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Siti neonazisti, revisionisti, pornografici: alcuni casi a confronto

09 Ottobre 2002

Siti neonazisti, revisionisti, pornografici: alcuni casi a confronto

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Germania, Australia e Stati Uniti contro i siti neonazisti, antisemiti e pornografici. Nonostante le proteste dei fornitori d'accesso, obbligati a impedire la connessione ai siti contestati, in tutti questi Paesi la tutela della dignità e dei diritti delle persone è considerata prevalente rispetto alla libertà di espressione

La Costituzione e le leggi tedesche proibiscono la pubblicazione di contenuti che promuovano le idee naziste e incitino all’odio razziale; prevedono, inoltre, che i fornitori d’accesso a Internet possano essere costretti a bloccare l’accesso ai siti che diffondono questi contenuti.

Il governo locale di Düsseldorf sta cercando di costringere i fornitori d’accesso a bloccare due siti neo-nazisti, nonostante le critiche dei fornitori stessi.

Il problema di fondo – che è già stato affrontato più volte in questo sito – resta, però, sempre quello relativo al rapporto tra la necessità di porre dei limiti alla pubblicazione di contenuti illeciti online e il rispetto del diritto alla libertà di espressione.

Anche in Australia la giurisprudenza, secondo un orientamento ancora in fase di consolidamento, tende a giustificare il sacrificio di questo diritto, tutte le volte in cui sia necessario garantire una tutela efficace ai diritti individuali e collettivi delle persone.

Recentemente, con la sentenza del 17 settembre 2002, la Corte Federale ha ordinato il ritiro immediato – entro sette giorni – dal sito dell’Adelaide Institute, di alcuni contenuti revisionisti, ritenuti offensivi per la comunità ebraica israeliana.

Si tratta di una decisione molto importante, soprattutto perché sancisce la piena applicabilità a Internet delle norme che riguardano tutte le altre forme di comunicazione.

Un’associazione per la difesa delle libertà individuali ha, però, duramente criticato, la sentenza, considerandola una forma di attentato al diritto fondamentale delle persone ad esprimersi liberamente.

Il 18 settembre scorso, poi, un tribunale della Pennsylvania, al termine di un’inchiesta condotta dal servizio speciale del procuratore generale nell’ambito della lotta alla pedofilia online, ha ordinato al provider americano Worldcom di bloccare, entro cinque giorni, l’accesso ad alcuni siti pedofili.

La decisione del tribunale si basa su una normativa locale emanata nel mese di aprile del 2002, e si è resa necessaria in conseguenza del fatto che Worldcom non aveva dato nessuna risposta a una precedente richiesta informale da parte degli uffici del procuratore generale.

Il fornitore d’accesso, secondo quanto stabilito dalla sentenza, dovrà bloccare la connessione soltanto ai suoi clienti residenti nello Stato della Pennsylvania, ma, in realtà, per ragioni tecniche, nessun utente di Worldcom potrà più avere accesso ai siti identificati come pedofili.

L'autore

  • Annarita Gili
    Annarita Gili è avvocato civilista. Dal 1995 si dedica allo studio e all’attività professionale relativamente a tutti i settori del Diritto Civile, tra cui il Diritto dell’Informatica, di Internet e delle Nuove tecnologie.

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