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Internet mi preoccupa

23 Ottobre 2001

Internet mi preoccupa

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L'altro giorno ho commesso un errore: mi sono guardato indietro

Sono riandato con la memoria ai tempi dell’euforia Web; ai tempi in cui “Wired” titolava: “The future gets fun again” (Wired 8.01). Ai tempi in cui sembrava che le magnifiche sorti dell’on line ci avrebbero portato di corsa nel migliore dei mondi possibili.

Poi sono tornato alla realtà, dove i fatti dell’11 settembre sembrano destinati a sprofondarci nel peggiore degli incubi possibili. Dove attorno a noi l’economia non ha ancora deciso se avvitarsi in una recessione o meno. E dove Internet sembra orientato a fare parecchia fatica.

Ho avuto, lo ammetto, una botta di nostalgia per tempi più allegri e spensierati. Ma non ho provato, d’altra parte, alcuna nostalgia per la faciloneria in cui, tanti, (troppi) hanno affrontato il delicato tema del fare business in Rete.

Ora la Rete (e tutto il mondo del digitale, direi) stanno affrontando tempi bui.

Internet, come detto, mi preoccupa.

Vedo chiaramente una ritirata su posizioni di retroguardia spinta. Vedo un immobilismo che paralizza le scelte delle aziende, al grido di “È urgente aspettare”.

Intendiamoci, da parecchio tempo mi sono preso la briga di tuonare periodicamente contro la mancanza di pragmatismo di parte della “New Economy”, contro un approccio di e-business dove tutto quello che veniva guardato era la piccola “e”, e il business non veniva curato e spesso nemmeno compreso.

Ma sono colpito dalla nuova ondata di emotività che sembra aver colpito il mercato, da un approccio globalmente ed immanentemente negativo verso la Rete.

Sicuro, di errori ne sono stati fatti molti, e costosi. Ma solo chi non fa non sbaglia.

La New Economy ha avuto, se non altro, il merito di portare una ventata di novità o meglio, di innovazione nel business. Lasciando perdere quanto di sbagliato è stato fatto, c’è stata comunque una straordinaria invenzione di modi nuovi di guardare al business, di organizzare le proprie attività, di fare azienda, di lavorare insieme.

Una ventata di innovazione organizzativa, metodologica e procedurale che ha colpito, è stata adottata e deve riguardare anche le aziende più conservatrici, in quanto attiene ai temi dell’efficienza, della creatività, dello streamlining, della accresciuta capacità di competere in tempo reale su mercati sempre più guerriglieri.

Ma la ventata di pessimismo di cui sopra temo ci stia portando ad una recessione intellettuale, dove si esaurisce la spinta propulsiva di questa innovazione on e off line.

Molte aziende tradizionalissime continuano a dichiarare (con un certo sgomento nella voce) che qui o si innova costantemente o si muore. Anche se uno vende cemento, bulloni o farine per fare il pane.

Sulla Rete l’innovazione pare essersi quasi fermata. Bene, se questo vuol dire smettere di distruggere valore con operazioni avventate.

Male se questo significa arrestare la sperimentazione e l’evoluzione del proprio modo di fare business, di aggredire il proprio mercato, di cercare mercati e target nuovi.

“Business is business”, ma molti business mi sembrano rispondere alle minacce di crisi con un atteggiamento di retroguardia e una sorta di paralisi. Gli americani dicono che “a sitting duck is a dead duck”. Molte aziende non solo si sono sedute, ma sembrano addirittura essersi legate a un albero aspettando che la concorrenza le impallini.

Internet mi preoccupa, dicevo. Su quella parte di Internet che attiene al business vedo impantanarsi la spinta evolutiva e innovativa.

Ripongo, allora, le mie speranze su un’altra parte di Internet, quella “non business”. Dove la sperimentazione (essendo sostanzialmente svincolata da logiche di profitto) non ha scuse per non continuare. Dove l’evoluzione verso modi inesplorati per comunicare e relazionarsi può costruire nuove abitudini sociali (grandi o piccole, generali o segmentate) che si rifletteranno su quello che siamo e come ci comportiamo.

Solo se penso che la Rete (e intendo sia il Web che ciò che i nuovi device di accesso ci porteranno) riuscirà autonomamente a continuare a esplorare le frontiere del possibile in aree slegate dal business mi sento meno preoccupato per il business.

La società ha sempre precorso il business, le aziende hanno sempre inseguito (più che inventato) i fenomeni sociali e culturali. Se riusciremo a mantenere viva la Rete come fenomeno propulsivo e sociale in modo innovativo, anche la Rete che vive sul business potrà riprendersi e ricominciare (in modo un po’ più ponderato di prima) a progredire.

Con saggezza, certo; ma se non c’e’ un grano di follia e di coraggio anche il business più consolidato è destinato a essere fortemente messo in crisi da chi il coraggio di sperimentare ce l’ha.

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