Con una ricerca effettuata da Mazar in collaborazione con Nouvel Hebdo, si è cercato di dipingere l’atteggiamento delle 235 principali imprese europee (quelle, per intenderci, del DAX 30, del MIB 30 per l’Italia e dei corrispettivi francesi, inglesi, tedeschi e spagnoli), attraverso un questionario di quaranta domande. L’orientamento dell’indagine, di natura eminentemente commerciale, premia una ventina di campioni: sul podio i francesi di Schneider, i tedeschi di Dexia, gli inglesi di Marconi, gli spagnoli di Banco Popular, ancora i francesi di Valeo e, solo dopo BNP Paribas, al settimo e all’ottavo posto, le prime due italiane, Olivetti e Pirelli, staccate di una decina di posizioni da Fiat (15) e Telefonica (19).
Oltre all’atteggiamento nei confronti dell’Internet più commerciale (e-procurement, CRM e MarketPlace innanzitutto), uno scorcio è stato dedicato a quelli che la società ha definito gli aspetti di natura “creativa”: reclutamento, formazione, comunicazione interna, condivisione delle conoscenze, apertura, stimolo innovativo. Ricordandoci che stiamo parlando di “giganti”; è interessante notare che la metà delle risposte ha riconosciuto l’efficacia di Internet nella gestione delle relazioni sociali, spiccatamente riguardo alla messa in comune della documentazione e delle idee, coniugata con l’indispensabile circolazione dell’informazione e della discussione. In seconda battuta e con un’incidenza marginale, sono stati indicati i metodi di reclutamento e formazione, accanto alla creatività.
Se lo studio è probabilmente troppo poco significativo per valutare l’impatto di strumenti come e-learning o e-recruitment, può offrirci alcuni stimoli non del tutto privi di valore. Il primo: che forse non si può parlare di e-learning fuori dai portali di comunicazione e condivisione di informazioni, conoscenze, idee, esperienze e che la via della “scuola” digitale e dei cataloghi elettronici non sembrerebbe la strada giusta, mentre lo sarebbe quella focalizzata sui processi, sulle relazioni e sulla cultura d’impresa.
Il secondo, di conseguenza, che sarebbe meglio stracciare le distinzioni fra Knowledge, Content e Learning; superare la priorità dello strumento per orientarsi alla concretezza dei comportamenti. Internet è bene perché apre, assieme al mercato, le menti degli impiegati al mondo esterno, nello stesso modo in cui Intranet, apre quelle dell’impresa a un’intelligenza collettiva che parte dalla voglia, seppure conflittuale, di condividere esperienze e valori con i colleghi, al di là della forma e della gerarchia. Accettando questi presupposti sarà tutto più facile: la formazione come la cura del cliente o le relazioni coi fornitori.
Dei risultati restano da citare alcuni dati curiosi, come la tendenza degli intervistati italiani a eludere le domande, la maggiore attenzione degli spagnoli alle relazioni interne (una probabile priorità delle Intranet); orientamento seguito a distanza dai tedeschi, con un più spiccato atteggiamento di servizio che coniuga l’attenzione all’impiegato con quella al cliente (CRM); apparirebbero scetticamente strutturati gli inglesi, con una forte eccezione a favore dell’e-procurement. L’Italia starebbe al balcone, con un cospicuo investimento che però non è bastato a fare chiarezza e a maturare una posizione originale: i nostri manager stentano a rispondere con decisione e, seppure siano pochi gli strumenti rifiutati (spiccherebbero e-CRM ed e-Marketplace), non mostrano particolari entusiasmi e a dirsi soddisfatte sarebbero quasi esclusivamente le società finanziarie e le banche.
Se i ricercatori sottolineano che “siamo lontani dal poter parlare di rivoluzione manageriale”, per chi si occupa di formazione e sviluppo organizzativo, di lavoro ce ne sarebbe molto, se solo ci si sapesse concentrare sui bisogni reali, in primo luogo, almeno a casa nostra, quello di capire di che cosa si sta parlando e come lo si possa concretamente usare.