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Film in Rete, il busking come modello commerciale

17 Aprile 2002

Film in Rete, il busking come modello commerciale

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Confesso: scarico da Internet le puntate della nuova serie di Star Trek. L'MPAA, il braccio armato delle case di produzione di Hollywood, mi dice che sono un pirata. Io mi guardo allo specchio, ma vedo soltanto un cliente respinto

Ci ho messo ore a scaricare da Internet l’ultimo episodio del mio telefilm preferito, per poi scoprire che la registrazione era difettosa, distorta e inguardabile. Mi ci sono voluti altri tre tentativi prima di trovarne una copia accettabile e completa. Prima che mi subissiate di e-mail per sapere da dove l’ho scaricato, ve lo dico subito: dal circuito degli utenti di Kazaa (programma da usare solo dopo attenta disinfezione, essendo pieno di spyware).

La settimana scorsa ho perso altre ore a scaricare un’altra puntata. Quando l’ho aperta, ho avuto la sgradita sorpresa di vedere che qualche imbranato (o sabotatore) aveva contrassegnato con il titolo di Star Trek un telefilm di tutt’altro genere. Bella fregatura.

Sono tribolazioni che sopporto volentieri perché sono un Trekker da trent’anni (vedevo la Serie Classica in Inghilterra) e le ore di connessione a Internet non mi costano, ma ammetto che se qualcuno mi offrisse un servizio di scaricamento rapido e affidabile, che garantisse copie integrali e perfette dei miei telefilm preferiti non appena vengono trasmessi negli USA, pagherei volentieri per averlo. E non credo di essere il solo.

Pirati per forza

Ma un servizio commerciale del genere non c’è, perché le case di produzione non vogliono realizzarlo. E così milioni di utenti che potrebbero essere clienti paganti diventano invece pirati per forza.

Quando dico “per forza” non sto esagerando. Certo qualcuno potrà obiettare che i telefilm vengono comunque trasmessi dopo qualche tempo anche dalle televisioni nazionali, per cui non è poi così necessario scaricarli da Internet.

Chi fa quest’obiezione, però, non ha ben presente il trattamento riservato solitamente ai telefilm, specialmente se di fantasy o fantascienza: molti non arrivano del tutto in Italia, e quelli che approdano sui nostri schermi vengono trasmessi brutalmente fuori sequenza e a orari pseudocasuali, saltando varie puntate e spesso interrompendoli addirittura a metà serie (Seven Days), oltre che tradotti e doppiati in modo patetico. Non dimenticherò mai quel pilota d’aereo che gridava alla radio “Primo maggio! Primo maggio! Stiamo precipitando!” (“primo maggio” in inglese si dice “mayday“… l’avete capita?).

Il vero fan vuole vedere il proprio telefilm così com’è stato concepito, non la carcassa mutilata che gli rifilano le emittenti televisive nostrane.

Il mito dell’invulnerabilità

Come mai tanta riluttanza ad offrire un servizio che sicuramente attirerebbe orde di seguaci con il portafogli in mano? Semplice: l’MPAA, l’associazione dei produttori televisivi e cinematografici statunitensi, ritiene che prima di creare un servizio online sia indispensabile trovare un metodo assolutamente inviolabile per evitare le copie abusive, in modo da essere matematicamente sicuri che ogni singolo spettatore paghi. Per Jack Valenti, il presidente del’MPAA, l’idea che qualcuno possa vedere i telefilm a scrocco è bestemmia pura, e va combattuta addirittura imponendo modifiche all’hardware dei televisori e dei computer.

Molto dipende da cosa si intende per “a scrocco”, ovviamente. Se vedo un telefilm alla televisione e non compero nessuno dei prodotti reclamizzati nelle pubblicità che lo inframmezzano, sto scroccando? Se vedo un telefilm a casa di un amico che ha la pay-TV, sto scroccando? Se vedo una copia pirata di Star Trek, Streghe o Buffy e poi compero uno dei tantissimi gadget ispirati da queste serie, che fruttano ai produttori della serie fiumi di denaro in diritti di merchandising, sto scroccando?

Ma lasciamo stare: quello che conta è che chiunque abbia un minimo di dimestichezza con l’informatica sa che tutti i sistemi anticopia prima o poi vengono scavalcati, e comunque causano danni soltanto agli utenti onesti senza fermare la pirateria, come dimostrato dalle polemiche intorno ai CD audio protetti, che sono sempre più diffusi ma non funzionano nei lettori dei PC dei legittimi acquirenti. Quindi l’idea di aspettare che venga inventato il sistema anticopia perfetto è una pura illusione.

Grazie a questa illusione, la distribuzione legale online di contenuti (film, telefilm, musica) è ferma al palo da anni perché le case discografiche e cinematografiche si ostinano a non rinunciare ai sistemi anticopia. Anni di occasioni di guadagno perdute. Forse è ora di cambiare quest’impostazione commerciale, adottandone una un po’ più realistica. Faccio una modesta proposta: e se il signor Valenti prendesse esempio dagli artisti di strada?

Il Busking Business Model

Non sono impazzito, datemi corda un momento prima di chiamare il Neurodeliri. Considerate l’attività di un artista di strada: offre liberamente il proprio spettacolo ai passanti. Non li obbliga a pagare per assistere. In teoria tutti gli spettatori se ne potrebbero andare senza versare un soldo nel cappello, tuttavia l’artista racimola sempre abbastanza da campare. Perché?

Perché contrariamente a quanto crede Hollywood, il pubblico non è tutto ladro e disonesto. Se vede una cosa che gli piace, paga volentieri per sostenerla e fare in modo che prosegua. Certo c’è sempre un’alta percentuale di scrocconi, ma ce l’ha anche l’artista di strada, eppure sopravvive.

Il sistema dell’artista di strada funziona economicamente anche perché è snello ed efficiente: non comporta spese di amministrazione e di contabilità. Non richiede di mantenere uno stuolo di tutori della legge che rincorra gli spettatori esigendo da ciascuno il pagamento dell’esibizione. Non richiede transenne e cancelli per tener fuori gli abusivi e non comporta l’emissione e il controllo di biglietti. È sufficiente tendere il cappello e sorridere: bassa tecnologia, ma anche basso costo.

Immaginate ora di trasferire questo sistema all’industria cinematografica. Invece di creare un complesso e costosissimo apparato antipirateria (destinato peraltro a fallire) e invece di perdere anni e miliardi in processi come quelli contro Napster, Morpheus e Kazaa, i telefilm vengono semplicemente messi online e resi liberamente scaricabili, senza alcuna farraginosa protezione, ma con semplici garanzie di integrità e qualità e in uno standard universalmente leggibile. Tutte cose già tecnicamente disponibili da tempo, dato che Linux viene distribuito esattamente in questo modo e con queste garanzie.

Se lo spettatore è soddisfatto del telefilm, manda ai produttori un’offerta volontaria, di importo non prefissato (magari tramite sistemi di micropagamento facili e già esistenti, come PayPa l e incoraggia anche gli altri spettatori a fare altrettanto, perché altrimenti la serie non continuerà per mancanza di fondi. Ben pochi fan di una serie TV si sottrarrebbero all’obolo, sapendo che scroccando contribuirebbero alla fine di ciò che amano e perderebbero le loro star preferite. Sarebbe, in un certo senso, il massimo della TV interattiva: mettendo mano al borsellino, gli spettatori decidono direttamente, senza intermediari, quali programmi vogliono vedere e quali no.

Sicuramente l’idea di offrire liberamente film e telefilm e sperare che qualcuno faccia un’offerta farà rabbrividire i santoni del business. È un po’ ironico, dato che fino a poco tempo fa quegli stessi santoni osannavano il modello della net economy, in cui chi non lavorava in perdita era un retrogrado, ma fa niente.

Forse quello che manca è un nome altisonante, magari in inglese, che faccia tanto chic e magari mascheri un po’ la faccenda imbarazzante di trarre ispirazione da gente che tende il cappello. Provvedo subito: poiché in inglese l’attività dell’artista di strada si chiama busking, battezzo il mio sistema con il nome Busking Business Model (per gli amanti delle sigle, BBM). Sembra improvvisamente molto più rispettabile, vero?

Baywatch contro Superquark

Un vantaggio di questo sistema è che libera i produttori dall’attuale schiavitù dell’audience basata sui numeri, in favore di produzioni basate sul gradimento. Attualmente i programmi televisivi commerciali vengono confezionati col criterio di accontentare (o perlomeno non scontentare) il maggior numero possibile di spettatori. Non importa se il telefilm piace tanto o poco a quegli spettatori; è sufficiente che lo guardino. Di conseguenza, un fan sfegatato e una casalinga che segue distrattamente hanno lo stesso valore commerciale per gli inserzionisti pubblicitari. Questo meccanismo incoraggia la mediocrità.

In un sistema basato sul pagamento volontario, invece, conta anche il gradimento, perché più uno spettatore è entusiasta, più sarà disposto a pagare per far produrre altre puntate. Mentre adesso Hollywood guadagna soltanto se i suoi telefilm piacciono magari poco ma comunque vengono visti da tanti spettatori (e i risultati si vedono), con questa formula diventa economicamente sostenibile anche un programma che piace tantissimo ma a pochi spettatori. Un ottimo incentivo, insomma, a produrre programmi di qualità anziché contentini per le masse.

La teoria del BBM si rafforza se facciamo quattro conti. Produrre una puntata di un telefilm fra i più costosi, come Star Trek o 24, costa mediamente due milioni di dollari. Aggiungiamo i costi di pre-produzione e promozione, stimabili molto generosamente in un altro paio di milioni a puntata. Questo significa che se in tutto il mondo ci sono almeno quattro milioni di spettatori disposti a offrire anche solo un dollaro a puntata (il prezzo di un quotidiano), la serie chiude in pareggio soltanto con i proventi del BBM, cui si aggiungono quelli derivanti dal merchandising, dalla cessione alle reti televisive e dalla vendita in videocassetta e DVD, che continuerebbero comunque ad esistere perché molti telespettatori preferiscono evitare tutta la solfa dello scaricamento e la scomodità di vedere i telefilm tramite computer.

Il coraggio della disperazione

Non siete convinti? Mettiamola in un altro modo. L’attuale distribuzione pirata non frutta un centesimo alle case di produzione, per cui qualunque incasso derivante da una distribuzione legale via Internet sarebbe migliore della situazione attuale. In sostanza, Hollywood non ha scelta: non può battere il popolo della Rete, per cui tanto vale che ne faccia un alleato.

Coraggio, signor Valenti. È ora di smettere di agire come un daziere isterico e di imparare a ragionare secondo l’etica della Rete. Il mio portafogli è aperto, e non è il solo. Sta a lei decidere se continuare a trattarci come ladri o cominciare a rispettarci, dandoci la possibilità di essere onesti e sostenere i programmi che amiamo. Sono stufo di portare una benda su un occhio e un pappagallo puzzolente sulla spalla.

L'autore

  • Paolo Attivissimo
    Paolo Attivissimo (non è uno pseudonimo) è nato nel 1963 a York, Inghilterra. Ha vissuto a lungo in Italia e ora oscilla per lavoro fra Italia, Lussemburgo e Inghilterra. E' autore di numerosi bestseller Apogeo e editor del sito www.attivissimo.net.

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