanti. Allo stesso modo, gli OEM e i consumatori avranno il diritto di sostituire questi middleware con prodotti alternativi analoghi senza che per questo vengano penalizzati in termini di prestazioni o di costi di licenza.

“Nascondibile” talvolta significa semplicemente che l’icona dell’applicazione non è più visibile ma il software è ancora presente nel PC, ma è comunque una novità psicologicamente importante, dato che esporrà i consumatori a opzioni software diverse da quelle standard sancite da Microsoft: per esempio, potremmo trovare in vendita PC il cui browser di default è Opera o Mozilla al posto di Internet Explorer.

Maggiore trasparenza

Anche la documentazione dovrebbe fare un passo avanti verso la trasparenza. Le contestatissime API, che consentono ai programmatori di scrivere più facilmente software ottimizzato per Windows, dovranno essere documentate e divulgate. I programmi Microsoft tendono ad essere più veloci di quelli della concorrenza proprio perché sfruttano la conoscenza di queste API, che invece i concorrenti devono riscrivere o tentare di emulare, con ovvi aggravi di costi e prestazioni.

La stessa apertura vale anche per i protocolli, che dovranno essere divulgati in modo che il software server non-Microsoft possa dialogare con Windows alla pari con il software server realizzato da Microsoft: un requisito indispensabile per evitare che Microsoft utilizzi il proprio monopolio di fatto nei sistemi operativi per PC per creare un monopolio nel software server.

È una buona notizia, per esempio, per chi realizza Samba, il protocollo che consente a macchine Linux e Windows di condividere le proprie risorse in modo trasparente, e probabilmente avrà effetto anche sul modo in cui i siti Web vengono scritti “ottimizzandoli” per il browser o il client di posta Microsoft.

In cauda venenum

Dette così sembrano novità importanti, tutto sommato. Il problema sta nelle clausole finali della decisione federale statunitense, che conferiscono a Microsoft la facoltà di rifiutarsi di divulgare qualsiasi dettaglio che possa compromettere la sicurezza in materia di antipirateria, antivirus, licenze software, gestione dei diritti digitali, crittografia e autenticazione se questo rifiuto le viene imposto da un’agenzia governativa.

Questo consentirebbe a Microsoft di invocare lo spauracchio della sicurezza nazionale per non divulgare dettagli che (guarda caso) potrebbero favorire la concorrenza. Ipotesi non remota, considerata la recente testimonianza di Jim Allchin, Group Vice President di Microsoft, secondo la quale condividere con la concorrenza certi dettagli di Windows metterebbe a rischio la sicurezza del paese e persino lo sforzo bellico in Afghanistan, e quindi di divulgare determinate API proprio non se ne parla.

C’è infine il dubbio che deriva dal fatto che la decisione USA si applica esplicitamente a Windows e determina che è soltanto Microsoft che decide quale codice compone Windows. Questo permette di cavillare all’infinito sul fatto che una certa routine sia o meno parte di Windows o sia invece parte di un altro programma non coperto dal provvedimento, come si è visto fino alla nausea durante il processo a proposito dell’integrazione fra Windows e Internet Explorer.

In altre parole, restano comunque ampi margini di manovra per eventuali tentativi di eludere questi comandamenti. Non vorrei sembrare malfidato, ma bisogna tenere conto del fatto che si tratta di un’azienda che ha già commesso atti di questo genere, per cui il perdono è una virtù, ma lo è anche la prudenza.

La palla passa all’Europa

La decisione USA ovviamente ha effetto principalmente sui consumatori statunitensi, ma anche nel Vecchio Continente qualcosa di importante si muove. Terminati i guai di Microsoft negli Stati Uniti, resta infatti aperta la questione delle possibili sanzioni antitrust minacciate dalla Commissione Europea per il presunto abuso di posizione dominante di Microsoft, su cui Mario Monti dovrà decidere entro fine 2002.

Nell’interesse della “coerenza transatlantica”, Microsoft gradirebbe che Monti si adeguasse alla decisione USA, ma il commissario alla concorrenza UE ha sempre argomentato che la sua decisione tocca aspetti ben diversi, come la commistione di Media Player e Windows che crea svantaggi per gli altri produttori di software audio e video (RealNetworks e QuickTime, per citarne due).

L’impianto legislativo comunitario, inoltre, è parecchio diverso da quello USA, e in Europa Microsoft non può contare su un ambiente così politicamente favorevole da chiedere di affrettare la conclusione del processo.

Per ora, dunque, niente di nuovo sotto il sole per i consumatori, nonostante la fanfara con la quale è stata annunciata questa nuova puntata dei guai antitrust di Microsoft, ma il prossimo Natale potrebbe portare sorprese per tutti.

L'autore

  • Paolo Attivissimo
    Paolo Attivissimo (non è uno pseudonimo) è nato nel 1963 a York, Inghilterra. Ha vissuto a lungo in Italia e ora oscilla per lavoro fra Italia, Lussemburgo e Inghilterra. E' autore di numerosi bestseller Apogeo e editor del sito www.attivissimo.net.

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